Guido Olimpio, Corriere della Sera 04/05/2011, 4 maggio 2011
«HA RESISTITO, MA NON ERA ARMATO» —
Geronimo, quello vero, si arrese al Canyon nello Scheletro. Geronimo-Osama non lo ha fatto e pur disarmato «ha resistito» . Per questo lo hanno ucciso. E solo in quel momento Barack Obama ha pronunciato una frase che era un epitaffio: «Lo abbiamo preso» . Una nuova ricostruzione che ha corretto quella iniziale e spinto qualcuno a chiedersi «quante verità ci sono» . L’indagine Per l’intelligence se Bin Laden è caduto nella rete lo si deve a un lungo lavoro investigativo. Un modo per sottolineare la continuità con il passato e riconoscere gli sforzi di chi in questi anni è stato spesso sotto attacco. Ecco perché la storia riparte dal 2002. Un anno dove l’intelligence si è tolta i guanti. Ci sono Guantánamo, le prigioni segrete, la tortura. Tutto vale. Tra gli arrestati c’è chi parla di un corriere di fiducia di Osama. Un dato cruciale seguito dalle informazioni di Khaled Sheikh Mohammed e Abu Faraj Al Libi finiti nelle mani degli americani. I due conoscono solo il nomignolo e null’altro. È poco. Tre anni dopo, la Cia lancia l’Operazione Cannonball. Con i rinforzi è possibili aumentare il lavoro di «rastrello» . Dragano brandelli di informazioni, soffiate leggere e «cose buone» . Arrivano così al nome della famiglia del corriere. Al lavoro di humint — le spie in carne e ossa— si aggiunge quello elettronico. Intercettazioni, satelliti spia, controllo delle email. Alla fine gli 007 scoprono l’identità completa. Quel nome resta una pista promettente fino al luglio 2010. Secondo la versione ufficiale un informatore avvista il corriere a bordo di una Suzuki bianca a Peshawar, Pakistan. Lo riagganciano e arrivano alla fine di una strada sterrata ad Abbottabad, dove c’è la misteriosa palazzina. Sul sito scatta una sorveglianza continua. Gli abitanti del complesso sono benestanti e riservati. Non invitano mai nessuno e se i bambini del vicinato lanciano il pallone nel cortile invece che farli entrare gli danno i soldi perché ne comprino uno nuovo. L’intelligence insiste perché nel frattempo un terrorista, Ahmed Siddiqui, catturato in luglio segnala la possibile presenza di Bin Laden ad Abbottabad. La Casa Bianca è informata. La decisione Nel team governativo si discute. Il direttore della Cia, Leon Panetta, preme per agire. Altri frenano, temendo rovesci. Il 14 marzo, gli 007 sono quasi certi che dentro al compound ci sia Osama. Il 22 marzo il presidente esamina tre piani di intervento: raid elitrasportato, attacco con un bombardiere B2, azione congiunta con i pakistani. Tra generali e consiglieri non c’è l’unanimità. Il 28 aprile nuovo meeting. Sedici ore dopo, Obama convoca i suoi e senza perdere tempo dice: «Andiamo» . L’operazione La missione spetta ai Navy Seals. Un team si addestra a Coronado, il secondo vicino a Virginia Beach: hanno ricostruito un edificio identico a quello dove abita Osama. Ma non sanno quale sarà l’obiettivo. I quattro elicotteri— più altri velivoli in appoggio — arrivano nella notte su Abbottabad. La versione ufficiale continua a sostenere che sono partiti dall’Afghanistan (Jalalabad), voci alternative parlano invece di base pachistana. I DevGru, i commandos che operano insieme alla Cia, scendono sull’edificio. Due squadre d’assalto— 24 uomini— più altri militari che creano un perimetro di sicurezza. In tutto 79 uomini. Una volta dentro devono distinguere buoni da cattivi. Al primo piano abita una famiglia e una seconda vive in una casetta vicina. Gli «HVT» , i bersagli ad alto valore, dovrebbero trovarsi al secondo e terzo piano. I commandos salgono le scale ed è battaglia: i due corrieri sono falciati al secondo piano, una donna muore nel tiro incrociato. Poi i Seals arrivano al terzo, il nascondiglio di Geronimo. Lunedì avevano raccontato che si era fatto scudo della moglie. Contrordine: Osama non è armato ma si oppone ai «cacciatori» . La risposta arriva con due proiettili. Il primo lo raggiunge sopra l’occhio sinistro devastando il cranio. Il secondo centra il petto. La moglie «cerca di aggredire» un soldato e le sparano in una gamba: si chiama Amal, 29 anni, ed era un «dono» di una famiglia yemenita. È ucciso, invece, Hamza, uno dei figli di Bin Laden. Un’altra figlia del terrorista, appena dodicenne, è testimone della battaglia. Per i pachistani «ha visto tutto» . I commandos procedono all’identificazione di Osama con una speciale macchinetta che permette il riconoscimento facciale. È il momento atteso da un decennio. Inviano un messaggio alla situation room: «Geronimo E-KIA» . «Geronimo, nemico ucciso in azione» . Prima di andarsene si impadroniscono di computer e altro materiale. Finisce tutto in uno zaino. Poi legano i civili sorpresi nella palazzina e la famiglia di Osama. Più di venti persone, compresi molti bambini. I commandos sono all’esterno. Distruggono uno dei loro elicotteri — bloccato da un’avaria— e ripartono. Sono trascorsi 40 minuti. L’Operazione Geronimo è finita. Non la storia che la racconta.
Guido Olimpio