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 2011  aprile 28 Giovedì calendario

INVESTIRE SUL PASSATO

Il primo è stato Ötzi, "l’uomo dei ghiacci" vissuto 5.300 anni fa e ritrovato nel 1991. Il suo corpo – perfettamente conservato – è divenuto oggetto di culto sia per la ricerca scientifica sia per i mass media: articoli di giornale, libri, magliette, gadget e persino tatuaggi che ne riproducono la silhouette (anche Brad Pitt ne ha uno) hanno trasformato quell’antico cacciatore dell’Età del rame in un beniamino del pubblico. E grazie alla sua presenza il museo archeologico dell’Alto Adige ha fatto il pieno di visitatori: oltre 3 milioni dal 1998 a oggi, con un incasso annuo di circa un milione e 400mila euro. Non male.

Dopo l’iceman, altre mummie stanno salendo alla ribalta delle cronache per merito del team "Mummy project", che ha presentato i risultati del proprio lavoro al XII Congresso europeo di Chirurgia d’urgenza e del trauma, in corso in questi giorni a Milano. «La nostra équipe si è formata da più di un anno ed è composta da specialisti di settori diversi: antropologi, chimici, egittologi, esperti di datazioni – spiega Sabina Malgora, archeologa e coordinatrice del progetto –. Attraverso l’uso di moderne tecnologie diagnostiche puntiamo a restituire un’identità alle mummie che studiamo». Con metodi di indagine stile Csi si cerca di dare (letteralmente) un volto a questi abitanti del passato, svelandone abitudini alimentari, incombenze lavorative e cause mortali. «E confrontando il loro Dna col nostro – spiega Luca Bernardo, direttore del dipartimento Materno infantile del Fatebenefratelli di Milano, anch’egli coordinatore del progetto – potrebbero esserci risvolti utili nella lotta alle malattie ereditarie».

La prima prova del "Mummy project" è stata l’indagine sulla misteriosa mummia di Asti, custodita al Museo civico archeologico e paleontologico della città piemontese. Le iscrizioni sul sarcofago lasciavano pensare che si trattasse di Ankhpakhered, sacerdote vissuto tra il 945 e il 715 a.C. dedito al culto di Min, divinità legata alla fertilità e alla sessualità. Ma dopo i primi rilievi sono sorti molti dubbi intorno all’autenticità di queste indicazioni: «In primo luogo – spiega Malgora – ci siamo trovati di fronte uno scheletro del tutto scomposto, cosa piuttosto strana considerando la cura che gli egizi prestavano alla mummificazione. In più, le spoglie riposavano su una barella costituita da 21 canne e non c’erano amuleti per accompagnare il defunto nell’aldilà». Sarcofago e resti, dunque, raccontavano due storie diverse, così il team ha deciso di affidarsi all’indagine scientifica per scoprire la verità. Una Tac spirale total body a strato sottile e una ricostruzione 3D computerizzata – usata per la prima volta in Italia – ha permesso di stabilire che non si tratta della mummia Ankhpakhered. «Analisi ossee – spiega Bernardo – inducono a pensare che il soggetto abbia svolto un lavoro stressante per gli arti inferiori e ciò non si addice a un sacerdote». Le ipotesi a questo punto si sono moltiplicate: un furto di sarcofago a opera di un futuro nuovo proprietario? Una falsa mummificazione messa in atto da un mercante d’arte? Per rispondere a tali interrogativi bisognerà aspettare l’esito sui reperti ossei con un’innovativa tecnica endoscopica. «In autunno avremo i risultati e contiamo di svelare il mistero – conclude la dottoressa –. Ma il nostro lavoro non termina con Ankhpakhered: ci sono già altre mummie in lista d’attesa». E di sicuro anche per loro non mancheranno i visitatori pronti a fare il biglietto.