Barbara Romano, Libero 1/5/2011, 1 maggio 2011
«HO GIRATO PER ANNI CON LA PISTOLA, TEMEVO LE BR»
«Scriva quello che le pare. Ma, per piacere, non mi faccia apparire come uno simpatico». Richiesta che ci starebbe tutta se a formularla fosse uno ecumenicamente simpatico di mestiere, tipo Enrico Brignano, Martufello o Neri Marcorè. Ma non chi, come Piero Longo, vanta già di suo uno degli indici di gradimento più bassi della Repubblica per il fatto di essere, oltre che senatore, avvocato di Silvio Berlusconi. Lui, invece, va proprio fiero della sua impopolarità, che esibisce come un fiore all’occhiello. Anzi, rivendica il diritto all’antipatia mentre affoga una sigaretta dietro l’altra dentro un bicchiere di plastica pieno d’acqua nello studiolo parlamentare che condivide con il senatore Maurizio Castro. Quando ha conosciuto il Cavaliere?
«Nel 1998».
Si narra che sia stato Niccolò Ghedini a introdurla alla corte di Re Silvio. «No. Lo incontrammo assieme la prima volta per verificare l’ipotesi di assumere le sue difese».
Come ha fatto a diventare il legale di Berlusconi?
«Pare che lui abbia chiesto ai suoi collaboratori di trovare un penalista che non fosse prono alla magistratura. Questo non lo potrà scrivere, ma a Milano negli anni di Tangentopoli c’era stata un’avvocatura molto collaborante con la procura e io ero noto per non avere rapporti con le toghe».
È vero che lei è stato il maestro di Ghedini? «Sì. Io ho 15 anni più di Niccolò e quando si laureò entrammo entrambi nello studio Ghedini. Lui come praticante, io per tentare di salvare il salvabile, perché da lì se n’erano andati tutti alla morte di suo padre, avvenuta quando lui aveva 13 anni. Erano rimaste solo le due sorelle, Ippolita e Nicoletta».
Tra voi c’è ancora questo rapporto allievo-maestro? «No, la differenza d’età tra noi non si sente più. Lui è stato un ottimo allievo, ora è un ottimo collega. Abbiamo caratteri diversi quindi ci compensiamo». Diversi in cosa?
«Ghedini è un pessimista, io l’opposto. Lui è sempre stato un grandissimo lavoratore con uno spiccatissimo senso del dovere, io invece penso che le cose importanti della vita siano la salute e i sentimenti. Sono più giovane io di lui».
I suoi colleghi del Foro e del Senato dicono che lei sia la mente di Ghedini.
«No. Tra noi non c’è competizione. Io sono sempre stato un po’ il fratello maggiore». E come tutti gli avvocati del premier, anche voi siete approdati in Parlamento. Non sarete un po’ troppi?
«Io sono andato al Senato perché inutile essere falsamente modesti sono convinto di essere molto esperto in diritto e procedura penale, non essendomi occupato di altro da quando mi laureai, a 23 anni».
Ovviamente, con 110 magna cum laude. «No, con 105. Ma mi laureai con un anno di anticipo perché avevo fatto la primina dalle suore di Nevers».
Ha passato subito l’esame di Stato? «Al primo colpo, ma lo feci cinque anni dopo la laurea, perché ero assistente universitario e la regola era: diventerai avvocato quando sarai ordinario. Ma non avrei mai potuto intraprendere la carriera accademica a Padova, i comunisti mi avrebbero fatto fuori».
Quando ha scoperto il sacro fuoco per la politica?
«Io non ho nessun sacro fuoco. Semmai, ho avuto problemi con la politica, nel ‘68».
Allora lei militava in Ordine nuovo.
«Non sono mai stato iscritto a Ordine nuovo. Io sono nato e cresciuto come uomo liberale di destra. Nel ’68 ero assistente all’università di Padova, dove ho passato anni difficili, perché i pestaggi erano all’ordine del giorno. Allora ero giovane, scattante e armato».
Armato di che?
«Di una pistola calibro 765 che ho portato costantemente in tasca per sei, sette anni, fin quando i brigatisti furono messi in carcere».
L’ha mai usata?
«No, le Br erano molto vigliacche e io avevo fatto circolare la voce precisa che ero armato e nervoso, quindi sceglievano altri bersagli».
Lei ha mai subito aggressioni?
«C’è un episodio, che però lei non può scrivere. Camminavo sempre con il loden e la mano in tasca sulla pistola con il dito indice sul ponticello e il pollice sulla sicura. Un giorno tre tizi mi riconobbero e vennero verso di me. Si vedeva che erano del mestiere. Quando notarono che non tiravo la mano fuori dalla tasca si dileguarono».
L’avrebbe usata se avessero proseguito verso di lei?
«Certo, la legittima difesa è un dovere prima che un diritto».
Da bimbo cosa sognava di fare?
«Il direttore d’orchestra o il chirurgo».
Che c’azzecca col penale?
«Niente. Non ho fatto il chirurgo solo perché era troppo lunga l’università».
E perché ha scelto di fare l’avvocato?
«Per una ragione ideale: il primo fondo spese che ho ottenuto per fare un processetto penale era quattro volte il mio stipendio mensile da assistente».
La forza degli ideali.
«Mi vengono i brividi quando sento i colleghi dire che vogliono morire con la toga addosso. Io invece voglio morire col pigiama e possibilmente anche senza. Non ho sposato l’avvocatura».
Ha sposato Berlusconi?
«Non ci penso minimamente. Lo considero il cliente più importante del mio studio. E il più simpatico. Le racconta bene le storielle e ha un repertorio di battute sterminato».
Molti le ritengono fuori luogo.
«Scusi, ma i rappresentati del popolo devono essere migliori del popolo?».
Secondo lei?
«No, devono essere rappresentativi della gente che li ha votati. Molti politici si prendono troppo sul serio. Io sono affascinato quando parla Rutelli».
Perché?
«Non dice un cazzo. Ma lo dice con questa bella voce impostata: due più due fa quattro. Una volta ha fatto un intervento sugli alberi per dire che quando ne nasce uno ne muore un altro».
Non la imbarazza da avvocato votare leggi sulla giustizia?
«No. Tutti i politici sono in conflitto d’interessi perché devono votare leggi che soddisfino il loro elettorato».
Ma si dà il caso che lei sia anche un legale del Cav spesso chiamato a votare leggi salva premier.
«Io non voterò mai una legge che ritengo sbagliata, ma non farò mai la stupidaggine di non votare una legge che sia utile alla collettività e anche a un imputato piuttosto che un altro, compreso Berlusconi».
Le piace il mestiere di avvocato?
«Molto».
Come fa a difendere una persona quando sa che è colpevole? «Non si è mai abbastanza laici per capire che un processo nasce e finisce con la legalità e non con la responsabilità. Quello di giustizia è un concetto che varia da me a lei, a un altro. Mi è capitato più volte nelle mie arringhe di dire: voi siete convinti che lui sia colpevole? Anch’io, ma mancano le prove. E molti comportamenti sono indotti in tutto o in parte da una malattia».
Veronica Lario il 31 gennaio 2007 scrisse una lettera a Repubblica in cui sosteneva che Berlusconi è malato. Lei che conosce così bene il premier, conferma?
«Io non conosco le ragioni per cui la signora Lario ha detto questo. E poi malato di cosa, di sesso?». Così pare.
«Non ho gli elementi né gli strumenti per valutare l’affermazione della ex moglie di Berlusconi». Quindi la presunta sex addiction del Cav non potrebbe essere utilizzata come un’attenuante? «No, perché ritengo che la nostra vita intima sia un regno di totale riservatezza».
Ma che idea si è fatto lei del bunga bunga? «Dare delle feste in casa propria non è un reato. Il resto sono affari di Berlusconi, non dei giudici».
È davvero convinto che il premier non sia colpevole? «E di cosa?». Di andare con le minorenni. «Non è illecito andare con le minorenni, ma con le minori di 14 anni».
Quindi non nega che Berlusconi abbia fatto sesso con Ruby quando lei aveva 17 anni. «Dalle indagini non sono mai apparsi minimamente due elementi: che Berlusconi sapesse che Ruby aveva meno di 18 anni e che abbia avuto rapporti sessuali con lei. È la stessa ragazza a negarlo in dichiarazioni scritte. Quindi non ci sono prove».
Berlusconi dice la verità quando sostiene di non aver mai pagato una donna per fare sesso? «Assolutamente sì».
E tutti i bonifici documentati che ha fatto accreditare sul conto delle olgettine? «Non escludo che abbia voluto aiutare queste donne, si sa che è un uomo ricchissimo e generosissimo».
Lei, invece, ha fama di senatore indisciplinato. «Non lo sono affatto». La legge sulle quote rosa non l’ha votata.
«Perché era brutta e, come ha detto Nietzsche, i nostri canoni etici nascono da ragioni estetiche. Io sono un tecnico, non è che se il governo si presenta con una proposta di legge la voto a scatola chiusa solo perché proviene da Berlusconi. A meno che non ci sia il voto di fiducia».
È vero che lei prende spesso la parola in aula senza dirlo prima a Maurizio Gasparri? «Devo chiedere a Gasparri il permesso di dire qualcosa?».
È il suo capogruppo, dovrebbe quanto meno avvertirlo... «Ma neanche per sogno». Raccontano che una volta siete quasi arrivati alle mani.
«Mannò. Si doveva andare alla Camera a votare il giudice costituzionale e, siccome al Senato la tiravano per le lunghe, ho preso la parola: “Qui che facciamo, andiamo avanti ancora?”. Gasparri se l’è presa: “Non dovevi! Sono cose che posso fare solo io!”. Ma tutto si ricompone».
Come avete fatto pace?
«Quagliariello mi ha preso sotto braccio e mi ha portato nell’ufficio di Gasparri». È vero che vi siete riappacificati scambiandovi goliardicamente il saluto romano?
Scoppia a ridere. «Nooo».
Il nuovo strumento della difesa del Cav è il conflitto di attribuzione, sul quale avete presentato un ddl al Senato cosiddetto blocca processo Ruby. Non state esagerando con tutti questi scudi salva premier?
«Le pare ammissibile che se è il giudice a sollevare il conflitto si blocca il processo in attesa che si pronunci la Consulta, mentre se lo fa un’istituzione come la Camera, il processo continua? Vogliamo solo colmare un vuoto legislativo. Manca una legge per la tutela delle alte cariche dello Stato. È stato un grave errore l’abolizione della struttura originale dell’articolo 68 della Costituzione sull’immunità parlamentare». Anche lei ritiene, come il Cav, che la magistratura sia eversiva?
«I magistrati politicamente schierati sono pochi ma attivissimi e hanno un comportamento certamente eversivo nei confronti di Berlusconi. Ma il loro intento non è di condannarlo».
E qual è?
«Tenerlo sulla graticola mediatica. Il premier non andrà mai in carcere». Quindi lei non pensa che farà la fine di Craxi?
«Non ci sono gli estremi. E poi, a quanto vuole che lo condannino? Alla peggio gli darebbero i domiciliari, non si va più in carcere». Ha ragione il premier a dire che c’è un accordo tra Fini e l’Anm?
«Se lo ha detto qualche ragione la ha. Berlusconi non parla a vanvera».
Lui ha rivelato che gliel’ha riferito un giudice. Lei sa chi è? «Certo che lo so, ma non glielo dico».
Che tipo di cliente è Berlusconi? «È laureato in legge, con una tesi in diritto civile, che gli fece vincere una borsa di studio, dal titolo: “La pubblicità e la televisione”, ai tempi in cui la tv era solo la Rai e la pubblicità il Carosello».
È partito dalle guerre puniche per non dire esplicitamente che il Cav è un rompiballe? «È uno che vuole essere informato di tutto, vuole la relazione circostanziata di ogni udienza in cui lui non c’è e vuole sapere cosa abbiamo intenzione di fare. Di solito condivide il 98 per cento di quello che gli proponiamo».
Sul restante 2 per cento chi vince, lui o voi? «Vince il cliente sempre. Ma Berlusconi si fida di me e Ghedini». Sarà, ma non siete un po’ invidiosi di Maurizio Paniz?
«E perché dovremmo esserlo?».
Perché è diventato il pupillo del premier e potreste ritrovarvelo al vostro fianco nel pool difensivo. «Come dite voi a Roma, non me ne può fregare di meno. Prima di difendere Berlusconi io guadagnavo più di un miliardo di lire l’anno. Oggi guadagno 600mila euro. Ho la pensione di docente universitario e di avvocato. Cosa vuole che importi a me e a Ghedini...», squilla il cellulare. Lupus in fabula: «Niccolò! Sto cercando di sopravvivere a un’intervista in cui mi si chiede se io e te siamo gelosi di Paniz... bravo, è proprio quello che ho appena detto io... Ok, ti chiamo dopo», clik, «anche lui se ne frega».
Sentito. Il suo studio è una fabbrica di soldi. Quanti avvocati ci lavorano? «I penalisti che collaborano direttamente con me e Ghedini sono otto: tre avvocatesse e cinque avvocati. Tutti colleghi giovani e bravissimi. Soprattutto le donne, ma questo non lo scriva». Quanto la paga Berlusconi? «Non mi paga lui ma la Fininvest, tranne che per il processo Ruby». Quanto la paga la Fininvest? «Il giusto. Ma sa cosa non può pagare la Fininvest?». Cosa?
«L’odio e il disprezzo che riceviamo. Ghedini è costretto
da anni a vivere con la scorta».
Perché lei non ce l’ha?
«Non la sopporterei, la eluderei. Vuole che io alla mia età, senza moglie né figli e dopo essermi intensamente goduto la vita, metta in pericolo quella di altri per proteggere me?».
Lei è favorevole alla commissione d’inchiesta sui magistrati? «Totalmente inutile». Manderebbe gli ispettori in procura a Milano?
«Sì, ma per verificare se hanno passato atti riservati al Corriere e a Repubblica, perché tutto quello che pubblicano i giornali esce da lì».
Cosa fa quando non lavora?
«Mi interesso molto di fisica e di storia della scienza, pur avendo fatto il liceo classico. La mia curiosità non è sull’origine della vita, ma della materia».
Un hobby un po’ più rilassante, no? «La lettura dei classici greci e latini».
Alla faccia del relax. Li legge tradotti o in lingua originale? «Il testo in latino, se non è di Tacito, lo leggo in lingua originale. Il greco l’ho perso».
Lei non porta la fede. C’è un amore nella sua vita? «Nella vita io ho fatto di tutto». Sentiamo.
«Mi sono sposato a trent’anni e ho divorziato a quaranta, anche se sono rimasto in ottimi rapporti con la mia ex moglie. Mi sono risposato a cinquant’anni con una donna più giovane di me di vent’anni, ma è mancata a trent’otto anni, perché il cancro non seleziona le persone in base all’età. Sono quindi vedovo da dieci anni».
Cos’ha fatto in questo decennio?
«Ho vissuto storielle di poco conto. Ma adesso ho un affetto. Più di uno, per la verità, ma lei questo non può scriverlo. Io ho 67 anni, gli amori e le emozioni cambiano con l’età».
Non ci si innamora più alla sua età? «Si ha una consapevolezza diversa della propria fisicità. E io considerol’amoreplatonicoabbastanza sconveniente in base al principio per cui non c’è amore carnale, anche il più terra terra, che non abbia una componente spirituale e non c’è amore spirituale che non abbia qualcosa di sensuale. Basta guardare l’Estasi di Santa Teresa del Bernini. Comunque, non si chiede a un uomo di 67 anni se è innamorato o no».
È lecito chiederle almeno se l’«affetto» di cui parlava prima è la bellissima ragazza con cui è stato avvistato in Puglia l’estate scorsa? «Sì. È una ragazza davvero bellissima e molto più giovane di me». Quanto più giovane?
«Ha trent’anni. Avevo scelto la Puglia nella speranza di non incontrare nessuno. Invece, vado in una spiaggia vicino Monopoli e chi ti becco?».
Chi?
«Victor Hugo».
Aveva preso un’insolazione?
«No, avevo incontrato Carofiglio, che ha una considerazione piuttosto alta di sé. Ho dovuto presentarglela: “Gianrico, lei è la mia fidanzata”. E il giorno dopo mi sono imbattuto in Quagliariello. Doveva essere una spiaggia riservata e invece sembrava una dependance di Palazzo Madama».