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 2011  maggio 05 Giovedì calendario

Belfast al voto, pace da consolidare - Strizzano l’occhio all’elettorato unionista col solito gusto del­la provocazione

Belfast al voto, pace da consolidare - Strizzano l’occhio all’elettorato unionista col solito gusto del­la provocazione. Sbarcati per la prima volta in Irlanda del Nord, spiegano che l’unica salvezza risie­de lontano dalla frontiera – dall’u­topia? – multiculturale. Gli estre­misti di destra inglesi del British na­tional party (Bnp) chiedono il voto alle comunità protestanti delle sei contee, frugando nello storico piat­to della destra lealista. Nelle liste dei candidati alle elezioni che si tengono oggi per la formazione del­l’Assemblea semi-autonoma di Stormont a Belfast, la novità degli uomini di Nick Griffin, leader del Bnp, somiglia piuttosto alla ricerca di un’eredità e di un’appartenenza comune dai contorni incerti. In u­na città dalle forti tensioni di ma­trice settaria come Belfast, divisa da 21 chilometri di linea di pace che stabilisce la segregazione dell’en­clave cattolica da quella protestan­te, de facto un muro di cemento, l’impresa di sostituirsi alle culture ultralealiste si presenta particolar­mente ardua al Bnp. Ma da non sot­tovalutare. A Londra, il partito di Griffin ha il 5.2 per cento. Tuttavia, sarà difficile per tutti sfu­mare i significativi passi in avanti compiuti dal matrimonio costitu­zionale tra lo Sinn Fein di Gerry A­dams e il Demo­cratic Unionist Party (Dup) del reverendo Ian Paisley e il loro consenso alle ur­ne, che incarna oggi il processo di pace. Dalla legi­slazione del 1998, a seguito della fir­ma sui negoziati avvenuta dopo la tregua dell’Ira, e prima dell’inizio del progressivo di­sarmo dell’esercito repubblicano irlandese, quella di oggi è la quar­ta volta della devolution a Stor­mont. Interdizioni e sospensioni sembrano definitivamente alle spalle: le tre brusche frenate dell’e­secutivo, dal 1998 al 2002 – col Par­lamento assediato da mille agenti di polizia all’alba di una giornata d’ottobre e lo Sinn Fein accusato di spionaggio – cedono il posto al­l’opportunità di una pace abile e potente. Da quattro anni, infatti, gli accordi di St Andrews si sono rafforzati, e i suoi promotori, un tempo nemici, sono riusciti a rispondere alle a­spettative che suscitarono tra la maggioranza dei nordirlandesi. Ol­tre le divisioni confessionali, l’at­tuale panorama politico nordir­landese presenta due schieramen­ti: uno pro e uno contro il proces­so di transizione siglato dai due principali partiti. Dal maggio del 2007, Sinn Fein e Dup hanno pilotato senza pause l’Assemblea mista, tra nuovi im­pulsi e realpolitik. Scuola, sanità e agricoltura hanno conferito dignità a un governo altrimenti virtuale. Malgrado ciò, i nodi da sciogliere sono ancora molti. Primo su tutti la riforma della polizia, la Psni. Tout court, la devolution non decolla e, in virtù della vigente legislazione, Londra, nella persona del segreta­rio di Stato per l’Irlanda del Nord, continua autonomamente a con­servare i poteri su giustizia, prigio­ni, sicurezza, re­lazioni interna­zionali, fisco, welfare e regola­mentazioni in materia finanzia­ria e delle teleco­municazioni. Sono 218 i candi­dati che oggi si contendono i 108 seggi dell’Assem­blea. Il Dup pre­senta 44 uomini, contro i 40 dello Sinn Fein. Seguo­no i 29 degli unionisti dell’Ulster U­nionist Party e i 28 dei socialdemo­cratici cattolici del Sdlp. Tra questi, non ci sarà Paisley. «Il primo gior­no che l’incontrai, dissi: ’Martin, possiamo chiudere le finestre, si­gillare le tapparelle, prenderci a pu­gni fino a sera. Ma a chi giovereb­be?’ ». L’ottantenne aspirante pu­gile era lui, il reverendo Ian Paisley, adesso ’Lord Bannside’. La sua a­zione politica si svolgerà esclusiva­mente nella House of Lords di Lon­dra. Martin invece è il nazionalista McGuinness: numero due dello Sinn Fein, ex comandante della bri­gata dell’Ira a Derry e oggi vice pri­mo ministro a Stormont. Assieme al premier Peter Robinson prove­ranno a riproporre la coppia già ro­data, ma a urne chiuse sarà possi­bile un ribaltamento dei ruoli, «pur lasciando inalterata la natura del­la nostra collaborazione», hanno assicurato gli uomini di Adams. In­tanto lo Sinn Fein ha rilanciato in campagna elettorale l’idea di un re­ferendum nazionale per l’unifica­zione irlandese. E così ha contri­buito a far riaffiorare le principali contraddizioni che sintetizzano l’essenza politica di entrambi i par­titi, sia pure senza procurare frat­ture. Tale pacatezza, secondo gli osser­vatori, costituisce un innegabile progresso per la pace, almeno a li­vello costituzionale. Ma rapporta­to alla vastità del più ortodosso co­smo repubblicano e lealista, potrà essere una risposta adeguata? La morte dell’agente di polizia Ronan Kerr, ucciso un mese fa da una bomba piazzata sotto la sua auto a Omagh, non fa dimenticare la prio­rità dei temi che il nuovo governo dovrà affrontare. A far paura, appunto, è l’incognita delle formazioni paramilitari re­pubblicane, che si dissociano dal processo di pace. Quasi cento at­tacchi dall’inizio dell’anno. Gli ex compagni, una volta nei Provisional Ira, tra­mite stampa e televi­sione accusano lo Sinn Fein di tradimento, per aver venduto i princi­pi repubblicani degli irlandesi ed «essersi asservito all’occupa­zione britannica» del­le sei contee. Ancora più ironico, al­lora, è che i detrattori del Dup – Ulster U­nionist Party, Traditio­nal Ulster Voice di Jim Allister, Bnp e Uk In­dipendent – in modo compatto puntino il dito proprio contro Ian Paisley. È lui e nes­sun altro, denuncia­no, il responsabile «di ospitare dei terroristi (lo Sinn Fein/Ira) nel­le istituzioni di sua maestà».