Paolo Migliavacca, Il Sole 24 Ore 3/5/2011, 3 maggio 2011
UNA CACCIA DA 1300 MILIARDI DI DOLLARI
Ora che Osama Bin Laden è stato eliminato, una delle domande che sorge spontanea è: quanto è costata al mondo la sua minaccia? Non solo, ovviamente, dal punto di vista politico-strategico: la soppressione della "grande mente" del più grave attacco militare mai subito dagli Usa sul loro territorio sicuramente non aveva prezzo, almeno dal punto di vista di Washignton. Essendo anche divenuta un punto d’onore per ben tre presidenti, che hanno fatto capire con determinazione come l’obiettivo andasse conseguito in ogni caso e a ogni prezzo. C’è poi il profilo dei costi umani (altissimi: oltre 7mila vittime complessive tra i soldati della coalizione e oltre 100mila tra i civili), ma anche di quelli economico-finanziari.
Il prezzo pagato (1.300 miliardi di dollari posti ufficialmente a bilancio dal Pentagono), rispetto all’efficacia conseguita (Osama catturato, ma al-Qaida sempre viva e operativa, seppure malconcia, anche nello stesso Afghanistan, come ha ammesso il comando Usa) appare opinabile. Anzi, – secondo il premio Nobel dell’Economia Joseph Stiglitz, che monitora fin dal 2003 l’andamento dei costi dei conflitti Usa in Iraq e Afghanistan – decisamente eccessivo. Ancora nel settembre scorso indicava sul Washington Post un controvalore di oltre 3mila miliardi di dollari.
Le cifre licenziate a fine marzo dal Congresso in un apposito studio dicono infatti che la lotta al terrorismo globale, attuata sotto forma d’interventi militari in Iraq (Iraqi Freedom) e in Afghanistan (Enduring Freedom) – oltre all’operazione Noble Eagle, volta a potenziare la sicurezza delle basi americane all’estero e interne – danno una spesa totale di 1.283,3 miliardi di dollari. Questa somma colossale deriva dagli 805 miliardi di costo dell’invasione irachena (62,7%), dai 443 di quella afghana (34,5%) e da alcune relativamente piccole voci residuali extra-budget: 28,6 miliardi dovuti soprattutto alle misure di contrasto ai cosiddetti Ied (Improvised explosive device), ordigni a basso costo che dal 2007 hanno però causato due terzi delle perdite tra le truppe Nato. E di 5,5 miliardi del bilancio 2003 non ripartiti.
Se si guarda alla destinazione delle voci di spesa, impressiona non tanto la ovvia dominanza dei fondi destinati al Pentagono (1.208 miliardi, oltre il 94% del totale), quanto l’esiguità delle voci "civili" (66,7 miliardi, 5,2%, più o meno equamente divisi tra Iraq e Afghanistan), indirizzate alla ricostruzione e a piani di pubblica utilità (scuole, ospedali, acquedotti). Quelle, per intenderci, in cui si è distinta la cooperazione italiana e che avrebbero dovuto – secondo una vecchia e lodata, ma mai troppo praticata, filosofia d’intervento Usa – «conquistare le menti e i cuori» delle popolazioni locali. Mentre alcune briciole (8,4 miliardi) sono state destinate alle spese mediche per i reduci. Con forti polemiche di questi militari per i frequenti disconoscimenti di alcune malattie di servizio legate all’uso di armi contenenti uranio impoverito.
Si potevano spendere meglio questi 1.300 miliardi di dollari? Quasi sicuramente. Le grandi incertezze e oscillazioni nell’approccio strategico post-invasione dell’Iraq sono costate care; e non solo per il numero delle vittime subite, tanto dalle truppe alleate quanto dalle popolazioni locali.
Ma dove sembra cogliere nel segno la critica di Stiglitz è in merito alla valutazione dei costi indiretti, ma assai rilevanti, della lotta al terrorismo internazionale. Sostiene infatti il premio Nobel che, per avere un quadro equilibrato dei costi-opportunità, occorrerebbe rispondere a tre domande-chiave: quale sarebbe stato il prezzo del greggio senza l’invasione dell’Iraq? Il debito federale sarebbe salito ai livelli stratosferici oggi raggiunti? La crisi internazionale sarebbe stato così lunga e profonda?
Per la prima, ritiene che il barile sia appesantito per non meno di 10 dollari. Il che si traduce in un aggravio totale di 250 miliardi, senza contare gli effetti recessivi sull’economia globale. Per il secondo quesito rileva come il debito Usa sia balzato da 6.400 miliardi di dollari del 2003 agli attuali 13.345 miliardi. Ebbene, un quarto di questo aumento è dovuto alle due guerre. Con la conseguenza ulteriore che i drastici tagli al bilancio del Pentagono previsti per raddrizzare il budget indeboliranno le capacità strategiche globali di Washington. Per la terza domanda non c’è risposta certa. Ma pare difficile trovare un ottimista in grado di negare un robusto rapporto.