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 2011  maggio 03 Martedì calendario

KENNEDY NELLA CRISI CUBANA ANTICOMUNISTA, MA RAZIONALE

Nella sua risposta su Kennedy e la Baia dei Porci non è messo adeguatamente in evidenza il principale fattore che spinse il presidente a dare il via al progetto di sovvertimento del regime castrista: il suo profondo anticomunismo. Kennedy era così avverso a Castro e al suo regime ormai filosovietico che non si arrese davanti all’insuccesso della Baia dei Porci; anzi, come hanno rivelato recenti studi sulle carte dell’archivio Cia, aveva in progetto la ripetizione di un’operazione di sbarco a Cuba di esuli anticastristi. Tanto che l’installazione dei missili sovietici nell’isola, nella estate-autunno 1962, giunse in maniera tempestiva a bloccare per sempre tali progetti kennedyani.
Gian Paolo Ferraioli
ferraioli69@hotmail. it
Caro Ferraioli, non credo che Kennedy fosse più anticomunista dei suoi due predecessori, Harry Truman e il generale Eisenhower. Quando accusò quest’ultimo di avere permesso all’Urss di scavalcare gli Stati Uniti nella corsa agli armamenti missilistici, si servì di un argomento privo di fondamento per ragioni strettamente elettorali. Il suo incontro con Kruscev a Vienna il 3 giugno 1961 andò male perché il leader sovietico ebbe l’impressione di potere trattare il suo interlocutore con sufficienza e alterigia, ma dimostrò che la nuova presidenza americana era pronta al dialogo. Sui sentimenti di Kennedy per Fidel Castro e per il suo regime lei ha certamente ragione. Ma conviene ricordare che pochi americani, in quegli anni, erano disposti ad ammettere che Cuba avesse il diritto di scegliere il proprio sistema politico e i propri alleati contro la volontà degli Stati Uniti. Nell’ottica americana, anche se nessun presidente lo avrebbe dichiarato esplicitamente, Cuba era uno Stato vassallo a cui Washington aveva elargito, dopo la guerra ispano-americana del 1898, una sovranità limitata. L’America si era riservata il diritto di mettere ordine, all’occorrenza, nei suoi affari interni e aveva voluto che questa prerogativa fosse iscritta nella costituzione dell’isola. Fra il 1906 e il 1934 i marines vi sbarcarono quattro volte: nel 1916, nel 1912, nel 1917 e nel 1933. Il vassallaggio politico ebbe termine formalmente nel 1934, quando l’America rinunciò alla clausola costituzionale che l’autorizzava a intervenire militarmente, ma continuò a disporre nell’isola di una base militare (Guantanamo) e a esercitare su Cuba un diritto di vassallaggio economico che continuò sino alla rivoluzione castrista del 1959. Il mercato nord-americano era il migliore acquirente di zucchero e sigari cubani. L’isola era il pascolo preferito di alcuni grandi gruppi agro-alimentari degli Stati Uniti. La mafia aveva posizioni importanti nei locali notturni e nei casinò, vale a dire nell’industria del turismo. Castro scelse il comunismo anche e soprattutto perché era l’ideologia che maggiormente gli permetteva di proclamare al mondo la sua intenzione di sciogliere i lacci che avevano legato l’isola agli Stati Uniti. Se la classe politica americana avesse capito che Fidel era anzitutto un nazionalista, le cose, forse, sarebbero andate diversamente. Kennedy non fu diverso dalla maggioranza dei suoi compatrioti, ma fu anche il primo presidente degli Stati Uniti che s’impegnò a non intervenire militarmente nell’isola. Il compromesso politico con cui fu risolta la crisi dei missili nel 1962 prevedeva infatti due concessioni reciproche. L’Urss s’impegnava a smantellare le sue basi missilistiche nell’isola, ma gli Stati Uniti, pur conservando la base di Guantanamo, s’impegnavamo a rispettare la sovranità di Cuba e a riconoscere l’esistenza di una frontiera politica che non avevano il diritto di attraversare.
Sergio Romano