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 2011  maggio 05 Giovedì calendario

IRAN, LA RIVOLUZIONE COMINCIA DAL PALLONE

La rivoluzione del calcio. Battaglia di retroguardia, in confronto a quella “verde”, la vera rivolta contro il potere. Sedata nel sangue, quella. Come nella peggior tradizione del regime iraniano. Appena cominciata, questa. E comunque difficile, ancorchè non violenta. Il calcio, un altro strumento di potere, per Mahmoud Ahmadinejad, il brutale dittatore. Perfino Wikileaks ha palesato i suoi legami con il pallone, scoperchiando il pentolone dello scandalo. La Federazione, un suo feudo. Ahmadinejad decide, lui muove le pedine. Perché il calcio, si sa, può aiutare a ingraziarsi la gente. Impone il suo volere, anche sulle decisioni tecniche (la scelta del ct, una decisione che avoca a sé e ai suoi uomini fidati), affinchè la Nazionale trovi la via del successo (lastricata di insormontabili ostacoli, negli ultimi tempi) e distolga il popolo da pretese rivoluzionarie. È lui il dittatore, anche nel calcio. E se glielo si rimprovera, lui si giustifica: «Purtroppo il calcio è stato travolto da situazioni molto deleterie. È per questo che sono costretto a intervenire personalmente, per evitare che certe cose negative si ripetano». Il calcio in Iran, qualcosa di più unico che raro, rispetto al resto del mondo. Altrove i club ricavano soldi dalla cessione dei diritti televisivi, lì i 18 club del massimo campionato sono costretti a pagare le tv di Stato per il (presunto) privilegio di vedere trasmesse le loro partite. Altrove mettono in cassa i soldi degli incassi, lì sono costretti a girarli ai proprietari degli stadi che li ospitano, cioè delle amministrazioni comunali, che si prendono pure i proventi della pubblicità negli impianti sportivi.
Insomma, producono senza incassare nulla in cambio: lo strano destino dei club calcistici in Iran.
Non beccano nulla, non possono autogestirsi, dipendono dagli scarni contributi statali e dalle aziende di Stato che ne sono proprietarie. Di qui, l’auspicata rivoluzione, per cambiare le carte in tavola e far somigliare l’Iran (almeno nel calcio) agli altri paesi del mondo. Ali Fathollahzadeh, ex presidente dell’Esteghlal, club di Teheran, uno dei più titolati in Iran, è l’uomo della rivoluzione. Il progetto è chiaro: lanciare un canale televisivo privato, interamente dedicato al calcio, per capovolgere lo status quo: acquistare i diritti dai club, produrre le dirette televisive, come accade in ogni angolo del mondo.
Dovesse andare in porto, sarebbe qualcosa di storico, che valica anche gli angusti confini dello sport. Perché un canale tv privato non è mai esistito nei 32 anni di storia della Repubblica Islamica.
Mica facile, come tutte le rivoluzioni. Lo Stato non avrebbe nessun interesse (incassa soldi dal calcio, spendendoli in modo spesso non trasparente), così come le tv che dipendono direttamente dal potere politico e che si vedrebbero sottrarre un’autentica gallina dalle uova d’oro. Ma anche possibile, se arriveranno gli auspicabili aiuti esterni. Fifa e Afc (la Confederazione asiatica), i possibili alleati. In maniera indiretta, ma comunque alleati. Perché loro passi sono attesi sotto forma di pressioni nei confronti della Federcalcio iraniana: ingerenze politiche e scarsa trasparenza, le male piante che i due organismi internazionali intendono estirpare, lanciando un avvertimento all’Iran del calcio. Chi vivrà, vedrà. Il calcio, per gestire il potere. Capita spesso, soprattutto in Medio Oriente. Ad esempio, il re saudita ha sentito puzza di bruciato, proveniente dai Paesi in rivolta. E allora, via col calcio in tv, per tenere la gente lontana dalle strade: così è nato il primo canale tv dedicato al pallone. Ora ci prova l’Iran, con differenti motivazioni. Per una piccola rivoluzione, di retroguardia ma pur sempre rivoluzione.