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 2011  maggio 04 Mercoledì calendario

PURCHÉ SE NE PARLI: LE AMMINISTRATIVE E IL CIRCO DEI MANIFESTI TRASH

Ti serve un amico? Chiama Letizia Moratti. Perchè lei, dimentica di aver guidato il comune di Milano per cinque anni, propone le sue ricetta a ogni problema, persino la solitudine. Ora le tocca convincere i cittadini che lo smog, mai così alto da quattro anni nonostante ecopass e domeniche a piedi, può essere sconfitto solo da lei. E così, di rosso speranza vestita, col giubbetto dell’operatrice ecologica, Letizia garantisce: “Stiamo lavorando per una città sempre più pulita”. Chi abita a Milano la scopre nelle sue nuove vesti: il sindaco spazzino. Il sindaco poliziotto. Il sindaco solidale, tecnologico, caritatevole, modello famiglia. Col vestito bianco-perla da cerimonia nuziale se circondata da ragazzi precari (mentre il suo avversario Giuliano Pisa-pia opta per lo slang giovanile: “Bella zia, vota Pisapia”), col bavero da maestrina per annunciare “libri di testo gratuiti alle medie ed elementari”. É la sfilata muraria del primo cittadino (uscente?) di Milano che sta appesa in tutta la città: manifesti giganti con la Moratti che tiene in braccio due anziani (per una Milano più solidale) o che cammina sorridente, avvolta da una fascia tricolore e scortata da tre vigili urbani (per una Milano più sicura). Spudorata? In questa campagna, per la verità, la massiccia comunicazione della Moratti appare quasi sobria, visti gli altri che affollano le pareti delle città in cui si vota. Massimiliano Bastoni, candidato leghista al comune di Milano di scarsa carriera ma grande inventiva pre-elettorale, si è fatto ritrarre all’interno di una carta da briscola: “Per la tua Milano in comune cala... l’asso. Vota Bastoni”. Capelli brizzolati, pochette verde e una vaga somiglianza col principe Carlo d’Inghilterra, soprattutto nella vivacità dello sguardo, è lo stesso, indimenticato protagonista dello slogan “Bastoni contro l’immigrazione”. Lui che nel 2000, viste le polemiche, aveva proposto: “Per la tranquillità delle sinistre, mi farò chiamare Massimiliano Molotov”. Pronto a lanciarsi contro i clandestini.

A MENO di due settimane dalle elezioni amministrative del 15 e 16 maggio, i candidati in lizza nei 1345 comuni italiani stanno facendo ogni tentativo, al limite della dignità, per rimanere impressi nella testa dell’elettore. Perché alle comunali, a differenze che per le politiche, è ancora possibile indicare il nome del candidato. Sempre meno simboli di partito, dunque, che evocano agli elettori i peggiori pensieri, visto lo stallo del governo e l’apatia dell’opposizione. Ma idee sì. Che poco c’entrano con la politica ma che, di certo, si ricordano, assieme al nome che vi è abbinato: a Torino tutti parlano della sfida tra Moro e Andreotti, due aspiranti consiglieri (entrambi di nome Stefano) di Sinistra e libertà cui l’anagrafe ha regalato un’efficace biglietto da visita. E per competere con la “Gran Torino” di Piero Fassino in versione Clint Eastwood (che tenta l’autoironia distribuendo grissini con sopra il suo nome), in Piemonte c’è chi raschia (o spazza) il fondo. Come Giacinto detto “Giangi” Marra, aspirante sindaco sabaudo nella lista “Azzurri italiani” (dal suo sito: “L’azzurro è il colore di Maria Santissima Ausiliatrice, ispiratrice di buoni principi e madre della Chiesa”, oltre che del berlusconismo). Giangi ride serafico, sui manifesti, appeso a una patriottica ramazza verde bianca e rossa: “Scopiamo?” chiede. E poi chiarisce “...via la vecchia politica”. Un po’ come Michele Coppola, Pdl: di lui B. ha detto “scopa nuova, scopa meglio”. Forse ironico anche il motto del Pdl a Torino: “Meno multe, più sicurezza”, moderna versione di quella che i fratelli Guzzanti avevano ribattezzato “la Casa delle Libertà: facciamo un po’ come cazzo ci pare”.

MOMENTI di confusione a Bologna, dove il candidato del Pd Virginio Merola si scorda che l’ultimo sindaco eletto era il suo compagno di partito Flavio Del Bono e ammonisce: “Se vi va tutto bene, io non vado bene”. Come dire: io non sono Del Bono, ma non posso sottolinearlo troppo. Non hanno meno fantasia da Roma in giù. A Napoli Mario Morcone, Pd, s’inventa lo slogan “il futuro è Mo” e si concede un gioco di parole che non brilla per modestia e originalità: “Genio e regolatezza”. In Puglia è poi nato il partito del Pilu, che non è più quello delle promesse libidinose di Cetto Laqualunque ma sta per Persone Indipendenti Libere e Unite. Il candidato sindaco del Pilu a Oria, a pochi chilometri da Brindisi sul tacco dello stivale, è un ispettore di polizia in pensione: “Franco Arpa... al comune tutta un’altra musica”. Stessa regione, comune di Barletta: finalmente la somiglianza di Ruggero Dibenedetto con Giuseppe Garibaldi, nel 150esimo compleanno d’Italia, torna utile. E affidandosi alla retorica dell’anniversario, per sedere sulla poltrona più importante della città, il candidato (stessa barba e divisa dell’eroe dei due mondi) chiama a raccolta i suoi fedeli: “Perché credo nell’unità degli uomini”.

Poco più a Sud, in Calabria, il manifesto si trasforma in foto segnaletica. Scatto di fronte e di profilo, sorriso a 32 denti e numero di matricola in sovrimpressione per Salvatore Scalzo, l’aspirante sindaco del centrosinistra. Che ammette: “Sono colpevole. Amo Catanzaro”. Segni particolari: “Giovane. Competente. Europeo”. Ma il più glorioso dei manifesti elettorali è in provincia di Palermo, a Terrasini. Il candidato sindaco Antonio Gallina tappezza le strade con l’immagine di tre uova: “Schiudi il tuo domani”. C’è però chi alle idee ha dovuto rinunciare e da anni non può, causa di forza maggiore, cambiare il suo motto. E’ l’ex sostenitore di Mercedes Bresso, Michele Dell’Utri, che a ogni tornata elettorale rassicura: “Non sono parente”.