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 2011  aprile 24 Domenica calendario

FABERGE’ L’ORAFO

«Ho talmente tanto da fare che mi si drizzano i capelli. Adesso che quello stupido di Fabergé ha aperto il suo negozio a Londra, voi avete tutto e io non posso mandarvi nulla di novo e per questo mi arrabbio». Così Maria Feodorovna, moglie dello zar Alessandro III, scriveva nel 1906 alla sorella Alessandra, moglie di Edoardo VII d’ Inghilterra. Fino ad allora aveva risolto senza problemi i regali con la parentela inglese. Ora l’ apertura della filiale londinese di Fabergé, frequentatissima dalla casa reale, la costringeva a cercare altrove. Eppure era stata proprio la zarina a decretare il successo e la fama mondiale di Peter Carl Fabergé, figlio di una famiglia di orafi di San Pietroburgo, che intorno al 1885 aveva rinnovato la produzione di famiglia con lavori che combinavano stili del passato, dall’ arte gotica all’ Art Nouveau. Fu a lui che si rivolse Alessandro III quando decise di regalare alla consorte un uovo di Pasqua con dentro una serie di sorprese, tipo matrioska. La committenza era precisa: l’ uovo doveva contenere una gallinella che a sua volta doveva contenere una piccola corona con all’ interno due ovetti di rubino, da indossare con una catenella. Il regalo fu talmente apprezzato dalla zarina, che da allora, ogni anno, Alessandro III ordinò un uovo pasquale a Fabergé. E alla sua morte le ordinazioni del figlio Nicola II raddoppiarono: un uovo per la madre e uno per la giovane moglie Alessandra Feodorovna. La tradizione di scambiarsi le uova di Pasqua è infatti molto sentita anche nei paesi di tradizione ortodossa. Quest’ anno le festività pasquali delle due religioni (cattolica e ortodossa) coincidono. E per l’ occasione sono state organizzate due mostre: la prima, allestita nel Salone di Raffaello presso i Musei Vaticani (fino all’ 11 giugno), presenta le uova imperiali di Fabergé, risplendenti di smalti, oro e pietre preziose, insieme a una raccolta di icone e di oggetti creati dal celebre orafo. L’ altra, realizzata nelle sale del Museo Pietro Canonica a Villa Borghese (vicino a piazza di Siena, fino al 26 aprile), raccoglie trecento uova dipinte, accompagnate da icone su vetro di ispirazione pasquale e vari oggetti della tradizione rumena. Entrambe le rassegne sono da non perdere. Nel Salone di Raffaello si ammira lo sfarzo dei lavori di Fabergé e di altri importanti orafi che operarono in Russia tra la fine dell’ Ottocento e i primi del Novecento. In tutto oltre 140 capolavori di alta gioielleria recuperati alle aste di tutto il mondo dall’ imprenditore russo Vicktor Vekselberg per la sua fondazione «The Link of Times». Tra questi le nove uova imperiali raccolte dal magnate americano Malcolm Forbes. Fabergé ne aveva realizzate una cinquantina, che vennero disperse con la Rivoluzione. Oggi, oltre alle nove della collezione Forbes, se ne conoscono una decina conservate al Museo dell’ Armeria del Cremlino, tredici divise tra vari musei degli Stati Uniti, tre di proprietà della regina Elisabetta, altre tre della famiglia Sandoz e uno del principato di Monaco. Nella mostra si possono osservare, per la prima volta, anche il primo uovo-gallina e l’ uovo «Croce di San Gorgio», l’ ultimo realizzato da Fabergé per gli zar, in piena guerra, nel 1916. Due anni dopo, l’ intera famiglia imperiale sarebbe stata trucidata. Magnifico anche l’ allestimento delle uova dipinte rumene tra le sculture del Museo Canonica, organizzato dall’ Accademia di Romania e dal museo contadino di Bucarest. Secondo la tradizione di questo paese, la fine del mondo verrà solo quando non si dipingeranno più le uova per la Pasqua. Perciò tutti ne producono in gran quantità: si dipingono le uova di gallina e altre in vetro e in materiali poveri, ma con bellissimi colori e disegni di oggetti che ricordano i lavori della campagna, come l’ arcolaio, la spola, la zappa, il rastrello. Le complesse tecniche di preparazione di questi piccoli capolavori vengono illustrate da un documentario. Dei cartelli scritti a mano raccontano storie della tradizione, come quella dei gusci delle uova benedette che vengono lasciate galleggiare nei fiumi, pensando che così arrivino nell’ ombelico del mondo.
Lauretta Colonnelli