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 2011  maggio 04 Mercoledì calendario

QUEI VICINI «FEROCI» ISOLATI DAL MONDO IN PERENNE SIMBIOSI

Il vero colpevole alla fine era proprio il Quadrupede. Non la coppia Olindo e Rosa, ma il Quadrupede, come lo definì il pm di primo grado. Olindoerosa, non due individui separati, ma un solo essere, un animale a quattro zampe con un solo cuore, un solo cervello, un solo istinto. In realtà il «massimo previsto di isolamento» era già nella testa del Quadrupede ben prima che la requisitoria venisse pronunciata, e mai richiesta risultò più inutile, perché Olindoerosa, innocenti o colpevoli, nella loro simbiosi appaiono da sempre isolati dal mondo, indivisibili tra loro anche quando fisicamente divisi. Ancora ieri mattina c’era da valutare se il Quadrupede era un mammifero sonnacchioso e inerme, una vittima designata dalla giustizia, oppure una belva feroce, come è stato dipinto dal sostituto procuratore generale Nunzia Gatto, che proprio su quell’aggettivo, «feroce» , ha insistito quasi ossessivamente perché non ci fossero più dubbi. E invece i dubbi, sulla conclamata colpevolezza della coppia Romano-Bazzi, erano cresciuti negli ultimi tempi, al punto da fare emergere un vero e proprio Partito Trasversale degli Innocentisti. Libri, ricostruzioni, servizi televisivi, convegni per dimostrare che non erano stati loro a compiere la più efferata strage familiare del dopoguerra italiano: il mostro era soltanto il risultato di un macroscopico effetto ottico. Uno strabismo di dimensioni pressoché nazionali, un abbaglio gigantesco: quei due poveretti erano vittime di un’inchiesta parziale e piena di preconcetti. E ultimamente poi, a difenderli, ci si è messa persino Federica Sciarelli con Chi l’ha visto?, guadagnandosi il disappunto di mezzo mondo (anche politico), quello, ben più numeroso, dei Colpevolisti a prescindere. In effetti, c’era quasi tutto, in quella coppia (in quel Quadrupede), per confezionare l’identikit-tipo della ferocia repressa, compresi i silenzi, gli sguardi indecifrabili, i sorrisini d’intesa tra irridenti e minacciosi durante le deposizioni più commoventi del processo. Ma soprattutto quella simbiosi bunker che li isolava dal mondo per proteggerli. «Vicini da morire» (titolo di un bel libro di Pino Corrias sul caso di Erba) erano prima di tutto Olindo a Rosa, e Rosa a Olindo, vicinissimi l’uno all’altra fino a diventare una sola creatura «siamese» . Poi, certo, c’erano i vicini di casa dello spazzino e della lavoratrice domestica, ma questo era un altro discorso, in fondo più ordinario. Altrettanto ordinario — nel senso che sembrava un copione già scritto da tempo— è il colpo di scena (o colpo di coda?) con cui esce dalla scena giudiziaria (ma non da quella mediatica, si teme, purtroppo) l’ineffabile Azouz Marzouk, il padre di Youssef, la vittima-bambina, e il marito di Raffaella Castagna, uccisa pure lei: è il tunisino dalla personalità doppia e tripla che all’ultimo ha fatto la parte dell’Innocentista roso-dal-rimorso, dopo aver indossato la maschera dell’Inconsolabile con rosa bianca sul banco del tribunale e con figlio e moglie stampati sulla T-shirt a beneficio dei numerosi fan club di ragazze in visibilio per la sua barba incolta e i suoi occhialoni Prada. Entrato nell’inchiesta senza grandi meriti (né demeriti) con il marchio del Perseguitato (grazie alla dabbenaggine dei media che avevano subito individuato in lui il colpevole) ne è uscito con quello del Grande Cialtrone. Ha fatto di tutto per essere sempre sotto i riflettori e ora che i riflettori si spengono dovrà rassegnarsi anche lui a ritornare nell’ombra con gli altri Innocentisti, veri o falsi, comunque sconfitti. Si chiude, bene o male, uno dei casi più terrificanti che abbiano occupato i giornali negli ultimi cinque anni. Una strage terrificante anche perché, fino a prova contraria, scatenata da una banale lite tra vicini di casa: come al solito è dalla apparente normalità che esplode il peggio. Il caso si chiude quasi come si era aperto: con l’eco della frase con cui i primi giorni dell’inchiesta il Quadrupede feroce dichiarò con semplicità davanti al Pubblico Ministero la vera ragione del suo gesto: «Disturbavano, non ci facevano dormire» .
Paolo Di Stefano