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 2011  aprile 29 Venerdì calendario

E IL CORSIVO DIVENNE INDECIFRABILE —

La Dichiarazione di Indipendenza americana, redatta nel 1776 dalla Commissione dei Cinque, composta da Thomas Jefferson, John Adams, Benjamin Franklin, Robert Livingston e Roger Sherman, venne scritta, dall’inizio alla fine, in corsivo. Ma in un futuro forse non lontano nascerà una generazione di allievi americani che non saranno più in grado di leggerla, tanto meno di ricopiarla a mano.
A lanciare l’allarme è il «New York Times» , in un lungo articolo dedicato al tramonto del corsivo, chiamato «Italic» dagli anglosassoni poiché fu introdotto per la prima volta in Italia nel 1501 dal principe degli stampatori, Aldo Manuzio, che lo usò per poche parole (Iesu dolce Iesu amore) in una xilografia dalle epistole di Santa Caterina; quindi, per esteso, nel famoso Virgilio «in ottavo» , capostipite dei suoi libelli portatiles, i primi tascabili della moderna editoria.
«Per secoli la scrittura corsiva è stata un’arte» , scrive l’autorevole quotidiano, «ma per un crescente numero di giovani, oggi, è ormai un mistero» . I suoi caratteri sinuosi ed eleganti, con leggera inclinazione a destra, sono stati immortalati in innumerevoli lingue per tramandare ai posteri documenti storici, manoscritti d’autore e lettere d’ogni genere, dando vita, in Italia, ad una delle forme giornalistiche più alte. Proprio per questo è doloroso pensare che anche quest’ennesimo tesoro della memoria umana sia destinato al museo degli oggetti antichi, come la penna e l’inchiostro o la macchina per scrivere.
La colpa è di smartphone e computer, sulla cui tastiera oggi si tende a scrivere tutto, dalla lista della spesa ai compiti in classe, dai romanzi ai documenti legali. Ma responsabile è anche e soprattutto una scuola che non esige più l’uso del corsivo, chiedendo agli alunni, fin dalle elementari, di usare lo stampatello, anche quando scrivono a mano anziché al computer.
Una ricerca svolta dall’Università di Portland già nel 2006 puntava i riflettori sull’inarrestabile trend. Lo studio americano analizzava la scrittura di un milione e mezzo di studenti di 16-17 anni attraverso temi, test e altri compiti in classe: soltanto il 15 per cento erano scritti in corsivo. Quella che era nata come una sfida estetica e tecnica ai canoni del tempo, evolvendo poi in un modello di eleganza e stile, è diventata insomma la Cenerentola dell’alfabetizzazione.
Jimmy Bryant, direttore degli Archivi e collezioni speciali presso la Central Arkansas University, è convinto che in un futuro non lontano milioni di documenti potrebbero essere off-limits. Quando, durante una lezione, il professor Bryant ha chiesto quanti dei suoi studenti scrivessero in corsivo, nessuno di loro ha alzato la mano. Uno di loro, il ventiduenne Alex Heck, ha raccontato al «New York Times» la propria frustrazione per non essere riuscito a decifrare il diario della nonna defunta, rinvenuto in solaio. «Era come leggere dei geroglifici» , ha spiegato, «un linguaggio in codice imperscrutabile» .
Oltre a deplorare la morte di una forma d’arte coltivata per secoli da esperti calligrafi, gli psicologici e gli educatori puntano il dito sui risvolti negativi del fenomeno per le capacità di apprendimento, di studio e di sviluppo delle nuove generazioni. «Il corsivo aiuta gli studenti a perfezionare le proprie capacità motorie» , spiegano gli esperti, secondo i quali lo stampatello è anche molto più facile da falsificare.
Ma non tutti piangono la morte di questo tipo di scrittura. «A me il corsivo non è mai piaciuto» , racconta al «Corriere» Jonathan Franzen, «L’ho sempre trovato visivamente ostico ed eccessivamente solenne e a diciotto anni, quando sono arrivato al college, ho smesso completamente di usarlo» . Perché quest’avversione? «Mia madre lo usava esageratamente» , replica l’autore di Freedom, «e ciò mi irritava, in quanto simbolo di quella formalità manieristica che ho sempre cercato di evitare» .
Alessandra Farkas