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 2011  aprile 29 Venerdì calendario

Non bombardiamo? Addio a 20 miliardi - Ma è proprio necessario usa­re mezzi armi e bombe in Libia? Si, purtroppo è necessario perché l’economia non ci lascia scelta

Non bombardiamo? Addio a 20 miliardi - Ma è proprio necessario usa­re mezzi armi e bombe in Libia? Si, purtroppo è necessario perché l’economia non ci lascia scelta. Le riunioni dei pacifisti verrebbe­ro meglio d’inverno, con il riscal­damento spento e magari il bam­bino che piange per il freddo nel­l’altra stanza. Il fatto è che in Italia sono tutti bravissimi sul piano de­gli ideali ma a pochissimi piace sporcarsi le mani con matita e qua­derno a quadretti per fare due somme, anzi, quando lo si fa si pas­sa per cinici e senza cuore. Corre­remo ancora una volta il rischio e partiamo da un numero tondo: quaranta, che per la smorfia napo­letana può significare la pelle, la sabbia o la vendetta ma che per le nostre tasche significa molto sem­plicemente i miliardi di euro dei nostri interscambi commerciali annui con i paesi dell’area del Ma­ghreb. Una cifra enorme, quasi il 3% del prodotto interno lordo di cui metà è rappresentata dalla Li­bia, seguita dall’Algeria con 11 mi­­liardi e, a seguire, Tunisia e Maroc­co. Giusto per capire, stiamo par­lando di uno scontrino da super­mercato di oltre 4,5 milioni di eu­ro ogni ora per tutti i giorni dell’an­no, notte e festivi compresi. È evidente che per quanto signori ci possiamo considerare, l’idea di non interessarci direttamente del­la situazione nordafricana sareb­be stata impensabile. Il nostro in­terventismo forzato diventa poi ancora più evidente se consideria­mo che cosa si nasconde sotto queste cifre iperboliche, dato che se con i libici ci fossimo scambiati solo tappeti e pomodori magari si poteva anche soprassedere, pur­troppo però la verità è che dalla Li­bia arriva energia (e con quella non si scherza), sotto forma di cir­ca un terzo del nostro fabbisogno di petrolio e gas, una pompa di benzina sempre in funzione che sul display dell’importo fa segna­re cifre vicine ai 15 miliardi di euro l’anno, con il benzinaio che ha la familiare divisa dell’Eni,la princi­pale società estrattiva straniera della Libia, impegnata da anni in virtù di accordi pluridecennali a trivellare 300mila barili di greggio al giorno e a spedirci 10 miliardi di metri cubi di gas all’anno. Le anime belle di solito quando sentono questi dati fanno spalluc­ce, tanto se non c’è la Libia basta comprarlo da qualche altro espor­­tatore, che problema c’è?Il proble­ma c’è eccome invece, dato che il gas non arriva avvolto in carta ar­cobaleno, ma ci vogliono gasdotti la cui costruzione necessita di lun­ghi anni. Di queste condotte di ap­provvigionamento l’Italia ne ha quattro principali che consento­no ai nostri fornelli di scaldarci l’acqua per la pasta e alle nostre stufe di farci stare al calduccio, pe­rò oltre alla Libia uno arriva dal­l’Algeria (che non è esattamente un paese tranquillo) mentre l’al­tro arriva da Russia e Ucraina ( che hanno la pessima abitudine di chiudere il rubinetto ogni tanto per le loro beghe), solo uno è euro­peo ed è collegato con la Norve­gia, ma di certo da solo non baste­rebbe nemmeno per cominciare a scaldarci. Alternative? I rigassificatori con­sentirebbero più flessibilità, pec­cato però che non appena se ne progetta uno partano catene uma­ne, ricorsi (sempre vinti) al Tar ed altre sciocchezze in grado di bloc­care i lavori sine die . Sarebbe bello poter importare il gas dai paesi che ci piacciono, tipo dalla Svizze­ra, magari insieme con il cioccola­to, però non ce l’hanno, e allora che si fa?La Libia no,l’Algeria no,i rigassificatori no, il nucleare per carità, il solare di inverno non fun­ziona e ovviamente guai a chi toc­ca un albero per mettere almeno un ceppo nel camino. Con i no non si va da nessuna parte, anzi, si rischia di dover decidere al freddo un bel piano di emergenza. Tanto vale muoversi prima. Le importa­zioni poi sono solo una faccia del­la medaglia: non vanno infatti di­m­enticate le nostre imprese priva­te attive nell’area, dai camion del­l’I­veco alle costruzioni dell’Impre­gilo, ai lavori per 5 miliardi per la costruzione di 1.700 km di auto­strada litoranea coordinati dal­l’Anas, fino alle centinaia di impre­se medio piccole (quasi settecen­to solo in Tunisia) che hanno fino ad oggi combattuto per far salire quei dati dell’export di cui tanto andiamo fieri. Purtroppo quindi, anche se non ci piace, bisognava intervenire an­c­he per difendere questi nostri in­teressi vitali: per i motivi sopra det­ti la neutralità non è un’opzione, la scelta sarebbe stata solo se par­tecipare alle operazioni insieme con la Nato o difendere Gheddafi contro gli Usa e l’Europa,e si capi­sce bene anche solo scrivendo per gioco questa seconda opzio­ne che la scelta in realtà non c’era.