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 2011  maggio 05 Giovedì calendario

SI DIFENDA, GIUDICE GARZON

Ai tempi d’oro, quando era il giudice più famoso di Spagna, Baltasar Garzón entrava dentro la plaza de toros a sirene spiegate e circondato dalla scorta prendeva posto nella tribuna d’onore, proprio come un imperatore romano al Colosseo. A pochi giorni dall’apertura del processo dove lo si accusa di abuso di potere per aver ascoltato le conversazioni tra avvocati ed imputati nel clamoroso caso Gurtel, la tangentopoli spagnola, Garzón appare invecchiato ed amareggiato. Ed è proprio questo il personaggio che Isabel Coixet, la cineasta spagnola, ha offerto lo scorso febbraio agli spagnoli nel documentario-intervista "Baltasar Garzón".
Colpevole o innocente? Questa la domanda su cui ci si interroga dal 14 maggio 2010, da quando il Consejo general del poder judicial, l’equivalente del nostro Consiglio superiore della magistratura, lo ha sospeso dalla carica di giudice presso l’Audiencia Nacional. Delle tre accuse la più importante è sicuramente quella di aver riaperto le ferite del franchismo. È questo un tema che polarizza la nazione. "Ad accusarlo sono organizzazioni dell’estrema destra, a metterlo sotto processo giudici progressisti e a difenderlo le stelle del cinema e dello spettacolo, scese in piazza più volte a suo favore, e quella fetta di Spagna che ancora confonde la giustizia democratica con Baltasar Garzón", spiega un magistrato del Tribunale Supremo, che per ovvi motivi vuole rimanere anonimo.
In tanti si domandano perché il giudice abbia messo sott’accusa persone decedute invece di processare gli aguzzini di Franco ancora in vita. C’è chi sostiene che costoro lo avrebbero portato diritto al cuore del potere spagnolo: la monarchia, un tragitto tortuoso che neppure Garzón vuole percorrere. Un’altra risposta la si trova in un documento giuridico fatto circolare all’interno dell’Audiencia Nacional lo scorso dicembre, subito dopo lo scandalo WikiLeaks, quando "El Pais" ha accusato il fiscal jefe dell’Audiencia, Javier Zaragoza, ed il capo della Fiscalia general del estato, Candido Conde Pumpido, di aver rassicurato gli americani che l’indagine sulla prigione di Guantanamo non sarebbe mai caduta in mano a Garzón.
Il documento conferma che Zaragoza aveva più volte spiegato al giudice che i reati franchisti erano caduti in prescrizione poiché i presunti imputati erano tutti deceduti. Ribadisce anche che alla morte di Franco fu concessa un’amnistia per tutti i crimini commessi durante la guerra civile, infine ricorda che la legge della memoria storica, varata da Zapatero nel 2007, già offre alle famiglie delle vittime il risarcimento per il recupero dei resti dei propri cari. Allora perché, viene spontaneo domandarsi, Garzón dà l’ordine di riaprire le fosse comuni?
"Perché cerca i resti di García Lorca, un’impresa che se gli fosse riuscita lo avrebbe reso immensamente popolare in un momento in cui la sua stella era decisamente in declino", afferma un suo vecchio collega.
In effetti, dalla fine degli anni Novanta il giudice aveva fatto parlare poco di sé. Non aveva condotto nessuna indagine esplosiva, anche se aveva tentato di accaparrarsi quella più importante: l’attentato di Atocha.
La mattina dell’11 marzo del 2004 Garzón non è di turno all’Audiencia Nacional, ma si precipita lo stesso ad Atocha, parla con la polizia e rilascia persino interviste alla stampa. Lo fa anche se a dirigere le indagini è un collega, il giudice Juan Del Olmo. Si tratta di un comportamento che gran parte della magistratura ha reputato poco etico e che gli ha procurato molti nemici. Non è la prima volta che Garzón rompe il codice etico tra colleghi. Nel 1997, mentre è di guardia all’Audiencia, non avverte il magistrato Javier Gómez de Liaño che la polizia ha finalmente scovato il nascondiglio dove si trova Jose Antonio Ortega Lara, un secondino sequestrato dall’Eta, che il collega cerca da più di un anno. Garzón accompagna la polizia a liberare l’ostaggio ed è il primo a salutarlo con la frase: "Bentornato nel regno dei vivi". Fotografi e telecamere lo immortalano accanto a Lara. La chiamata a Gómez de Liaño avverrà solo più tardi, quando l’ostaggio sarà al sicuro.
Uno dei più grandi difetti di Baltasar Garzón è l’egocentrismo sostengono un po’ tutti, amici e nemici. Che però è stato anche un pregio. Nato in Andalusia da una famiglia contadina poverissima, che quando non aveva di che mangiare lo mandava a caccia di uccelli con la fionda, Garzón riesce a studiare grazie al parroco di Torres, suo paese natale, che lo fa entrare in seminario. Intelligente, gran lavoratore e in possesso di un intuito fuori dal comune, all’università lavora di notte e studia di giorno. Non si concede distrazioni a parte la fidanzatina, Maria Rosario che ribattezza Yayo e che sposerà appena superato l’esame di magistrato. La sua è una carriera tutta in salita, che solo un uomo fortemente individualista ed egocentrico può percorrere.
Da solo combatte battaglie che nessuno ha il coraggio d’affrontare. Gran lavoratore, il giudice Carlos Castresana racconta che passava in ufficio 18 ore al giorno ed Edoardo Martin de Pozuelo, giornalista ed amico, conferma che a differenza di molti giudici risponde al telefono anche di notte. Portatore di una sorta di giustizia messianica, forgiatasi durante gli anni in seminario, Baltasar Garzón sembra non avere paura di nessuno. "È un torero", riassume il giudice dell’Audiencia Ruiz de Prada. Nel processo di transizione verso un sistema giuridico democratico la Spagna aveva bisogno di un uomo così, impavido e fortemente sicuro di sé.
Coraggioso, dunque, ma poco generoso, un difetto questo che persino amici cari come Martin de Pozuelo e Ruiz de Prada non possono negare. Il celeberrimo caso Pinochet, quello che lo rende popolare nel mondo, viene messo in piedi e gestito dietro le quinte da Castresana, artefice anche della querela contro il generale Fortunato Galtieri per le atrocità commesse dalla giunta argentina. Garzón, di turno quando questa viene presentata all’Audiencia Nacional, la accetta senza esitare. "Mai durante le cerimonie ufficiali o nelle consegne delle 122 lauree honoris causa il giudice ha ringraziato Castresana per il contributo offerto alla causa dei diritti umani", sostengono in molti.
Egocentrismo, ambizione e poca generosità, dunque, insieme a costanza, spirito di sacrificio e intuizione sono gli ingredienti del successo di Baltasar Garzón. Un cocktail che la stampa globalizzata degli anni Novanta ribattezza juez estrella, il giudice super star. Ciò avviene il 12 giugno del 1990, durante l’operazione Necora, la prima maxi retata contro i narcos. Mentre Javier Zaragoza mette insieme la documentazione necessaria per gli arresti, Garzón decide di partecipare alla retata. Come nei film polizieschi americani scende nelle strade della Galizia infestate dai narcos in elicottero, dal cielo, con la spada in una mano e il codice nell’altra. "È un’immagine potente, che vuole dire agli spagnoli: la giustizia c’è, non si è dimenticata di voi", spiega il magistrato Dolores Delgado, che al momento indaga i reati di Gheddafi all’Aja. E la Spagna associa la lotta per la democrazia e la giustizia al volto del giudice andaluso.
"I media non credevano ai loro occhi", racconta Martin de Pozuelo: "Fino ad allora le retate le facevano i commissari e la polizia, mai i magistrati". Garzón rompe tutti gli stereotipi e rende la figura del giudice più reale ed accessibile al grande pubblico. Ci vuole coraggio per farlo, sostiene Castresana, questo è un paese dove l’Eta ha la brutta abitudine di ammazzare i magistrati. L’Eta, in ogni caso, aveva già ferito Garzón quando il 12 settembre del 1989 uccide Carmen Tagle. Membro di un gruppo di giovani magistrati dell’Audiencia Nacional ribattezzati "gli indomabili", per la loro tenacia, la Tagle aveva preso sotto le sue ali il giovane giudice andaluso, tra loro si era sviluppata un’amicizia profonda. Chiunque entrava nell’ufficio di Garzón si trovava subito di fronte la foto del giudice che ballava il flamenco con la collega.
Quindici anni dopo, alla fine di una lunga battaglia contro il terrorismo, Garzón otterrà la sua rivincita quando infligge all’Eta il colpo di grazia, mettendo fuori legge Batasuna, il suo braccio politico. Un’azione che però gli produce ulteriori nemici nella magistratura e in politica poiché avviene mentre in Parlamento si vota la storica mozione che chiede al Tribunale Supremo di dichiarare l’illegalità di Batasuna. Battendoli sul tempo, Garzón ruba ai due maggiori partiti spagnoli la gloria di aver tagliato la testa all’Eta e alle alte cariche della magistratura quella di agire da loro boia.
Ormai sotto processo, Baltasar Garzón ammette di avere nemici nella magistratura, all’interno del Tribunale Supremo, nell’avvocatura e in politica. E ha ragione. Una buona fetta del Partido Popular appoggia l’accusa di abuso di potere per la tangentopoli spagnola, il caso Gurtel, al centro della quale si trovavano politici e finanziatori del Partido Popular. Ma anche una fetta dell’ordine degli avvocati, che si è costituita parte civile nel processo, è d’accordo.
Molti politici del Psoe non gli perdonano di essere entrato in politica con Felipe Gonzáles nel 1993 per poi votare contro il partito in Parlamento, abbandonare la politica appena 12 mesi dopo le elezioni per tonare all’Audiencia Nacional e mettere sotto processo e condannare membri del governo per il ruolo giocato nella guerra sporca contro l’Eta, condotta dai Gal, le squadre della morte. Si dice che a motivarlo è stata la vendetta per non aver ottenuto da Gonzáles una poltrona ministeriale o la direzione di un organo europeo che lottasse contro la corruzione.
Infine gran parte della magistratura è convinta che le accuse riguardanti il terzo processo - non aver dichiarato i finanziamenti percepiti per l’anno sabbatico nel 2005 presso la New York University - siano fondate. Colpisce la presenza di spagnoli inquisiti, alcuni dallo stesso Garzón, tra i finanziatori e i partecipanti alle conferenze sul terrorismo organizzate dal giudice presso l’università o il pagamento da parte dell’NYU del corso di specializzazione per la figlia presso le Nazioni Uniti, costato intorno ai 20 mila dollari.
Colpevole o innocente o, piuttosto, giudice o star? La risposta potrebbe essere una frase pronunciata da un collega: "Garzón è come Maradona, la fama si è mangiata l’uomo".