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 2011  aprile 28 Giovedì calendario

SE ATENE RISTRUTTURA PAGANO GLI STATI

Il costo di una ristrutturazione del debito greco, che molti economisti e i mercati finanziari cominciano a ritenere inevitabile, verrebbe sopportato quasi interamente dagli altri Paesi dell’area euro e dalla Banca centrale europea. Infatti, il debito si sta spostando rapidamente dai portafogli dei creditori privati - le banche europee, tedesche in primis - a quelli dei creditori istituzionali.

Ne è convinto uno dei legali dello studio newyorchese, Cleary Gottlieb, che è stato il principale consulente dell’Argentina negli anni seguiti al default del 2001. L’esperto di debito sovrano, Lee Buchheit, in un’analisi scritta insieme a un professore della Duke University, Mitu Gulati, studia come ristrutturare il debito greco, confrontando tra l’altro il caso Grecia con quelli dell’America latina degli anni 80 e 90. Il paper (Greek debt: the endgame scenarios) è uno dei più discussi nelle ultime settimane in ambienti istituzionali - se n’è parlato a lungo fra i partecipanti agli incontri del Fondo monetario a Washington - e fra gli investitori. Se, negli ultimi due decenni del secolo scorso, i Governi, guidati dal Tesoro Usa, avevano convinto le banche ad accettare perdite (seppur modeste e diluite nel tempo da concessioni sotto il profilo contabile) sul debito dei Paesi emergenti, in Europa il settore istituzionale, rilevano Buchheit e Gulati, sta di fatto comprando il debito greco dai creditori originari a prezzo pieno e a scadenza: man mano che i titoli maturano, vengono rimborsati utilizzando le linee di credito estese l’anno scorso con il pacchetto di salvataggio Ue-Fmi da 110 miliardi di euro. Dato che l’Fmi ha comunque lo status di creditore privilegiato e deve essere rimborsato interamente, saranno i Governi europei e la Bce (che ha acquistato titoli greci sul mercato per un importo valutato in 40-50 miliardi di euro), in ultima analisi i contribuenti dell’area dell’euro, a sobbarcarsi le perdite in caso di ristrutturazione del debito di Atene. Anche se dovesse essere fatta su base "volontaria", con semplice allungamento delle scadenze, lasciando invariati capitale e cedole, come nel precedente più citato, quello dell’Uruguay nel 2003.

I due esperti legali individuano tre scenari, ognuno dei quali presenta pesanti rischi o controindicazioni, per il caso Grecia. Il primo è che il programma di Atene raggiunga gli obiettivi, convinca i mercati e consenta al Tesoro greco di raccogliere nuovamente capitali privati alla fine dei tre anni. Il paper (e i mercati, a giudicare dagli spread) lo ritiene poco plausibile, dato che il debito si avvia a superare il 150% del Pil e altri due anni di austerità continueranno a comprimere la crescita.

Il secondo scenario riguarda il dopo-2013, alla scadenza del piano: se la Grecia riguadagnasse accesso ai mercati, la ristrutturazione dovrebbe comportare perdite per i creditori istituzionali (che per allora avranno in mano oltre metà del debito greco), o per i privati, o per entrambi, suddividendole equamente. Un’altra possibilità è che, volendo evitare una ristrutturazione, si continui con nuovi prestiti per ripagare i primi, di fatto spostando interamente l’onere sul settore pubblico.

Il terzo scenario ammette che la ristrutturazione possa avvenire prima del 2013, coinvolgendo i creditori in modo "volontario", magari incentivandoli con l’equivalente dei Brady bond, che vennero emessi dal Tesoro Usa per i Paesi latinoamericani. Un’operazione che però potrebbe non bastare a restituire sostenibilità al debito greco. L’alternativa, pre-2013, sarebbe un taglio più brutale (i due autori lo chiamano il "Full Monty") che comprenda una forte riduzione del valore nominale del debito. Una soluzione difficilmente accettabile per gli altri Paesi europei che hanno impegnato i soldi dei contribuenti per evitare ogni ristrutturazione, e ad alto rischio di contagio sul debito degli altri periferici.

Anche in ambienti ufficiali, qualcuno, dietro il muro dei no alla ristrutturazione, comincia a pensare che qualcosa andrebbe fatto prima del 2013. La convenienza politica della Germania, dove potrebbe essere più facile far digerire all’opinione pubblica una ricapitalizzazione con soldi pubblici delle banche nazionali piuttosto che altri salvataggi, potrebbe risultare decisiva.