Vittorio Marchis, Avvenire 5/5/2011, 5 maggio 2011
Così la calcolatrice ha seppellito il regolo - «Villard de Honnecourt vi saluta e prega tutti coloro che lavoreranno sulle macchine di questo libro, di pregare per la sua anima e di ricordarsi di lui, poiché in questo libro si possono trovare buoni consigli sulla grande arte delle costruzioni e sulle macchine di carpenteria; e troverete in esso l’arte del disegnare, i fondamenti, così come li richiede ed insegna la disciplina della geometria»
Così la calcolatrice ha seppellito il regolo - «Villard de Honnecourt vi saluta e prega tutti coloro che lavoreranno sulle macchine di questo libro, di pregare per la sua anima e di ricordarsi di lui, poiché in questo libro si possono trovare buoni consigli sulla grande arte delle costruzioni e sulle macchine di carpenteria; e troverete in esso l’arte del disegnare, i fondamenti, così come li richiede ed insegna la disciplina della geometria». Con queste parole inizia il Taccuino di un maestro costruttore di cattedrali del XIII secolo. È un documento assai importante perché per la prima volta viene dichiarato esplicitamente che la tecnica ha bisogno di due strumenti: il disegno e la matematica. Erano più di mille anni infatti che gli ingegneri e gli architetti progettavano palazzi e macchine disegnandole e impostando le loro proporzioni con costruzioni geometriche. La geometria di Euclide era alla base di tutto e così sarà ancora per molto tempo, perché nel Medioevo l’aritmetica, ossia la scienza dei numeri (che ancora non conoscevano la virgola e i decimali) era lo strumento dei contabili e dei banchieri, non degli ingegneri. E fino a quando con i matematici del Settecento non si svilupperà la teoria delle funzioni e il calcolo infinitesimale, ben difficilmente si potranno risolvere problemi e sviluppare modelli senza l’uso di squadra e compasso. Oggi, in un mondo in cui tutto è digitale, ossia ridotto a gigantesche serie di zero e uno, sembra impossibile pensare che, solo fino a cinquant’anni fa, le case e i ponti si progettavano tracciando linee e grafici su fogli di carta millimetrata. Erano i tempi in cui gli ingegneri si riconoscevano perché dal taschino della loro giacca spuntava il regolo calcolatore: una specie di righello a scale graduate con un elemento scorrevole e con un traguardo di vetro, anch’esso mobile. In un mondo che ancora non usava le calcolatrici, quando l’uso delle tavole dei logaritmi – che forse 4 o 5 lettori ricorderanno come un miraggio lontano – diventava una sfida, allora ecco che spostando lo scorrevole del regolo si potevano eseguire «in un colpo» moltiplicazioni e divisioni, ma non solo, perché trasferendo su «regoli» lineari, o di forma circolare con due o più dischi scale numeriche graduate in modo opportuno, si calcolavano le rotte degli aerei, le dimensioni dei condotti di una rete idraulica, il numero di spire di un avvolgimento elettrico. E parallelamente ai regoli venivano prodotti grafici e tabelle che aiutavano visivamente a eseguire anche calcoli assai complessi. Si chiamavano nomogrammi e permettevano – unendo due punti identificati su due scale graduate – di individuare il risultato leggendolo direttamente sull’intersezione con un terzo segmento. Al Politecnico di Torino il professor Giovannozzi, famoso per il suo rigore e per la sua severità, negli anni ’50 aveva ideato un nomogramma che permetteva, nota la media degli esami e il voto della tesi di laurea, di calcolare «seriamente» il voto finale di laurea. È forse l’ultimo nomogramma ancora oggi in uso in questo ateneo. Quando nel 1972 apparve la prima calcolatrice elettronica scientifica HP 35, prodotta dalla casa americana Hewlett Packard, sembrò che un nuovo mondo si aprisse. Per pochi eletti, però, perché il suo costo in Italia era poco più di 220 mila lire, una cifra che riportata ad oggi avrebbe superato i 1500 euro. Con una sola memoria poteva eseguire le quattro operazioni, gli esponenziali e le funzioni trigonometriche elementari. Oggi per fortuna i prezzi sono crollati, ma mentre i regoli continuerebbero a funzionare senza bisogno di alcuna batteria, spesso dimentichiamo che aumenta di giorno in giorno la nostra dipendenza energetica. Se dimentichiamo di ricaricare il nostro palmare, che fa tutto e ancora di più, rimaniamo letteralmente con le mani in mano.