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 2011  aprile 29 Venerdì calendario

TRADING FRANCESE PER ESPORTARE UTILI

Il bilancio di Lactalis è noto solo al top management, al consiglio d’amministrazione della società e al suo azionista, la famiglia Besnier. Non è invece conosciuto dagli investitori, per il semplice fatto che, non essendo quotato in Borsa, il gruppo può permettersi di non depositarlo. Pur di non rendere pubblici i conti, Lactalis preferisce pagare un’ammenda così come è previsto dalla legge francese. Un’ammenda evidentemente risibile rispetto ai suoi dieci miliardi stimati di giro d’affari.

Non che nel nostro paese le cose vadano in modo assai diverso. Se una società di capitali italiana di piccole, medie o grandi dimensioni non deposita il bilancio alla Camera di commercio se la cava con una penalità di 549,34 euro per ogni componente del consiglio d’amministrazione. In pratica, con qualche migliaia di euro. Un’inezia. I motivi per non divulgare il bilancio possono essere diversi. Per esempio, una media azienda che esporta molto dall’Italia alla Germania potrebbe avere interesse a non renderlo noto per non avvantaggiare i concorrenti. La legislazione tedesca in materia – riferisce un esperto del settore – è infatti tra le più opache a livello europeo e pubblicare il bilancio a fronte di una legislazione asimmetrica potrebbe significare regalare informazioni ai competitors. Non è però questo il caso di Lactalis.

Comunque sia, per il gruppo francese di origine bretone l’Opa su Parmalat rappresenterà il momento della verità. La nuova disciplina della Consob, che entra in vigore il 2 maggio, accresce gli obblighi informativi dei soggetti offerenti anche quando a lanciare l’Opa sia, come nel caso in questione, una società non presente sul listino. Lactalis deve pertanto allegare al prospetto d’offerta di prossima pubblicazione un’ampio corredo informativo sul suo conto economico e sul suo stato patrimoniale riclassificati degli ultimi due esercizi, comprese le informazioni sull’impatto delle modalità di finanziamento dell’Opa sul patrimonio netto. Per di più la Consob ha il potere di chiederle notizie integrative che restituiscano agli azionisti coinvolti nell’Opa un quadro economico-finanziario il più esaustivo possibile.

Uno dei punti più delicati e interessanti del bilancio della società d’Oltralpe è l’incidenza del trading di latte sul suo margine industriale. Il gruppo è attualmente attivo in Italia, nel settore dei formaggi, con i marchi Galbani, Locatelli e Cademartori. Esso produce nel nostro paese attraverso la Egidio Galbani Spa, la quale acquista la materia prima da Italatte (posseduta da Lactalis Italia) che se ne approvvigiona a sua volta sul mercato. Dall’ultimo bilancio, quello al 31 dicembre 2009, risulta che Italatte abbia acquistato 770 milioni di litri di latte (+1,4% rispetto all’esercizio precedente) e che li abbia totalmente rivenduti a Galbani. Dal valore degli acquisti, pari a 305,6 milioni di euro, si desume che il latte sia stato pagato a un prezzo medio di 40 centesimi al litro contro i 53 centesimi del 2008, quando gli acquisti complessivi di Italatte superavano i 400 milioni di euro. Quello che il bilancio non dice è in che misura questa massa di latte provenga dai malgari e dagli allevatori italiani e in che misura, invece, arrivi dalla Francia. Le fonti consultate dal Sole-24 Ore riferiscono che i quantitativi provenienti d’Oltralpe superano di gran lunga quelli acquistati in Italia. E, siccome la produzione di latte in Francia ha costi molto più bassi che nella Penisola, questo significa che Lactalis può legittimamente lucrare sul differenziale di prezzo tra i due paesi: importare il latte a valori francesi dagli allevatori transalpini per rivenderlo a prezzi italiani alla Galbani. Con questo sistema e in modo assolutamente legale, la società della famiglia Besnier può trasferire nel suo paese d’origine i profitti da essa generati in Italia e pagarvi le imposte in Francia.

In questo momento, per esempio, il latte in Italia vale 42 centesimi al litro contro i 30-32 centesimi della Francia (a cui andrebbero sommati 2-3 centesimi per l’eventuale trasporto in Italia). In tal caso, il differenziale di prezzo su cui può teoricamente lucrare Lactalis si aggira sui 10 centesimi.

È evidente che con il pieno possesso di Parmalat il gruppo potrebbe aumentare i volumi di latte importati e accrescere di pari passo, in modo del tutto legittimo, l’export di utili. Se poi questi profitti siano in parte riversati da Lactalis sulla filiera produttiva francese, magari in cambio di contropartite del governo, o finiscano per intero nelle sue casse e da lì rifluiscano nelle holding lussemburghesi dei Besnier per ritornare alla Galbani sotto forma di prestiti a tassi fissi del 7%, è tutta un’altra storia.