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 2011  aprile 27 Mercoledì calendario

TAY ZA, IL TYCOON BIRMANO CHE SFIDA L´OCCIDENTE "BASTA CON LE SANZIONI"

Il taxi Toyota vecchio di 30 anni, costo di mercato 10mila dollari, entra nell´atrio della villa del tycoon birmano numero uno Tay Za e sbuffa fumo nero contro una sfilza di Rolls Royce, Bentley, Lamborghini e Ferrari parcheggiate. Nessun giornalista ha mai varcato questa lussuosa palazzina multipiano a poche centinaia di metri dalla casa della leader dell´opposizione Aung San Suu Kyi, sulla University Road. Ma oggi l´uomo d´affari, solitamente impenetrabile come i suoi amici generali, celebra la guarigione di sua figlia da una forma di poliomelite curata dai medici di un ospedale milanese. Ed è insolitamente loquace.
Quarantasette anni, padre anche di due maschi tra i quali un cantante rock, Tay Za è titolare del più esteso network di imprese della Birmania, uno dei padroni dell´economia del più rigido Paese asiatico e forse del mondo. Tra colonne e pavimenti di marmo dove campeggiano un´armatura medievale e una da samurai, ci fa sedere su un divano di pelle di serpente - comprato in Italia - che, come tutte le poltrone dell´immenso tinello, ha i braccioli a forma di enorme conchiglia dorata. Maglietta e pantaloni attillati neri, occhiali a specchio e la faccia del bravo ragazzo, ammette subito di avere avuto e di avere «ottimi rapporti» col regime militare e con il neoeletto governo civile.
«Io posso solo presentare me stesso», esordisce. «Non ho niente a che fare con la politica, faccio solo affari per tradizione di famiglia. Il motivo per cui parlo per la prima volta con un giornale straniero è perché vorrei essere una volta per tutte riconosciuto all´estero come il primo miliardario della Birmania». E forse anche per spiegare come, pur essendo inserito nella lista di 3000 imprenditori e militari del regime per i quali c´è divieto assoluto di commerciare all´estero, riesce ad avere un giro d´affari di 500 milioni di dollari l´anno e possedere decine di società in tutti i campi, dagli elicotteri ai rubini: «Il mio patrimonio dimostra che posso tranquillamente fregarmene delle vostre sanzioni occidentali. Però non mi piace vedere dipendere la nostra economia solo da quella cinese. Hanno i soldi e possono permettersi tutto, anche la giada e le pietre preziose delle mie miniere. Io sono un miliardario birmano, troppi cinesi hanno acquistato la nostra cittadinanza e adesso reclamano di essere loro i più ricchi. Ma non sono puri birmani».
La paura di un dominio cinese è condivisa anche dai generali di Rangoon. «Però all´estero nessuno sembra curarsi del fatto che le sanzioni ci spingono inevitabilmente nelle braccia di Pechino - spiega Tay Za - Questo succede mentre voi continuate a seguire i "principi morali" di George Bush, che è stato il peggiore presidente mai esistito, con i guai combinati in Iraq e le conseguenze di oggi in tutto il Medio Oriente. Ma sappiate che a rimetterci, a causa delle sanzioni contro di noi, sono i poveracci che vivono alla giornata».
Secondo Aung San Suu Kyi le sanzioni puniscono esplicitamente le violazioni dei diritti umani. Ma il tycoon birmano non la pensa così: «Anche la Cina è sempre accusata di violare i diritti umani ma nessuno le impone embarghi. Quanto ai paladini delle sanzioni, perché America e Francia lasciano che le loro Chevron e Total continuino indisturbate a lavorare qui senza alcuna restrizione? Sono solo ipocriti».
Le sanzioni, dunque, colpiscono l´economia della gente comune: «Faccio solo un esempio. Se non vengono i turisti, di che vivono i dipendenti degli alberghi, dei ristoranti, i venditori di pesce e verdura? Se possiamo vendere solo ai cinesi e agli indiani, in mancanza di una vera competizione di mercato cala inoltre il prezzo dei nostri prodotti. Così i contadini, che sono il 75 per cento della popolazione birmana, fanno la fame. Certo ci sono problemi, siamo uomini, sbagliamo. Come il vostro primo ministro, sempre nei guai per le donne... Ma adesso anche in Birmania le cose stanno cambiando e sarebbe ora che il mondo occidentale se ne accorgesse».
L´ascesa di Tay Za comincia alla fine degli anni Ottanta: «Ho iniziato dal nulla lavorando 14 ore al giorno fin dal 1988, l´anno della repressione del movimento studentesco, che ha segnato però la fine del socialismo del generale Ne Win. Ho cercato di capire che opportunità si aprivano e non stava a me giudicare il potere dei soldati, qui è sempre stato così dai tempi dei re. I militari negli anni 90 hanno invitato tutti a investire aprendo una macroecomomia dove si sono infilati anche Chevron e Total. Per questo sono arrabbiato per le sanzioni. Qual è la mia colpa? Essere diventato multimiliardario? Lo sono dal 1996, ma per comprare le mie prime concessioni ho venduto la macchina, la casa e investito ogni kyatt che avevo. Adesso potrei anche ritirarmi e forse lo farò. Per questo parlo senza nessun interesse personale e dico anche agli americani: venite qui a vedere il mio Paese e credete nella sua apertura, non nelle idiozie inventate dalla Cia. C´è una gara in corso e, datemi retta, abbiamo risorse uniche al mondo. Solo l´istruzione ci manca. Un tempo le nostre élite studiavano in America e Inghilterra. Oggi ci restano solo le scuole russe».