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 2011  aprile 29 Venerdì calendario

BARACK OBAMA E I «BIRTHERS» UN ATTO DI NASCITA CONTESTATO

Stando alle affermazioni del giornalista Jerome Corsi, il presidente Obama risulterebbe un abusivo alla Casa Bianca perché privo della cittadinanza statunitense e quindi dell’eleggibilità. Se fosse vero, dovremmo concludere che il modello Usa, così reclamizzato nel mondo per la sua efficienza, forse ha perso un po’ di smalto e necessita di qualche restauro.
Omar Valentini
Salò (Bs)
Caro Valentini, non appena Barack Obama divenne candidato alla presidenza degli Stati Uniti, qualcuno sostenne che non ne aveva il diritto perché non era, secondo la formula usata dall’art. 2 della Costituzione americana, un «natural born citizen» , un americano sin dalla nascita. La chiacchiera si diffuse attraverso il Paese e divenne il tema ossessivamente ripetuto di un movimento che la stampa, con espressione efficace e intraducibile, battezzò con il nome di «birthers» (da birth, nascita). Alcuni «birthers» sostenevano che Obama non era nato nello Stato americano delle Hawaii, ma in Kenya, nella terra natale del padre; altri che era stato, negli anni dell’adolescenza, indonesiano (la nazionalità del secondo marito di sua madre). I suoi portavoce smentirono queste voci e diffusero durante la campagna elettorale un documento del Dipartimento della sanità delle Hawaii da cui risulta che Barack Hussein Obama II era nato alle 19.24 del 14 agosto 1961 nella città di Honolulu da Stanley Ann Durham, di razza caucasica, e da Barack Hussein Obama, di razza africana. Ma quel documento non riuscì a convincere il nucleo duro dei «birthers» e fu visto con sospetto, a quanto pare, persino da alcuni esponenti del partito repubblicano. È probabile che non vi riuscirà nemmeno il più particolareggiato certificato di nascita diffuso dalla Casa Bianca nelle scorse ore. Dietro queste posizione vi è probabilmente un pregiudizio razziale che non osa manifestarsi esplicitamente e si serve, per delegittimare Obama, dell’art. 2 della Carta, in cui è detto che nessuno può essere eletto alla presidenza degli Stati se non è un «natural born citizen of the Us» o cittadino degli Stati Uniti al momento dell’entrata in vigore della Costituzione. Letto oggi, l’articolo appare in evidente contraddizione con i caratteri di un Paese che deve la sua esistenza all’immigrazione e in cui la grande maggioranza degli immigrati ha dato complessivamente prova di una straordinaria lealtà verso la nuova patria. È logico esigere la cittadinanza dalla nascita per il presidente là dove è consentito a un austriaco (Arnold Schwarzenegger) di venire eletto governatore della California o a un georgiano nato a Varsavia (John Shalikashvili) di assumente la carica di presidente dell’organismo che raggruppa i capi di stato maggiore delle forze armate degli Stati Uniti? L’articolo fu scritto da persone a cui premeva evitare che il capo dello Stato venisse importato dall’estero, come era accaduto nel 1714 in Gran Bretagna per Giorgio di Hannover, e come sarebbe accaduto in Messico poco più di ottant’anni dopo la nascita degli Stati Uniti per Massimiliano d’Asburgo. I «birthers» cercano di applicare a Barack Obama criteri che rispondevano alle preoccupazioni dei fondatori dello Stato americano, non a quelle dei suoi attuali cittadini.
Sergio Romano