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 2011  maggio 03 Martedì calendario

L’ITALIANO CHE PROFUMA IL MONDO

RobertoMartoneèunodiqueirari uomini che con le loro intuizioni, riescono a inventare da zero nuovi settori di business. E portarli al successo. Il patron del gruppo Icr (la sigla sta per Industrie cosmetiche riunite) ha letteralmente inventato i profumi made in Italy. Prima che dai suoi laboratori uscissero le fragranze che deliziano oramai abitualmente il nostro olfatto, nessuno si sarebbe mai immaginato di produrre né tantomeno di vendere una bottiglietta con la scritta “fatto in Italia”. Erano gli anni Settanta e chiunque aspirasse a portare al successo un profumo doveva cambiargli la carta d’identità. «Pensi che molte imprese del settore», spiega Martone, «andavano ad acquistare le bottigliette di vetro a Parigi, per poterle etichettare come francesi. Guai a vedere scritto sulla confezione Made in Italy. Nessun negoziante l’avrebbe voluto».
Incontriamo Martone in una mattinata di questa primavera capricciosa e un po’ fuori dalle regole, nel grande impianto di produzione della Icr alle porte di Lodi, sulla strada provinciale 25 che porta a Boffalora. Una piccola “città” del lavoro con 600 abitanti, gli addetti del gruppo. La cornice verde dei campi, con le tonalità accese che in questa stagione colorano la Pianura Padana, trasmette una sensazione rassicurante. Nell’ampia terrazza su cui si affaccia il suo ufficio alcune cinciallegre si inseguono in un gioco frenetico e spensierato. «Non siamo stati sempre qui. Io sono di Milano e prima lo stabilimento era in Via Tortona, a due passi da Porta Genova. Ma a un certo punto non ci stavamo più, come sta accadendo ora... Dovremmo ampliare lo spazio destinato ai magazzini di stoccaggio. Di recente ne abbiamo costruito uno a Cortemaggiore, in Emilia, nell’ex area dell’Eni». Non corriamo. A noi interessa capire innanzitutto com’è nata la società, i primi passi nel nuovo business delle fragranze. Come accadde, insomma, che gli italiani sono diventati profumieri stimati e invidiati in tutto il mondo.
«Era il 1978», racconta, «quando abbiamo firmato il primo contratto per la produzione di un profumo su licenza con Renato Balestra». Da quel momento si crea un binomio inscindibile ma fortissimo. Le griffe dello stile made in Italy, entrano nel mondo dei profumi. «Ma la svolta fondamentale», aggiunge Martone, «arriva dall’accordo nell’81 con Nicola Trussardi per la produzione e la distribuzione mondiale di profumi della Casa del Levriero. Quell’anno lanciamo la prima fragranza femminile, l’anno successivo la linea maschile che per anni è rimasto il profumo più venduto in Italia nel settore della profumeria selettiva. Da allora non ci siamo più fermati: sempre negli anni Ottanta altre importanti griffe come Romeo Gigli e Nazareno Gabrielli scelgono la Icr».
IN PRODUZIONE 1000 ESSENZE
Ma il successo non è casuale anche se lui lo fa sembrare scontato. Come tutti i veri imprenditori, parla con naturale understatement di ciò che ha fatto. La scelta dei grandi brand della moda di affidarsi a lui ai primi si aggiungono via via Versace, Bulgari, Ungaro, Gai Mattiolo, Ferragamo, Blumarine e Blugirl, Roberto Cavalli, Dsquared discende da una forza e una professionalità uniche. Qui, alle porte di Lodi, c’è davvero una delle capitali mondiali del profumo. In 35 anni sono state inventate almeno 20mila formule che hanno originato circa 2mila prodotti finiti. Mille sono tuttora in produzione.
Ma l’uomo che profuma il mondo non
nasce profumierie. «L’azienda di famiglia che allora si chiamava Marvin parte come società farmaceutica nel primo dopoguerra fondata da mio padre. Attorno agli anni Sessanta sviluppò più che altro per passione una linea cosmetica ipoallergenica con le cliniche universitarie di Milano e Roma. Negli anni Settanta con gli scontri attorno al farmaceutico italiano papà Vincenzo decide di cedere la produzione di farmaci. Di lì a poco muore improvvisamente. Era il ’75 quando ho fondato la Icr Industrie cosmetiche riunite. Avevo in testa una missione precisa: dedicarmi al mondo delle fragranze. Mi ero laureato nel ’71 e in quegli anni si vedevano i primi segnali di un’onda che stava crescendo proprio allora, quella degli stilisti italiani. Ma mentre i marchi della moda andavano affermandosi in tutto il mondo, nei profumi il made in Italy era del tutto assente. Avevamo quasi vergogna a battezzare come italiano un profumo. Molti produttori scrivevano sulla confezione “bottled in France”, acquistando il vetro in Francia». Lì scatta l’intuizione di Martone: sposare il grande stile italiano ai profumi. «Il primo l’ho prodotto firmando la licenza con Renato Balestra: sulla confezione c’era stampato made in Italy. È stata la Icr a introdurre nella profumeria i prodotti interamente italiani. Ma la società si è sviluppata molto col marchio Trussardi dall’81 in poi. Pensi che ad un certo punto Trussardi è uscito dal nostro mondo per rientrare però quest’anno. A gennaio abbiamo sottoscritto un nuovo accordo di licenza».
Cosa voglia dire ideare e produrre un profumo interamente italiano lo si capisce visitando lo stabilimento della Icr, dai laboratori dove si sviluppano le formule e si analizzano i componenti, provandoli e riprovandoli per accertarsi che siano i migliori disponibili, fino alle linee di confezionamento che occupano migliaia di metri lineari e quelle per la logistica e la spedizione che assomigliano a una catterale tecnologica: i magazzini occupano decine di migliaia di metri su otto livelli. Per movimentare gli scatoloni di profumo sono in funzione dei muletti telescopici capaci di portare l’operatore a 30 metri da terra. «La nostra è un’azienda familiare con la cultura di fare tutto all’interno», racconta Martone, «in questo mi sono ispirato a mio padre. Qui c’è l’intero ciclo della produzione dalla formulazione alla produzione delle fragranze, fino alla confezione e alla logistica».
SI LAVORA CON LO STILISTA
Tecnologia ce n’è tanta nei 43mila metri quadrati dello stabilimento. Ma non si rischia di dimenticare la fase più importante nella vita di un profumo. La sua invenzione. Che è sì un atto creativo allo stato puro anche se si gioca su un terreno ben definito. Racconta Martone: «Per noi è fondamentale interpretare e rappresentare l’identità di ciascuno stilista. Avendo più marchi dobbiamo calarci nell’identità di ogni brand. Nella fase iniziale lavoriamo a stretto contatto con lo stilista per definire il concept creativo. Poi sviluppiamo il nome, il packaging e la fragranza, che ha la parte decisiva nei fattori critici di successo. Il marchio, la confezione e la pubblicità sono importanti ma la fragranza pesa per il 60 per cento sul valore del profumo. Serve qualità, il massimo possibile. Ogni volta l’obiettivo è uno solo: creare la migliore formula con le migliori materie prime esistenti sul mercato. All’inizio non ci poniamo neppure limiti di costo anche se sappiamo di dover sviluppare un prodotto industrialmente sostenibile. Da noi non entra neppure una goccia di prodotti cinesi. Quel che utilizziamo proviene solo dall’Europa e dagli Stati Uniti».
L’anno scorso da Lodi sono usciti 63 milioni di confezioni di profumo, l’80 per cento destinato ai mercati esteri, che valgono come fatturato consolidato di gruppo 128 milioni di euro, per di più in crescita del 28% sul 2009.
Il punto d’arrivo di un percorso iniziato 35 anni fa è una delle eccellenze italiane. Oggi fra il profumo made in Italy e le griffe della moda c’è un’identificazione inscindibile, entrata a far parte della nostra cultura collettiva. Merito dell’intuizione di Martone.