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 2011  maggio 03 Martedì calendario

LA BATTAGLIA ORA E’ VINTA? CINQUE DOMANDE SUL FUTURO DI AL QAEDA. I LEADER EMERGENTI E LE AREE DI PERICOLO – 1

Dalle cellule ai gruppi esterni del Nord Africa. Che cosa è diventata la rete terroristica?
Uccidendo Bin Laden è stato abbattuto l’ «idolo» del terrore ma non l’idea. Il movimento è stato concepito per resistere a colpi come questo e a proseguire. Da anni, Al Qaeda funziona con una struttura mista. Non c’è una vera gerarchia ma il gruppo vuole controllare quello che fanno i seguaci. I capi che vivono nascosti tra Afghanistan e Pakistan delegano le operazioni ai «fronti esterni» che possono essere composti da cellule costituite ad hoc o dalle fazioni regionali affiliate. Di nuovo, è un ibrido. Con legami a volte stretti, altre volte lenti. C’è spesso una consultazione dal basso verso l’alto. Il rappresentante in Nord Africa può chiedere consiglio e approvazione. O comunque agisce secondo delle coordinate ideologiche. I video e i messaggi di propaganda— in gran parte fatti circolare via Internet — indicano dei parametri. Per mesi li ha curati un americano, Adam Gadahn, che partito dalla California si è trasferito in Pakistan dove ha abbracciato la causa islamista diventandone il megafono. I gruppi si attengono alle linee strategiche illustrate nel corso degli anni come agli ordini ravvicinati. Oppure sfruttano la situazione contingente, ad esempio le vignette blasfeme. La grande mole di documenti digitali— vere biblioteche della Jihad — permette a chiunque di capire cosa e come colpire. C’è poi un rituale associato al modus operandi. I qaedisti sanno firmare, senza rivendicare in modo esplicito, una strage. Usano la falange della morte — incarnata da una serie di attentatori suicidi —, prendono di mira obiettivi «soft» (poco protetti) e legati ai simboli dell’Occidente. Nella mente dei criminali le priorità nella lista dei bersagli vanno al trasporto aereo, a quello ferroviario (dai treni al metrò) e ai luoghi frequentati dagli occidentali. Un campo di battaglia infinito che pure le ben organizzate forze dell’ordine non possono controllare. Quanto ai finanziamenti ogni sezione si arrangia con la raccolta fondi, i sequestri e i traffici illegali (dai clandestini alla droga). Al Qaeda è abile come pochi a sfruttare le aree di instabilità. Le rivolte per la democrazia in Nord Africa l’hanno spiazzata, ma qualora le attese delle popolazioni dovessero essere deluse, gli estremisti sono pronti a sfruttarne la rabbia. Osama era diventato — secondo molti analisti — «ininfluente» nei suoi ultimi anni da vivo. Ora che è davvero morto, può venire resuscitato politicamente per rilanciare la lotta nel suo nome.

2. Al Zawahiri, il figlio Hamza o il giovane Al Libi Chi può sostituire l’emiro giustiziato?
L’ erede naturale di Bin Laden potrebbe essere Ayman Al Zawahiri, il dottore egiziano che si è appropriato del ruolo di ideologo. Molto noto sul piano mediatico e riferimento per una parte della jihad nord-africana, ha le ambizioni per farlo. Non tutti nell’arena jihadista lo amano, a volte è stato accusato di parlare troppo e fare poco, qualcuno contesta le sue credenziali dottrinarie. Al Zawahiri è stato sempre considerato un falco e ha manovrato, dietro le quinte, per spingere il movimento ad azioni estreme. In particolar modo in Nord Africa. Fonti pachistane ritengono che i qaedisti siano comunque pronti a investirlo della carica, mentre per ora le redini sarebbero passate al «Consiglio» . In passato sono circolate voci su un passaggio di testimone da Osama al figlio Hamza, uno di quelli che lo ha seguito nella «carovana» di lotta. Ma non vi sono certezze e non è neppure chiaro se sia lui quello ucciso nel raid insieme al padre. Inoltre non ha alcun carisma e neppure seguito. Ha un cognome, deve farsi un nome. Più interessante e pesante la figura di Abu Yahya Al Libi, sempre che sia ancora vivo. Di origine libica, nato nel 1963, è cresciuto nelle file del gruppo combattente del suo paese e poi è passato nella gerarchia— leggera— di Al Qaeda. Catturato dagli americani, è stato protagonista di una clamorosa evasione dal carcere di Bagram in Afghanistan, un episodio che ha accresciuto il suo status militare. Al Libi è sempre stato considerato un ideologo serio. Un poeta combattente, bravo nel tenere sermoni e ispiratore di quei gruppi che mescolano terrore e insurrezione. Il web è pieno di suoi video. Dunque un personaggio temuto e catalogato come un «duro» . Al pari di altri personaggi è stato dato per morto almeno un paio di volte. Punto debole: è troppo giovane. Può fare da suggeritore, dare un mano al futuro leader ma — insistono da Kabul— deve aspettare ancora prima di salire l’ultimo gradino. Gli analisti, infine, suggeriscono che Al Qaeda potrebbe nominare un emiro, per dare continuità, ma lasciando la gestione ad un Consiglio. Una formula adottata da altre formazioni per poter sopravvivere alla decapitazione. Ipotesi che risentono delle scarse informazioni in possesso sulla rete. Spesso, in questi anni, gli studiosi hanno formulato scenari completamente opposti sull’importanza dell’organizzazione o sul reale peso dei capi storici. Valutazioni discordanti non solo per ragioni politiche. Al Qaeda, in molti suoi aspetti, è ancora un mistero.

3. Soliti sospetti e carriere in ascesa Fra Mumbai e il Maghreb, chi sono i capi militari di punta?
S e indossare il mantello di Bin Laden può essere difficile, è meno complesso guidare le operazioni militari. Tra i qaedisti— veri o affiliati — non mancano i colonnelli con buona esperienza in fatto di attentati e complotti. Figure che, in questi anni, si sono dedicate alla preparazione degli uomini poi mandati in missione. La lista si apre con l’egiziano Saif Al Adel. Finito agli arresti domiciliari in Iran dopo l’ 11 settembre, è tornato nell’area tribale dove avrebbe ripreso il controllo su attività eversive da condurre in Occidente. Al Adel è esperto come pochi ed è un militante della prima ora. Ha sulla testa una taglia di cinque milioni di dollari, è accusato di aver partecipato alle stragi in Africa nell’estate del 1998. E anche quando si trovava in Iran avrebbe avuto un ruolo in un paio di attentati. Ha una carriera più recente, ma per gli 007 americani è l’astro nascente del terrorismo: il suo nome è Ilyas Kashmiri, capo della Brigata 313, detta anche l’ «Armata fantasma» . Di casa in Pakistan, con un passato nelle forze speciali, si è trasformato nel collettore di militanti provenienti dal teatro locale e dall’Europa. Rispetto ad altri terroristi tende ad usare i suoi uomini come «agenti in sonno» . Li infiltra in un Paese, ha dei referenti che possono finanziarlo, garantisce i documenti, mantiene i rapporti con sistemi sofisticati. È stato associato alla strage negli hotel di Mumbai, gode di complicità nei servizi pachistani e ha la sua forza d’urto in jihadisti provenienti dal Kashmir. In Europa ha numerosi «ufficiali» : un paio agiscono in Gran Bretagna, altri in Germania. Gli allarmi-terrorismo del 2010 sarebbero scattati in seguito all’attività di Kashmiri. L’intelligence ha segnalato l’afflusso in alcuni campi d’addestramento di molti tedeschi. Hanno compiti regionali, quadri di seconda linea. Il più interessante è Fazul Abdullah Mohammed, responsabile dei qaedisti nel Corno d’Africa. Più enigmatico il ruolo di Adnan Shukrijumah, detto «il pilota» . Cresciuto in Florida, poliglotta, ha creato un suo network tra gli Stati Uniti e i Caraibi. L’Fbi ha sempre pensato che un eventuale attacco all’America potrebbe essere legato al «pilota» , terrorista che predilige complici che conoscono bene il territorio ed è maniaco dei dettagli. Insieme ai «soliti sospetti» — e questo è il timore— ci possono essere nuove leve. Persone non inquadrate dai radar dell’intelligence: Al Qaeda ha subito perdite devastanti, però è sempre riuscita a trovare dei rimpiazzi. Magari meno capaci. Non più i «soldati perfetti» come Mohammed Atta, ma sempre determinati.

4. Le lezioni della bomba di Marrakesh e il caos yemenita Quali gruppi saranno pericolosi d’ora in poi?
L’ ultimo attacco è avvenuto pochi giorni fa nella piazza centrale di Marrakesh, in Marocco. Un ordigno ha fatto strage di turisti. Per la polizia potrebbe trattarsi di un’azione organizzata da Al Qaeda nella terra del Maghreb oppure da un gruppuscolo salafita. Un episodio che testimonia la minaccia multiforme del qaedismo. Fazioni che combinano agende locali con gli obiettivi dettati dalla casa madre. Nuclei terroristici che crescono in modo autonomo e poi magari cercano un legame con i «professionisti» . Se guardiamo ad una mappa del mondo non sono poche le bandierine nere che segnalano l’attività di gruppi pericolosi. Il primo focus riguarda appunto il Nord Africa dove Al Qaeda nella terra del Maghreb si propone come riferimento per gli islamisti dell’area. Dispone di grandi risorse— grazie ai sequestri di turisti— e ha più volte minacciato di colpire in Europa. Da fazione algerina si è tramutata nella rappresentanza qaedista: è seguita con grande attenzione dagli 007 italiani e francesi che ritengono possa avere affiliati nei due Paesi. Altro scacchiere, lo Yemen. Qui si nasconde Al Qaeda nella penisola arabica, organizzazione che oltre a scatenare una guerra contro il regime ha cercato di distruggere jet americani. Un’operazione affidata al nigeriano con le mutande bomba. Attacco fallito, poi seguito da un invio di pacchi esplosivi. È formata da sauditi, yemeniti e qualche volontario venuto dall’Occidente. Tra le sue file si è fatto spazio l’imam Anwar Al Awlaki. Nato a Las Cruces (New Mexico), con nazionalità americana e yemenita, è il portavoce mediatico della branca locale. Lo considerano «un cattivo maestro» capace di attirare giovani occidentali grazie al suo inglese perfetto. Per l’intelligence i terroristi della penisola sono in grado di riservare sorprese. Magari insieme ai loro fratelli della vicina Somalia. Più vicini al teatro bellico ci sono ovviamente il Pakistan e l’India: Paesi vittime di terrorismo interno che si lega a quello internazionale. Spesso è difficile distinguere i contorni delle fazioni. Sono comunque letali e bene organizzate. Nel panorama eversivo non mancano realtà minori ma non per questo meno temibili. Gli 007 hanno notato un «ritorno» di estremisti in Indonesia, un network formato da microcellule indipendenti. Fenomeno che apre un altro scenario: quello dei lupi solitari. Individui che entrano in azione senza alcun apparente rapporto con il movimento. È la situazione che più spaventa le forze di polizia.


5. Kamikaze isolati o missioni sul modello di Londra Bisogna attendersi un’ondata di ritorsioni?
L a fantasia criminale dei terroristi non ha limiti. E dopo l’ 11 settembre, in seguito alle contromisure adottate in tutto il mondo, hanno dovuto sforzarsi. Gli osservatori ritengono che, per il momento, la prima risposta potrebbe venire da una serie di attacchi definiti «minori» , intendendo che non hanno la stessa magnitudine di quanto avvenuto alle Torri Gemelle. Ma non può essere una consolazione: sono attentati che uccidono, provocano danni economici, perturbano la vita quotidiana. Ripetono su scala ridotta quello che la loro guida ha auspicato. Un’eventuale reazione è anche un test. Per i qaedisti apprendere dell’uccisione del loro leader è stato uno choc terribile. Forse lo consideravano imprendibile. E allora sono costretti a replicare, ovviamente in base alle loro possibilità. Per riaffermare la rilevanza politica, per dimostrare la capacità militare, per ridare fiducia ai ranghi. Gli esperti dell’antiterrorismo considerano due scenari. Quello dell’azione indiscriminata, con il kamikaze che agisce quando trova la finestra di opportunità. E potrebbe essere ovunque. Più facile che avvenga in quei Paesi vicino alle basi qaediste. Questo per aggirare i nuovi controlli e la vigilanza. Il secondo è l’attacco mirato, magari affidato a elementi che vivono da tempo in Occidente ed erano destinati a missioni future. L’uccisione di Osama vale la loro attivazione. Tenendo presente le capacità degli artificieri yemeniti si teme che i militanti abbiano messo a puntomicro-ordigni. Come hanno affermato loro stessi su una pubblicazione online: la guerra è un trucco. Ma a volte l’ordigno non è per nulla sofisticato e può essere realizzato in cucina mescolando prodotti reperibili in qualsiasi ferramenta. È la famigerata «madre di Satana» , usata in dozzine di attentati e la cui formula è alla portata di mano anche dei terroristi-fai-da-te. Una miscela che ha provocato molte vittime, ad esempio nel metrò di Londra, una delle città considerate più a rischio. In queste settimane ci si è chiesti se Al Qaeda abbia la capacità di ricorrere a armi di distruzione di massa, sia pure rudimentali. Diversi rapporti hanno sottolineato che i seguaci di Bin Laden hanno cercato di procurarsele, anche se è complesso arrivarci e lo è ancora di più usarle. Quanto agli obiettivi, i terroristi pensano sempre in grande ma poi si adattano. Non vanno sottovalutati ma neppure considerati dei maghi. In questi anni sono stati tanti i loro complotti conclusisi con un fallimento.
Guido Olimpio