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 2011  maggio 05 Giovedì calendario

Il debito di 176 milioni della maestrina Concita - La premessa per un in­ciucione tra gli ex missini di Fini e gli ex Pci di Bersani è pessima,visto che l’avvocato che segue la maxi causa con­tro l’ex partito editore del­l’ Unità è Girolamo Bongior­no, cattedratico parlermita­no padre di Giulia, legale e braccio destro del leader co­siddetto futurista

Il debito di 176 milioni della maestrina Concita - La premessa per un in­ciucione tra gli ex missini di Fini e gli ex Pci di Bersani è pessima,visto che l’avvocato che segue la maxi causa con­tro l’ex partito editore del­l’ Unità è Girolamo Bongior­no, cattedratico parlermita­no padre di Giulia, legale e braccio destro del leader co­siddetto futurista. Il professo­re assiste un pool di banche (tra cui colossi come Intesa San Paolo, Unicredit, Bnl) in credito con l’ex partito dei Ds, per una cifra spaventosa: 176 milioni di euro. Finora gli sforzi per recuperare i sol­di sono stati vani, ma siamo alle strette perché un’udien­za è fissata (come racconta Rosario Dimito sul Messagge­ro ) tra due settimane circa. I debiti risalgono a tre tranche di finanziamenti, il primo nel 1988, gli altri nel ’93 e poi nel’94.Di mezzo c’è anche la presidenza del Consiglio, in qualità di garante «solidale», in virtù della legge sui contri­buti pubblici all’editoria. Si­gnifica che se parte dell’at­tuale Pd ( quello erede del pa­trimonio ma anche dei guai dei Ds) riuscirà in qualche modo a defilarsi, sarà lo Stato a dover rispondere in sede esecutiva, accollandosi una fetta dei debiti che ora le ban­che rivendicano. Tecnica­mente si chiama «escussio­ne della garanzia della Sta­to », in soldoni si tratta del rimborso dei debiti dovuti dall’ Unità, trascinati fino ad oggi. Nel 2008 era arrivata una diffida di pagamento, sia ai Ds (già confluiti nel Pd) sia a Palazzo Chigi, allora occu­pato da Romano Prodi. La presidenza del Consiglio a quel punto intimò al partito di saldare il debito, anche al fine di «salvaguardare la posi­zione assunta dallo Stato co­me garante ». Risposta demo­cratica: silenzio assoluto. Il passo successivo è stato un precetto di pagamento, noti­ficato dalla banche al partito, e quindi un pignoramento a Camera e Senato stavolta in ragione dei contributi eletto­rali (svariati milioni di euro) erogati dal Parlamento al par­tito allora guidato da Walter Veltroni. Negli anni il quotidiano ha attraversato varie ristruttura­zioni societarie e nel 2000 le esposizioni finanziarie del quotidiano sono state rinego­ziate, trasferendole al parti­to. Ma questo passaggio non ha migliorato le cose, anzi. Nelle due udienze del 2009 e poi del 2010 non si è cavato un ragno dal buco, anche per­ché - riporta il Messaggero ­un gruppo di fuoriusciti del Ds-Pd si sarebbe messo di tra­verso «nei confronti delle procedure esecutive intenta­te ». Ora gli istituti di credito puntano, entro maggio, a re­cuperare il 25% almeno dei vecchi finanziamenti. Sì, ma da chi? Lo Stato è più solvibi­le rispetto al partito, che però è tutt’altro che povero. Spe­cie se si considera la proprie­tà immobiliare, retaggio del Pci. Su questo dossier regna lo storico tesoriere dei Ds, Ugo Sposetti, baffo alla Pep­pone e carattere di ferro, so­prattutto quando si toccano i denari. Il comparto immobi­liare dei Ds­ Pd conta all’incir­ca 2.400 immobili (sezioni di partito, case del popolo, bar, appartamenti e locali sparsi per tutta l’Italia). Un tesoro forse capace di coprire i debi­ti accumulati dall’ Unità di quegli anni (ora graziosa­mente diretta da Concita De Gregorio, dispensatrice di le­zioni su varie materie, la cui gestione non ha niente a che vedere con i vecchi debiti), su cui le banche potrebbero rivalersi con dei pignoramen­ti. Ma qui nascono i proble­mi, per via dell’astuzia del diabolico Sposetti. Gli immo­bili sono stati trasferiti a delle Fondazioni, o anche a Fede­razioni locali ( un trucco pen­sato anche per non mescola­r­e la preziosa eredità comuni­sta con quei baciapile della Margherita). Cioè soggetti terzi rispetto al partito, che potrebbero far valere l’auto­nomia patrimoniale messa nero su bianco nei loro statu­ti, per opporsi alle eventuali azioni esecutive. Un intrica­to groviglio di beni, possedu­ti ma intangibili grazie agli espedienti della tesoreria. Col paradosso di un partito ricchissimo, ma (finora) in­solvente. Non solo immobili, ma anche opere d’arte,più di 400, tra cui dei Guttuso, dei Mario Schifano (una di que­ste tele, I compagni , la regalò Gian Maria Volontè alla sua sezione), dei Piero Dorazio, e poi altri meno noti. Si anno­vera nella ricca eredità an­che un patrimonio di memo­ria (con un valore economi­co, ça va sans dire ) racconta­to tempo fa dal Foglio , com­posto da pezzi come il servi­zio da caffè che Palmiro To­gliatti usava alle Frattocchie, le foto autografate dei cosmo­nauti sovietici come Gaga­rin, la scrivania di Pajetta. E poi addirittura sedici loculi disponibili nel mausoleo del partito al cimitero del Vera­no, a Roma. Molti nemici, molto onore. Molti immobi­­li, molti debiti. Contratti ne­gli anni che coincidono con le direzioni di due illustri pre­decessori della dolce Conci­ta: Massimo D’Alema e Wal­ter Veltroni. E io pago.