Fulvio Gioannetto, il manifesto 5/5/2011, 5 maggio 2011
Pattumiere oceaniche - Visibile ormai adesso anche dallo spazio, la immensa zuppa di plastica galleggiante della Great Pacific Garbage Patch si sta estendendo
Pattumiere oceaniche - Visibile ormai adesso anche dallo spazio, la immensa zuppa di plastica galleggiante della Great Pacific Garbage Patch si sta estendendo. Ubicata nel centro dell’oceano Pacifico con una superficie estimata di un milione e mezzo di chilometri quadrati, il «settimo continente» è composto da milioni e milioni di rifiuti plastici e tonnellate di rifiuti galleggianti, che cambiano di posizione seguendo i ritmi stagionali e le correnti del Nord del Pacifico, spostandosi verso nord durante il fenomeno climatico del Niño. Bottiglie, pezzi di giocatolli, recipienti e bolse di plastica che sono, secondo i dati dell’Unep e dell’Environmental Cleanup Coalition, per un 20 percento gettati dai trasporti marittimi e per il restante provenienti dai rifiuti delle città costiere o arrastrate dai delta dei fiumi; le correnti trasportano questi rifiuti plastici dalla costa ovest statunitense fino a questo vortice della Horse latitude in un tempo di cinque anni, mentre i rifuti delle popolose coste giapponesi e cinesi arrivano nella zona in meno di un anno. Lo scorso anno si scoprí che una zona analoga di rifiuti plastici sta galleggiando anche nell’Atlantico del Nord, con una estensione di centinaia di chilometri di larghezza. Dei 6,4 milioni di rifiuti che si gettano attualmente negli oceani, fra il 60 e l’80 percento sono composti da rifiuti plastici. E se una borsa di plastica tiene una vita media di 150 anni, quanto tempo, si chiedono gli oceanografi, ci vorrà perché gli oceani arrivino ad assimilare questo pattume sintetico, che in alcune zone é addirittura composto da strati di immondizia plastica. Nessuno si salva da questa contaminazione globalizzata che rappresenta una trappola mortale per almeno 267 specie animali marini: plancton, pesci, uccelli, tartarughe e cetacei sono intossicati dalle molecole dei bifenili policloradi fotodegradabili che, a differenza di altre sostanze biodegradabili, si disintegrano in pezzetti sempre piú piccoli che finiscono per essere assorbiti dal zooplancton e infettare tutta la catena alimentare oceanica. In altre zone di questa gran macchia plastica del Pacifico, la concentrazione di scarti plastici è addirittura di 200 mila frammenti di pattume galleggiante per metro quadrato e molti scarti plastici interi terminano nello stomaco degli uccelli marini, includendo tortughe, squali ed albatros, mentre le particelle piú piccole sono assorbite dalle meduse, dai pesci e poi dai grandi depredatori. In alcune zone affette, questa tossica concentrazione di molecole plastiche sminuzzate supera di sette volte quella del zooplancton marino. Non solo; questi rifiuti plastici galleggianti facilitano la propagazione di specie invasive, che aderiscono alla superficie di queste minuscole particelle e colonizzano nuovi ecosistemi. A questo ecocidio partecipano anche le molecole dei bifenili policlorati, del ddt e di altri pesticidi che sono mescolate ai rifiuti pastici, provocando i tristemente conosciuti problemi ormonali negli animali che gli assorbono. E come una parte di questi pesci ed invertebrati saranno prima o poi pescati e consumati dagli umani, la mortale zuppa finirá nel piatto. Fra le soluzioni proposte per decontaminare l’area, la piú sviluppata é quella del laboratorio ecologico Gyre Island, promossa dall’oceanografo Richard Owen che sta cercando di realizzare una flotta di barche per ripulire questa zona e reciclare i rifiuti plastici.