Cecilia Zecchinelli, Corriere della Sera 04/05/2011, 4 maggio 2011
«NOI ARABI SIAMO GIA’ OLTRE. IN EUROPA C’E’ CHI NON LO VEDE» - «F
orse non è ancora l’inizio di una nuova era, ma che l’uccisione di Osama segni la fine di anni, decenni difficilissimi per il mondo arabo e le sue relazioni con l’Occidente è fuori di dubbio. Ovvero: l’era degli estremismi e della difesa dello status quo è davvero chiusa. Un’era vecchia, erede del colonialismo e della guerra fredda, di cui erano rappresentanti i Bin Laden e i teocrati alla Khomeini nel nostro mondo, e in Occidente gli Huntington che predicavano lo "scontro tra civiltà", l’inferiorità della nostra cultura e la difesa di dittatori in nome della stabilità. Per fortuna di tutti oggi sono il passato» . E’ il più famoso dissidente egiziano sotto l’ex regime, il grande nemico di Hosni Mubarak che lo mise in carcere e lo torturò, a commentare dal Cairo la morte del capo di Al Qaeda che così poca rabbia ha sollevato nelle piazze arabe. Saad Eddin Ibrahim non ne è sorpreso: «Ci stiamo finalmente liberando di quel piccolo gruppo, una volta potente, che aveva dirottato l’Islam. Nella Primavera della democrazia gli arabi hanno capito che è possibile prendere in mano il proprio destino senza delegarlo a guide o sceicchi. Bin Laden era già diventato un imbarazzo per la maggioranza dei musulmani, aveva già perso. La sua morte per il nostro mondo, tranne qualche eccezione, è una liberazione» . Sociologo, storico e accademico prima in patria e poi negli Usa di cui ha la seconda nazionalità, Ibrahim oggi 72enne ha appena deciso di tornare a vivere al Cairo. Non solo perché l’incubo giudiziario è finito: nel 2000 la sua opposizione a Mubarak gli costò tre anni a Tora, dove oggi sono chiusi molti esponenti del vecchio regime. Prosciolto in appello anche perché diventato un caso internazionale (Emma Bonino seguì i processi), si candidò alla presidenza ma una nuova sentenza per «diffamazione alla patria» lo convinse a tornare in America, dove ha insegnato alla Drew University e continuato a distanza a lottare. Ma ora è rientrato in Egitto perché nella regione «c’è ancora tanto da fare: abbiamo vinto il primo round, qui e in Tunisia, ma anche in Siria, Bahrein, Libia dove la fine dell’immobilismo è già un gran risultato. Ci aspettano altre battaglie. Né noi né l’Occidente dobbiamo fermarci» . I rischi che dalla fine della vecchia era non ne sorga una di democrazia ci sono, dice Ibrahim. «Nel mondo arabo c’è chi vuole tornare al passato, e non solo tra i Fratelli Musulmani e i religiosi che però hanno molto meno potere di quanto tema l’Occidente, l’era dei Khomeini come ho detto è finita. In Egitto, ad esempio, c’è ora chi vuole cancellare le conquiste delle donne ottenute anche grazie all’ex First Lady Suzanne Mubarak. Le donne, i giovani e i copti non stanno ancora ottenendo quanto promesso dalla rivoluzione. Per questo ho proposto alle prossime elezioni una quota del 40%per chi ha meno di 40 anni» . E anche in Occidente, continua Ibrahim al telefono tra una conferenza e un incontro politico («ma non mi candiderò, resto nella società civile, all’università e alla guida del centro Ibn Khaldun» ), negli Usa e in Europa c’è chi vorrebbe frenare il nuovo corso. «Nei giorni della rivoluzione egiziana ero a Washington, ho parlato a lungo con molti esponenti dell’Amministrazione e della Casa Bianca, che hanno tante anime, non sono certo compatte. Per fortuna ha prevalso la linea dei consiglieri di Obama come Samantha Power, Michael McFaul, Mike Posner, che hanno capito come "l’eccezionalità araba"non esista. Che la nostra presunta refrattarietà alla democrazia era un’assurdità e il mantenimento dello status quo un pericolo per tutti» . Il presidente americano ha scelto di dare loro ascolto, continua Ibrahim, «nonostante le resistenze degli alleati del Golfo e la paura diffusa anche in America dell’ignoto, dei Fratelli Musulmani, di un nuovo Iran. Adesso, reso più forte dall’uccisione di Bin Laden, Obama deve continuare ad ascoltare la nostra voglia di democrazia, con i nostri tempi e i nostri percorsi diversi ma con lo stesso obiettivo. E l’Europa sia consapevole che una sponda Sud del Mediterraneo libera e democratica è anche nel suo interesse, non l’abbandoni. Almeno questo, per ora. Poi verrà il momento di costruire la nuova era, quella del dialogo vero» .
Cecilia Zecchinelli