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 2011  aprile 23 Sabato calendario

LA SERIE A AI FERRI CORTI SUL TESORETTO DEI DIRITTI TV

Giornate così convulse in Lega non si sono vissute neppure ai tempi del divorzio dalla serie B. In ballo ci sono i 200 milioni di euro – pari al 25% dei diritti tv – che dovrebbero essere ripartiti in base al bacino di utenza e sui quali, invece, sta andando in scena un muro contro muro di cui è difficile prevedere l’esito.

Da un lato ci sono Juventus, Inter, Milan, Roma e Napoli, le squadre che hanno tradizionalmente un maggior seguito e che grazie a questa quota di proventi televisivi si augurano di recuperare i ricavi ai quali fin qui hanno rinunciato a favore della mutualità; dall’altro lato, la coalizione dei 15 club medio-piccoli che la scorsa settimana, con un blitz, hanno approvato una delibera con la quale hanno dato mandato a tre società demoscopiche – Doxa, Full-Six e Sport+Markt – di "verificare" la fede calcistica degli italiani secondo criteri più elastici di quelli indicati dalle cinque big.

La legge Melandri (il decreto legislativo n. 9 del 2008), dalla scorsa stagione, ha ripristinato la vendita collettiva dei diritti tv, suddividendone i proventi – circa un miliardo all’anno, dedotta una cifra devoluta, tra l’altro, a categorie minori e settori giovanili – tra i 20 club di A, alla luce di questi criteri: il 40% in parti uguali; il 30% in virtù dei risultati sportivi; e un restante 30%, in base ai bacini d’utenza, vale a dire al numero dei "sostenitori" da identificare appunto attraverso un sondaggio ad hoc.

Ora, per la coalizione delle 15 società il bacino di utenza va selezionato considerando tutti coloro che in qualche modo seguono una certa squadra e ne sono perciò "simpatizzanti", "appassionati" o "partecipanti". Si ritengono rilevanti i più diversi parametri, dal ticketing, al merchandising fino alla lettura dei giornali. Secondo i club di prima fascia, invece, la legge Melandri richiama esclusivamente l’ambito "televisivo" e quindi un modello univoco di tifoso.

Per questo motivo, Rinaldo Ghelfi, vicepresidente dell’Inter, Andrea Agnelli, presidente della Juventus, Adriano Galliani, vicepresidente del Milan, Aurelio De Laurentiis, presidente del Napoli, e Rossella Sensi, presidente della Roma (in attesa che venga ufficializzata la cessione alla cordata Usa), hanno ieri sottoscritto un reclamo alla Corte di Giustizia della Figc, per la «sospensione dell’esecuzione e l’annullamento della delibera» del 15 aprile.

Gli stessi club sono poi riusciti a bloccarne l’esecuzione. «Ci sono state delle mozioni di ineseguibilità documentate e su questo si è votato – ha spiegato l’ad dell’Inter, Ernesto Paolillo -. La votazione è finita 5 a 5, quindi la delibera non era eseguibile, si torna in assemblea il 3 maggio». Dura la reazione degli altri team. «Non è cambiato nulla, siamo venuti a perdere tempo come temevamo – ha detto il presidente del Parma Tommaso Ghirardi, lasciando il Consiglio della Lega –. Lo scenario è triste. Forse qualcuno non ha bisogno di soldi, ma al Parma farebbero comodo».

Una settimana di riflessione potrebbe servire a tutti. In effetti, il surplus di ricavi rispetto alle trattative individuali ottenuto con la vendita collettiva – circa 200 milioni – doveva servire a premiare i club di maggior rango e con un pubblico più vasto, consentendogli di non perdere terreno nella competizione con le più prestigiose realtà del calcio spagnolo, inglese e tedesco. Ma con i criteri fissati dalla delibera del 15 aprile questo obiettivo sarebbe vanificato.

Questa almeno è la preoccupazione espressa dalle milanesi e dalla Juventus. E alcune simulazioni che circolano in Lega sembrano attestare questo timore. I bianconeri, dal pre al post Melandri, potrebbero passare in quanto a ricavi da diritti di trasmissione dei match, da poco più di 100 milioni a poco meno di 90. Milan e Inter, d’altro canto, potrebbero scendere da circa 90 a 80 milioni. E a una decina di milioni potrebbe dover dire addio anche la Roma.

Il Napoli, grazie al merito sportivo, meno al bacino d’utenza, potrebbe guadagnare quattro o cinque milioni. Ma incasserebbe, di fatto, poco più del doppio di un club con un parco-supporter meno nutrito quale il Chievo. Squadre come Lazio, Fiorentina e Palermo potrebbero superare poi la soglia dei 40 milioni incrementando questa voce del fatturato di cinque, sei milioni. E incrementi poco più bassi potrebbero registrate anche Cagliari, Udinese, Brescia, Parma e Bologna. La partita, in ogni caso, è ancora tutta da giocare.