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 2011  maggio 03 Martedì calendario

Troppo gentile, troppo autoironico, troppo alla mano», notava esasperato Jan Parker del New Yorker , assegnato nei primi mesi del 2008 al compito impossibile di scoprire chi fosse «realmente» George Clooney

Troppo gentile, troppo autoironico, troppo alla mano», notava esasperato Jan Parker del New Yorker , assegnato nei primi mesi del 2008 al compito impossibile di scoprire chi fosse «realmente» George Clooney. Intitolato «Bisogna sapersi controllare», sottotitolo «Lo sforzo dietro quel suo fascino senza sforzo», il lunghissimo ritratto dell’attore continuava a girare attorno a un interrogativo senza risposta: se Clooney si lasciasse andare, che cosa salterebbe fuori? Il punto è che Clooney non si lascia andare, non ci casca. Se non è riuscito a metterlo in trappola Jan Parker, che l’ha tampinato per settimane, seguendolo ovunque, in casa e fuoricasa, secondo lo stile implacabile dei cronisti delle grandi riviste americane, come potremmo farcela noi, tenuti gentilmente alla larga dalla sua villa sul lago di Como, ammessi soltanto alle sue conferenze stampa alla Mostra di Venezia? Il 6 maggio George Timothy Clooney, detto «Gorgeous George» (soprannome dato prima di lui a Giorgio Armani, ma lì l’aggettivo «gorgeous», splendido, elogiava l’immaginifico stilista, non il magnifico maschio), compie cinquant’anni. Nulla è cambiato, nessuna breccia o crepa s’è manifestata nella sua riservatezza, ben difesa anche dalla donzella che gli sta accanto (fidanzata? donna dello schermo? partner d’un accordo segreto?), la bella italiana Elisabetta Canalis, scelta peraltro azzeccatissima data la propensione al silenzio, al massimo al monosillabo, della ragazza (vedi le sue esibizioni sanremesi). Del resto, la «breccia» attraverso cui tutti vorrebbero penetrare è quella che conduce ai disvelamenti pericolosi di amori, debolezze, sofferenze. Pettegolezzi, insomma, indiscrezioni, quello che in genere si chiama «vita privata». E Clooney, appunto, la sua vita privata vuole tenerla per sé. «Non sarebbe privata, se la divulgassi», ha spesso obiettato con impeccabile logica. Si limita a dire che il matrimonio, no grazie, ha già dato, e i bambini lo rendono «nervoso». Eppure, naturalmente, qualcosa trapela. Se il Clooney pubblico non fa che confermare - a ogni presa di posizione politica, azione umanitaria, interpretazione cinematografica - l’immagine consacrata di se stesso (anche il fatto che alcuni dei suoi ultimi film siano andati male fa parte della tradizione. Quando Confessioni di una mente pericolosa fallì clamorosamente al box office, nel 2002, dichiarò ilare: «Prendo e porto a casa. Molti dei miei film sono andati tutt’altro che bene, ci ho fatto l’abitudine. Mi stupisco che continuino a farmi lavorare»), se la sua immagine divulgata, dicevamo, è sempre la stessa, qualcosa finalmente si può spigolare qua e là anche sul suo famoso «privato», sul non detto. A tradirlo, le dichiarazioni sul giro di boa del mezzo secolo. «I 50 anni non mi pesano, non è male invecchiare - scherza coi giornalisti americani -. Sempre meglio dell’altra opzione, quella di morire. Tra le due, diciamo che scelgo l’invecchiamento». E ancora: «L’altro giorno guardavo Tra le nuvole (il film di Jason Reitman del 2009 che gli ha fruttato una candidatura all’Oscar) e mi chiedevo chi fosse quell’uomo con i capelli grigi. Ero io. Non mi trucco mai nei film e la cosa comincia a vedersi». Ecco, in queste frasi lo sforzo lo avverti, altro che nonchalance, altro che perfetto controllo! Clooney ha il terrore del tempo che passa, si sente. E, come nel recentissimo The American , si vede (visione di cui pochi hanno approfittato: il film appartiene alla categoria dei suoi flop): si mostra in molte scene nudo intento a fare ginnastica, e sarà pure doveroso per il personaggio, un killer braccato che può contare solo sui suoi riflessi, tenersi in forma, ma le scene sono troppe e troppo lunghe; Clooney fa la figura di quelle signore che più il tempo passa più esibiscono la scollatura. Quanto al non truccarsi per i film, la frase va letta così: «Dio mio! Quei lievi, invisibili ritocchi di chirurgia estetica che mi sono fatto finora non bastano più!» (non è una mia illazione, ma una sua ammissione di qualche tempo fa, a proposito di un «ritocchino» agli occhi: «Obblighi del mestiere»). Insomma, il tallone d’Achille di un uomo che si ispira alla sobrietà dei vecchi divi, a una mascolinità rassicurante e sorniona, che davvero rappresenta con coerenza e intelligenza la parte liberal e impegnata dello show business americano (il film Good Night and Good Luck , da lui diretto, è una lezione di buona politica e di attenta lettura della Storia), il punto debole di un uomo così, quel che ha cercato in tutti i modi di nasconderci, vien da pensare, è la vanità. Clooney, checché cerchi di far credere, non accetta il passaggio del tempo. Sempre più allisciato, sempre più slanciato (attentissimo alle calorie, si nutre solo di lattuga e fette di melone, secondo Jan Parker), temiamo di dovercelo subire anche sempre più spogliato, a esorcizzare canizie e decadenza. O magari con un ritocchino di troppo e poi un altro e un altro, alla Faye Dunaway. George, non farlo. Sei troppo bello e bravo per invecchiare male.