Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2011  maggio 02 Lunedì calendario

ITALIA E FRANCIA, PER VOCEARANCIO



I francesi negano che sia in atto una campagna di conquista industriale in Italia. Eppure Parmalat rischia di trasformarsi presto in Parmalait, Bulgari da qualche mese sarebbe da pronunciare Bulgarì e il veneziano Palazzo Grassi, ormai da 6 anni, ospita le opere (meravigliose, sia chiaro) della collezione di François Pinault, indiscutibilmente francese. Non c’è una strategia centrale dietro questa "invasione societaria", e non è nemmeno che gli italiani stiano rimanendo con le mani in mano.

Parmalat è il caso più recente e quello che ha fatto più rumore. Il gruppo Lactalis, controllato dalla famiglia Besnier, vuole comprare la società di Collecchio, è arrivato al 29% e adesso aspetta solo il via libera finale della Consob per lanciare un’offerta pubblica di acquisto sul restante 79%. I francesi offrono circa 3,3 miliardi di euro e assieme a Parmalat formerebbero il primo gruppo al mondo nel campo lattiero-caseario, con un giro d’affare da 14 miliardi. Lactalis, tra l’altro, nel nostro Paese controlla già i marchi Galbani, Vallelata, Invernizzi, e Cadermatori. L’Italia ha preso tempo con un apposito decreto sulle assemblee varato dal governo, e sta tentando di organizzare una cordata alternativa, con dentro la Cassa depositi e prestiti.

Se l’operazione organizzata da Lactalis avrà fortuna, quella dei Besnier sarà solo l’ultima grande conquista transalpina in Italia. La penultima, a quel punto, sarebbe il passaggio di Bulgari a Lvmh, il colosso del lusso del miliardario Bernard Arnault che controlla lo champagne Moët Hennessy, gli abiti di Louis Vuitton, i diamanti de Beers e tantissimi altri marchi dell’altà società, compresi gli italiani Fendi, Emilio Pucci, StefanoBi, Acqua di Parma.

E, quasi non bastasse, la figlia di Arnault, Delphine, nel 2005 ha tolto dal mercato uno dei migliori partiti d’Italia, sposando Alessandro Vallarino Gancia, erede della famiglia dello spumante. Alla cerimonia, allo Château d’Yquem, uno dei castelli di Arnault, parteciparono tra gli altri Nicolas Sarkozy e l’allora première dame Bernadette Chirac. L’abito della sposa era di Dior.

Il flop italiano di Arnault è stata Gucci, la casa fiorentina che invece, nel 2000, è stata al centro di un derby francesi, e quindi è passata dopo lunghi mesi di battaglia finanziaria e legale, al bretone François Pinault. Lo stesso Pinault che ha messo a segno un altro punto importante nella battaglia dell’italofilia trasferendo la sua collezione di arte contemporanea a Venezia, a Palazzo Grassi.

Ma, come dimostra il caso Parmalat, non è solo il lusso Made in Italy che attrae gli investitori francesi. Anche il largo consumo non dispiace affatto. C’è Carrefour, che nel nostro paese compirà 40 l’anno prossimo: risale al ’72 l’apertura del loro primo supermercato italiano, a Carugate. Oggi Carrefour in Italia ha ben 61 ipermercati ed è tra i leader della grande distribuzione. Auchan è arrivata dopo (era l’89) ma oggi ha 57 ipermercati e 266 supermercati, anche grazie all’acquisizione della Sma, comprata dal gruppo Ifi (la cassaforte degli Agnelli) nel 2004.

Anche i trasporti italiani parlano sempre più francese. Alitalia si è alleata con Air France, che ne controlla il 25%, per uscire dalla crisi del 2008, scartando le ipotesi tedesche (Lufthansa) e russe (Air Flot). E c’è chi dice che il progetto dei francesi sia la completa acquisizione. A terra, invece, Parigi vuole sfrecciare con Italo, il treno della Nuovo trasporto viaggiatori di Montezemolo che dovrebbe debuttare verso la fine di quest’anno. Sncf, la compagnia delle ferrovie francesi, ha una quota del 20% nella società.

Forte anche la presenza transalpina nella finanza e nel credito. La Banca nazionale del lavoro nel 2006 è passata ai francesi di Bnp Paribas. Mentre Crédit Agricole nel 2007 ha comprato Cariparma, ed è cronaca di queste settimane il forte interesse della compagnia assicurativa francese Gruopama per la Fondiaria Sai e la Milano Assicurazioni della famiglia Ligresti. Anche il primo gruppo finanziario d’Italia, le Assicurazioni Generali, sente forte l’influenza d’Oltralpe: ha avuto alla presidenza il francese Antoine Bernheim per ben 12 anni (e il banchiere si ostinò a non imparare l’italino) e da un anno il vicepresidente è il francese Vincent Bolloré.

Ma anche nell’energia non mancano i soci d’oltralpe. C’è Edison, uno dei principali fornitori di energia elettrica d’Italia, dove i francesi di Électricité de France hanno il 50% (tra quote dirette e indirette) e si stanno organizzando per contare di più: pochi giorni fa intanto hanno messo alla guida del gruppo un manager francese, Bruno Lescoeur, al posto dell’italiano Umberto Quadrino. Nella multiutility romana Acea ha invece una quota importante la transalpina Gdf Suez.

Sono intrecci che possono capitare tra “cugini”. Al vertice italo-francese di due settimane fa Sarkozy e Berlusconi hanno invocato la creazione di «grandi gruppi italo-francesi e franco-italiani che sappiano competere nei mercati globali». Il presidente francese ha anche spiegato: «Ammiriamo il vostro tessuto di piccole e medie imprese. Noi abbiamo grandi gruppi. Non c’è bisogno che ci facciamo la guerra».

L’Italia è il secondo partner d’affari della Francia (dopo la Germania) con scambi commerciali pari a 80 miliardi di euro l’anno. L’ultimo rapporto dell’Istituto del Commercio Estero dice che la Francia è il primo paese europeo per gli investimenti diretti italiani mentre l’Italia è il secondo paese investitore in Francia. Sono oltre 1.700 le imprese italiane presenti in Francia ed occupano circa 107.000 persone.

Sono proprio le piccole e medie imprese italiane citate da Sarkozy a farsi più spazio oltre le Alpi. Lo confermano le recenti acquisizioni italiane in Francia segnalate dall’Ice. Come l’impresa di ceramiche Area Industrie Ceramiche, una società specializzata nella produzione di tegole fotovoltaiche, che ha acquistato due fabbriche in crisi, una nel centro della Francia e l’altra in Lorena, e ha stabilito in Francia il suo quartier generale.

Il gruppo Agrati Fastening Systems, specializzato in sistemi di fissaggio, ha investito 35 milioni nel 2010 per rilevare alcune fabbriche francesi − a Fourmies e a Vieux Condé (a nord), ad Amiens nonché a La Bridoire in Savoia − per 500 posti di lavoro complessivi. Il gruppo industriale Tosoni ha invece recuperato l’unità produttiva dell’azienda di accessori spagnola Grupo Antolin specializzata nella fabbricazione di sedili per vetture ferroviarie, situata a Andrézieux Bouthéon, regione Rodano-Alpi

Poi ci sono le cartiere Tronchetti SpA, che hanno annunciato l’apertura di un nuovo sito a Montargis e la B4, che ha acquisito l’impresa Metal Temple Aquitaine (trasporto e fabbricazione di ingranaggi), mentre il gruppo Giochi Preziosi è entrato con il 25% nel capitale del distributore transalpino di giocattoli King-jouet, che possiede 190 punti di vendita nel paese.

L’Afii, l’agenzia francese per gli investimenti internazionali, ha contato 54 progetti di aziende italiane sul territorio francese nel 2010, dopo i 56 del 2009. Tutti assieme questi progetti hanno creato 2.400 posti di lavoro. «La Francia è il principale beneficiario a livello europeo degli investimenti italiani», ha sottolineato Hervè Pottier, direttore dell’ufficio Afii in Italia, spiegando che oltre un terzo dei progetti di investimento italiani in Europa è rivolto alla Francia.

Si tratta di progetti di investimento che riguardano la metà del territorio francese (13 regioni su 22), concentrati soprattutto nell’area dell’Ile-de-France (circa 25% del totale). Le imprese che investono in Francia sono soprattutto lombarde (una su tre) ma ci sono anche molte aziende venete, piemontesi, emiliane. Puntano soprattutto sull’industria (più del 50% degli investimenti) e meno sui servizi.

Tra i grandi gruppi italiani presenti in Francia ci sono anche Fiat, Eni, Finmeccanica e Barilla. Tra quelli che hanno conquistato grandi spazi oltre le alpi ci sono sicuramente Cremonini e Italcementi.Il gruppo Cremonini gestisce la ristorazione sul 90% dei treni francesi ad ala velocità, e ha l’assoluta leadership nel settore. Italcementi, nel ’92, ha acquisito Ciments Français per 1.500 miliardi, un’operazione da record: a suo tempo è stata la più rilevante acquisizione industriale realizzata all’estero da un gruppo italiano.

Anche i finanzieri italiani non disdegnano le operazioni oltreconfine. Leonardo Del Vecchio, il patron della Luxottica, con la holding dei famiglia Delfin ha circa il 30% di Foncière des Régions, il che ne fa il primo azionista del maggior gruppo immobiliare francese.

Carlo De Benedetti in passato è stato azionista del gruppo di forniture auto Valeo. Il figlio Rodolfo ha ottenuto per Sorgenia le autorizzazioni per la realizzazione di un parco eolico in Francia da circa 100 megawatt. Antonino Ligresti, assieme a Mediobanca e De Agostini, è socio forte del primo gruppo francese delle cliniche private, Générale de Santé, settore strategico e in forte crescita sulla scia dell’invecchiamento della popolazione.

La famiglia Berlusconi ha invece preso il controllo della divisione francese del gruppo britannico Emap creando, dopo un’intensa ristrutturazione, Mondadori France. Sempre nell’editoria, Rcs può contare sulle Editions Flammarion. Il gruppo L’Espresso qualche anno fa è stato a un passo dal rilevare Le Monde.