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 2011  maggio 05 Giovedì calendario

IL FRAGILE SUCCESSO DI BARACK

La sensazione è che Barack Obama rischi di sciupare il principale successo della sua Presidenza. Il 2 maggio ha ottenuto una grande vittoria politica, con l’uccisione di Bin Laden in Pakistan. Tre giorni dopo soltanto, la scena si complica. Sul piano interno, la Casa Bianca ha dato troppi dettagli, finendo per entrare in contraddizione con le prime ricostruzioni del blitz ad Abbottabad.
Il rischio, di dettaglio in dettaglio, di contraddizione in contraddizione, è che il Presidente/Nobel per la pace, diventato di colpo Comandante in capo, si esponga all’accusa di non avere detto parte della verità. Anche perché la famosa immagine della «situation room» è un’arma a doppio taglio: farà ricordare che Obama ha voluto la testa di Bin Laden ed è riuscito ad ottenerla; ma lo coinvolge anche pienamente, direttamente, nel modo in cui questo risultato è stato ottenuto. Prevale, per ora, l’entusiasmo del pubblico americano; prevalgono le congratulazioni dei repubblicani, i quali sanno che Barack Obama giocherà la campagna elettorale sulla sicurezza nazionale - almeno fino a quando non aumenteranno i numeri dell’occupazione. Proprio per questo, tuttavia, ogni parola detta sul blitz pachistano conterà. E Obama, oggi molto più forte, potrà forse trovarsi in difficoltà.

Sul piano esterno, il rischio può essere sintetizzato così. Una volta ucciso Bin Laden, aumenta anche la pressione al ritiro dall’Afghanistan. In teoria, è un vantaggio ai fini della rielezione di Barack Obama, che farà più in fretta ciò che ha già promesso. Nei fatti, il rischio deriva dalla crisi di fiducia senza precedenti fra Washington e Islamabad, come effetto di tutti i contorni della vicenda Bin Laden. Se Obama perderà il Pakistan, mentre si ritira dall’Afghanistan, si lascerà alle spalle un vuoto strategico. E proprio in un’area che come spiega Robert D. Kaplan nel suo libro più recente, «Monsoon» - è al centro della mappa di questo secolo, connettendo gli interessi energetici e geopolitici di India, Cina, Pakistan, Iran.

Il contro-argomento, e la speranza di Barack Obama, è che lo showdown nato sul caso Bin Laden costringa finalmente Islamabad ad uscire dall’ambiguità di questi anni: un’ambiguità tale da avere obbligato gli Stati Uniti - secondo le parole di Leon Panetta, capo della Cia e prossimo segretario alla Di- sione estrema con Islamabad è probafesa americano - ad agire da soli in bilmente inevitabile, tensione che la CiPakistan, nel timore che i servizi segre- na sta già cercando di sfruttare a suo ti di Islamabad potessero mettere in favore. Ma se Washington riuscirà a forse il successo della missione, «avver- giocare bene le sue carte, facendo leva tendo gli obiettivi». sull’attuale debolezza dell’esercito pa-

Da parte americana, quindi, la tolle- chistano, i rapporti con Islamabad poranza sul Pakistan è finita. La collusio- tranno fondarsi su basi più «sane»: il ne dei servizi segreti pachistani con i Pakistan non sarà mai un vero alleato gruppi qaedisti era nota da anni: in un strategico dell’Occidente, inutile illumessaggio pubblicato da Wikileaks nel dersi; ma può e deve diventare un part-2001, i diplomatici americani descrive- ner più affidabile. vano l’Isi (l’agenzia di sicurezza pachi- Va tenuto conto che Islamabad vestana) come un braccio del terrorismo. de nell’Afghanistan un terreno storico Ma Washington, che bombarda con i di scontro con l’India; l’appoggio ai tadroni i santuari qaedisti nel Waziri- leban, e i santuari di Al Qaeda in Pakistan, non aveva mai avuto la forza di stan, sono strumento di questa compeimporre un chiarimento. La domanda tizione geopolitica. L’uccisione di Bin è se, dopo anni di politica fallimentare Laden potrà forse spingere parte dei verso il Pakistan, e dopo montagne di taleban a valutare un accordo con il aiuti sprecati, l’uccisione di Bin Laden governo di Kabul, facilitando un’interenda possibile una svolta favorevole sa con il Pakistan e un ritiro rapido agli interessi occidentali. dall’Afghanistan.

Nel breve termine, una fase di ten- Si gioca qui, in ogni caso, una grande e delicata partita: il futuro del Pakistan, politicamente ed economicamente fragile, esposto al terrorismo, con 190 milioni di persone, con armi nucleari, è una variabile decisiva della sicurezza internazionale. Questa partita ha dei rischi per Barack Obama, è il test vero di una politica estera che ha appena colto un grande ma provvisorio successo. E ha dei rischi per noi europei. Se aiutare l’America significa in questo caso aiutare noi stessi, dovremmo ricordarci, mentre l’accogliamo a Roma per il gruppo di contatto sulla Libia, che Hillary Clinton era seduta con Barack Obama, il 2 maggio, nella «Situation room». Quando gli americani dicono che per loro la Libia è un interesse meno centrale (eppure l’America c’è) è forse bene capirli. E trarne le uniche conseguenze possibili: dobbiamo assumerci le nostre responsabilità lì dove è più evidente, nel nostro cortile di casa.