Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2011  aprile 28 Giovedì calendario

Fu Riina il mandante della strage sul treno di Natale? - È curioso come un’ideologia, un’organizzazione, una setta – spesso – viva l’inizio del proprio declino, della propria agonia proprio nel momento di massima potenza

Fu Riina il mandante della strage sul treno di Natale? - È curioso come un’ideologia, un’organizzazione, una setta – spesso – viva l’inizio del proprio declino, della propria agonia proprio nel momento di massima potenza. Si prenda a esempio il fenomeno mafioso, che per un ventennio, tra la fine degli anni ’70 e la metà degli anni ’90, sembrava un cancro inestirpabile, un inarrestabile contropotere malavitoso. L’ ascesa di Totò Riina e, in generale, dei corleonesi, aveva spazzato via una certa tradizione mafiosa, e aveva portato al comando di Cosa Nostra questo gruppo di fuoco per mezzo di un inasprimento della strategia criminale (eliminare ogni nemico, fosse anche lo Stato). Come si arrivò perciò in casa mafiosa alla cosiddetta “Strage di Natale”, ovvero all’attentato dinamitardo del 1984 (sul rapido 904) che causò la morte di 17 persone (15 sul momento) e il ferimento di 267? Ieri la Dda di Napoli ci ha spiegato che quella strage fu ordinata da Totò Riina, anche se già si sapeva – grazie alla condanna in via definitiva di Pippo Calò – che quell’eccidio non fu di matrice politico-terroristica, ma di matrice mafioso-terroristica, perché quella dei corleonesi, per quasi un ventennio, è stata a tutti gli effetti una strategia terroristica (di specie mafiosa, s’intende). Una conferma diretta alle conclusioni della Dda veniva offerta anche dalle dichiarazioni del giugno scorso del pentito Giovanni Brusca, che affermava: «Nel 1986, nel corso di una delle udienze del Maxiprocesso, in un periodo in cui ero in libertà, Pippo Calò e Antonino Rotolo, che invece erano detenuti, mi chiesero di far sparire l’esplosivo che faceva parte di un arsenale che avevano nascosto a San Giuseppe Jato. Quell’esplosivo era nella disponibilità di Calò, e venne poi ricollegato alla strage del rapido 904. (…) Girai la richiesta del Calò e del Rotolo a Totò Riina, il quale mi disse che il materiale stava bene dove stava. Mi risulta poi che nel 1996 tale arsenale venne rinvenuto dalle forze dell’ordine nel luogo ove noi lo tenevamo occultato, ovvero in contrada Giambascio vicino San Giuseppe Jato». Cosa porta però i corleonesi a far saltare in aria parte del diretto 904 Napoli-Milano (all’interno della Grande Galleria dell’Appenino)? Dal 1979 al 1983 Cosa Nostra dichiara guerra non solo ai propri nemici interni, ma allo stesso Stato e alle realtà democratiche, basti pensare agli assassinii di Mario Francese (1979), di Michele Reina (1979), di Boris Giuliano (1979), di Cesare Terranova (1979), di Lenin Manuso (1979), di Piersanti Mattarella (1980), di Emanuele Basile (1980), di Pio La Torre (1982), di Carlo Alberto Dalla Chiesa (1982), di Rocco Chinnici (1983) e Mario D’Aleo (1983). Nel 1984, a gennaio, viene addirittura freddato il giornalista Pippo Fava, simbolo della lotta alla mafia, e fondatore del giornale I Siciliani. Lo Stato italiano – il tanto vituperato Stato italiano – corre ai ripari con azioni assai efficaci, la prima delle quali è l’introduzione – nel 1982, in seguito all’assassinio del Generale Dalla Chiesa, e quindi in tempi record – del reato di associazione per delinquere di tipo mafioso (416 bis). Poi, cosa fa il tanto vituperato Stato, a meno di considerare antistato l’azione giudiziaria di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino? Riesce a far “cantare” (per mezzo di un suo servitore: Giovanni Falcone) un pezzo da novanta di Cosa Nostra, un tale Tommaso Buscetta, le cui rilevazioni iniziano a far sbriciolare – ripetiamo, nel massimo della sua potenza di fuoco – la struttura mafiosa conosciuta come Cosa Nostra. Occhio alle date. Le rivelazioni di Buscetta, il 29 settembre del 1984, sortiscono un effetto dirompente, ovvero l’emissione di un mandato di cattura per ben 366 affiliati alla cosca. Cosa accade a quel punto? Accade che Totò Riina – lo presumiamo in seguito all’emissione del mandato di custodia cautelare emesso ieri – reagisce con durezza a questi primi segnali di lotta alla mafia dello Stato, e reagisce con una strage indiscriminata, utilizzando, cioè, lo stesso strumento dei terrorismi rossi, neri e del parastato (l’unico strumento che mina davvero alle fondamenta la saldezza e la forza di uno Stato è la strage indiscriminata, di matrice oscura). La megalomania di Riina, quindi – proprio nel mentre tutti ne ammirano terrorizzati la diabolica potenza – porta la sua organizzazione criminale in un vicolo cieco, sull’orlo di un burrone. Tant’è che dopo due anni, all’inizio del 1986, inizia a Palermo il Maxiprocesso (ripetiamo: processo celebrato dallo Stato) che porta al rinvio a giudizio di ben 474 indagati (altro discorso è il tema a suo tempo sollevato da Leonardo Sciascia a proposito dei «professionisti dell’antimafia»). Cosa succede a quel punto? Come reagisce la mafia al contrasto dello Stato, del tanto vituperato Stato italiano? Reagisce con una carneficina ai danni di chi aveva tradito pentendosi e, dopo appena sette anni, logorata dagli arresti (tra cui quello di Riina, avvenuto il 15 gennaio del 1993, sempre per opera dello Stato), risponde al carcere duro con le stragi del ’93 (Via dei Georgofili a Firenze, via Palestro a Milano, San Giovanni in Laterano a Roma, e con l’attentato non riuscito al giornalista Maurizio Costanzo). Un colpo di coda, cioè, prima della distruzione quasi totale di Cosa Nostra. Questi sono i fatti, e questa è la storia per chi la sa guardare nel suo insieme, senza soffermarsi in malafede (con l’unico scopo, evidentemente, di indebolire lo Stato) sulle piccole ombre che una simile “guerra” si porta inevitabilmente dietro (ci riferiamo ai professionisti dei papelli, delle trattative e ai tanti cianciminofili). La verità è che con la “Strage di Natale” del 1984 Cosa Nostra inizia il conto alla rovescia della propria morte. Grazie allo Stato italiano