Giorgio Meletti, il Fatto Quotodiano 29/4/2011, 29 aprile 2011
THYSSEN, TERNI STA GIÀ RIMPIANGENDO IL MANAGER CONDANNATO A 16 ANNI
La città di Terni sorge a soli 56 chilometri dal centro geografico d’Italia, che secondo un’antica storiella è il birillo rosso in mezzo al biliardo che sta dentro il bar della piazza centrale di Foligno. A Terni vive un signore tedesco di 45 anni, nato a Essen, nel cuore del bacino siderurgico della Ruhr. Si chiama Harald Espenhahn, e a Terni ha fatto crescere i suoi figli, che parlano, secondo chi li conosce bene, il tedesco di mamma e papà insieme all’italiano e al ternano, indispensabile per destreggiarsi nella squadra di calcio giovanile in cui militano. Anche Espenhahn padre parla bene l’italiano, dopo una decina d’anni al centro dell’Umbria.
È considerato un manager bravissimo. Da quando è amministratore delegato della Thyssen-Krupp, l’acciaieria gigantesca che domina vita e paesaggio di Terni, ha migliorato l’andamento industriale, ha fatto poderosi investimenti, ha consolidato relazioni industriali eccellenti, ha assicurato un buon livello di sicurezza degli impianti, e soprattutto, dicono i suoi ammiratori (in netta maggioranza in città), ha resistito tenacemente, e con successo, a ogni tentativo della multinazionale tedesca per cui lavora di ridimensionare l’impianto di Terni.
Quando i tedeschi hanno cercato di spostare altrove le preziose produzioni di acciaio inox, in ossequio alla logica cinica della multinazionale, sorda alle ragioni degli interessi e delle vocazioni industriali di una cittadina italiana, i ternani hanno trovato un tedesco che li ha difesi. Si potrebbe dire che lo amano. Anzi, lo amavano. Perché dopo il 16 aprile scorso, quando Espenhahn si è preso a Torino una condanna a 16 anni e mezzo di carcere per omicidio volontario, si limitano a stimarlo, come diceva Woody Allen dell’Onnipotente.
Il manager
e il suo doppio
E DUNQUE esistono due Harald Espenhahn. C’è quello noto a Terni. E c’è quello visto a Torino, dove il pubblico ministero Raffaele Guariniello lo ha accusato duramente per la morte dei sette operai bruciati la notte del 6 dicembre 2007 nello stabilimento ThyssenKruppinsmobilitazione. E dove lui è stato distante, glaciale, fino al punto di pretendere di deporre in tedesco, facendo imbufalire i magistrati che conoscevano la scioltezza dell’italiano esibito per le interviste televisive dei tempi belli.
In questa doppia immagine ci sono le mille contraddizioni della globalizzazione e del campanilismo, dell’azienda italiana ma tedesca, degli operai italiani ma in realtàternanietorinesi,chenonè la stessa cosa, dei politici, dei sindacalisti e degli imprenditori che modulano la loro reazione alla sentenza "esemplare" di Torino secondo la distanza dal rogo del loro centro d’interessi.
Equindivalelapenadicapireperché la reazione di Terni alla sentenza di Torino è stata diversa, particolare. Perché il vescovo VincenzoPaglia,cheinaltreoccasioni ha tuonato contro l’acciaieria ("Non possiamo rassegnarci a vedere le fabbriche trasformarsi in luoghi di morte"), stavolta ha scelto il silenzio. E perché il presidente di Confindustria Umbria, Umbro Bernardini, si è infuriato, arrivando ad affermare che “questa sentenza potrebbe avere effetti devastanti sull’economia non solo regionale ma anche nazionale, penalizzando l’attrattività del nostro Paese”.
Terni era un borgo insignificante traduecentridigrandetradizione come Narni e Spoleto, ma nel 1884 arrivarono i tecnici della Krupp, dotati di capitali tedeschi e rapporti di ferro con il governo italiano, per costruire una grande acciaieria moderna, vicina alla cascata delle Marmore per avere acqua ed energia e lontana dal mare per ragioni di sicurezza militare. DaalloradireTerniedireacciaioè lastessacosa.Dopo127anni,due guerre, molte crisi, la nazionalizzazione, l’epoca Iri, e la privatizzazionedel1994condottadalsingolare due Silvio Berlusconi (presidente del Consiglio) e Romano Prodi (presidente dell’Iri), Terni è la città della ThyssenKrupp, che vale tra diretti e indotto 6-7 mila posti di lavoro in una comunità di 113 mila persone, e soprattutto, spiega il sindaco Pd Leopoldo di Girolamo, "produce almeno un quarto del reddito della città".
La minaccia tedesca
dopo il verdetto
ILPUNTOÈCHElasentenzadi Torino scatena in Umbria un’emotività tipica di questi tempi. A forzadisentirsidirecheilpostodi lavoro è una fortuna della quale essere grati a chi te lo dà, qualcuno ha cercato di terrorizzare i ternani con l’idea che i tedeschi si arrabbino e se ne vadano. Il seme della paura lo ha seminato subito dopolasentenzailpresidentedella ThyssenKrupp italiana, Klaus Schmitz: "Noi restiamo in Italia ma dopo la situazione che si e’ venuta a creare con il verdetto di Torino sarà difficilissimo lavorare da voi".EUmbroBernardini,ilsignore della Confindustria regionale, ha subito rilanciato: "Credo che reazioninontarderannoadarrivare, segnali in questo senso già ce ne sono. Speriamo che non siano estreme". Congrandediplomazia,ilsindaco Di Girolamo mette a punto i giudizi a caldo che gli sono stati attribuiti sulla "mano pesante" della giuria popolare torinese. Dice che lo preoccupano le pene accessorie, l’esclusione dell’azienda per sei mesi dagli aiuti pubblici. Giura che il rapporto tra la grande multinazionale e la piccola città "non è asimmetrico, è equilibrato", e che i ternaninonsisentonocolonizzati. Dice però che non vorrebbecheallafinefossero gli operai di Terni a pagare.Echeattendedidiscutere con l’azienda le prospettive per il futuro. Attilio Romanelli, leader della Fiom locale, che appartiene alla minoranza riformista dei metalmeccanici Cgil, non cicrede.“Sì,lisentoquestidiscorsi, se ne vanno, se ne vanno... Ma dove vanno? La verità è che, proprio grazie a Espenhahn, abbiamo una competitività, sia in terminidiqualitàdelprodottochedi costi, non inferiore ai tedeschi di BochumeKrefeld,chesonoglialtri due stabilimenti dell’inox del gruppo. Espenhahn ha grossi meriti, soprattutto ha rigenerato la strategia commerciale, adattandola a un mercato come quello italiano che, a differenza di quello tedesco, è fatto di piccoli utilizzatori, e quindi va aggredito in modo dinamico, duttile, con modalità che il colosso tedesco a casa sua non concepisce nemmeno”. Sulfuturoisindacatisonoprontia discutere con chi c’è. “Anche con Espenhahn, certo, se rimane. Nonpossocertoessereioaoffrire alibi a chi non volesse continuare il confronto sulle strategie”, afferma Romanelli. Che non dice una parola di più. Perché poi, come sempre in questi casi, il popolo operaio di Terni, molto professionalizzato ,orgoglioso,consapevole del proprio valore, è anche spaccato. Ci sono quelli che vorrebbero subito fuori dai piedi Espenhahn con i suoi 16 anni e mezzodicarcereeilsuoprocesso d’appello,equellichehannopaura di perderlo.
Chi può sostituire
la Thyssen?
“IO NON CREDO che durerà molto”, riflette Claudio Carnieri, ternano, politico di lungo corso e oggi presidente dell’agenzia regionale Umbria Ricerche, “e allora dovremo cominciare a interrogarci. Perché le logiche di una multinazionale non sono facilmente prevedibili. Esempio: come facciamo a indovinare gli effetti dell’apertura del nuovo stabilimento per l’acciaio inox in Alabama? E se con quello la Thyssen sostituirà le produzioni messicane a cui Terni fornisce il prodotto intermedio?”. Già, ma che cosa c’entracontuttoquestolasentenza di Torino? “Niente, chi ha seguito il processo ha capito come sono andate le cose, e comunque è inutile commentare le sentenze”, spiega Granieri, “ma la domanda che ci troviamo di fronte, che forse non è facile comprendere fuori dell’Umbria, è semplice: chi metterà la Thyssen al posto di Espenhahn? E con quale mandato?”.
Ecco dove ci porta la sentenza storica sulle morti sul lavoro. Ma forse è solo la difficoltà di tutti, compresi gli operai di Terni e i super manager della Thyssen-Krupp, di dare il giusto peso alle cose.