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 2011  aprile 27 Mercoledì calendario

2 articoli - COSI GLI ITALIANI RISCOPRONO LA TERRA - C´è chi non si accontenta di mettersi assieme ad altri per acquistare pomodori o salami direttamente da chi li produce, pagando un prezzo giusto direttamente al contadino

2 articoli - COSI GLI ITALIANI RISCOPRONO LA TERRA - C´è chi non si accontenta di mettersi assieme ad altri per acquistare pomodori o salami direttamente da chi li produce, pagando un prezzo giusto direttamente al contadino. E così, dopo i Gas (Gruppi di acquisto solidale) sono nati i Gat - Gruppo acquisto terreni - che comprano addirittura la terra con la quale produrre ortaggi, frutta e grano o allevare animali. L´idea («in anteprima mondiale», assicurano) è venuta a un avvocato mantovano, Rosanna Montecchi e al suo commercialista Gianluca Marocci. «C´è chi investe i suoi soldi - dice l´avvocato - in fabbriche d´armi. Noi chiediamo di investire in una fabbrica di ambiente: una terra che produca in modo naturale, recuperi i sapori dimenticati e dia all´"investitore" anche la possibilità di impegnarsi direttamente nel lavoro in campagna». I Gat sono soltanto l´ultimo passo verso un ritorno alla vita di campagna che - anche a causa della crisi economica - sta facendo grandi passi in avanti. «Non si tratta soltanto - dice Marco Boschetti, direttore del Consorzio agrituristico mantovano - di hobby farmer, agricoltori per passione». L´agricoltura è diventata occasione di lavoro per giovani e no che non hanno trovato il posto, o l´hanno perso, nelle fabbriche o negli uffici. Il ritorno alla terra non c´entra nulla con la new age o con il sogno di una vita bucolica. Si torna alla terra per mangiare - meglio di prima - e per dare un futuro a se stessi e ai propri figli. Nel mantovano nel 1985 avevamo 2 agriturismi e adesso associamo 250 aziende. Il bello è che i giovani che si mettono in questa impresa si mettono subito a fare figli». Soltanto a giugno saranno resi noti i primi dati provvisori del 6° censimento generale Istat dell´Agricoltura, concluso il 1° marzo. Si potranno conoscere così i mutamenti avvenuti e già intravisti in indagini precedenti. Fra il 1990 ed il 2000 - ad esempio - era stata rilevata la scomparsa di 1,8 milioni di ettari e di 430.000 aziende agricole. Ma un´altra indagine organizzata dal progetto europeo Corine Land Cover (Clc) - ha ricordato Denis Pantini, responsabile area agricoltura e industria alimentare di Nomisma - ha messo in luce che solo 143.000 ettari su 1,8 milioni erano stati cementificati. Gli altri sono ancora ad uso agricolo e sono soprattutto piccoli appezzamenti dove accanto all´hobby farmer - si calcola che siano un milione - ci sono anche i giovani e gli anziani tornati alla terra per inventarsi un nuovo lavoro a tempo pieno. «Non ci aspettavamo - dice l´avvocato Rosanna Montecchi - risposte così immediate al nostro Gat. Nel 2009 abbiamo lanciato il primo progetto: acquistare a Quistello un podere di 23 ettari, con un centinaio di quote da 11.500 euro. In pochi mesi sono andate esaurite. Ora il podere è avviato, c´è un agricoltore professionista che lo guida, ed i soci possono partecipare ai lavori. Il secondo progetto riguarda Scansano, in provincia di Grosseto. Abbiamo registrato la Srl pochi giorni fa e già 70 sono le adesioni, anche qui con 11.500 euro a testa. Il podere di 70 ettari sarà condotto da due coppie di giovani soci, ma anche gli altri potranno partecipare. Intanto, ci sono quattro nuovi posti di lavoro. E i soci - oltre all´investimento garantito e una prospettiva non troppo lontana di guadagno - avranno un´altra garanzia: quella di acquistare prodotti naturali». Si impegnano davvero, quelli che sanno che «la terra è bassa» ma non ne hanno paura. «Abbiamo fatto la prima fiera di "Vita in campagna" - racconta Giorgio Vincenzi, direttore della rivista omonima, 2.000 abbonati nel 1983 e 83.000 oggi - e per tre giorni 24.500 persone hanno imparato a potare ulivi, allevare animali, preparare vigneti. C´è chi comincia come hobby farmer e poi diventa coltivatore a tempo pieno». La rivista è la Bibbia degli aspiranti contadini. «Un tempo la trasmissione del sapere, in campagna, passava di padre in figlio. Poi tanti nostri genitori hanno lasciato i campi per lo stipendio sicuro della fabbrica, si sono sentiti alla pari dei ricchi perché come loro si sono messi a comprare l´insalata dal fruttivendolo e c´è stato un blocco delle conoscenze. Adesso, chi vuole allevare vitelli o seminare meloni, deve andare a scuola da chi ha continuato a mungere e a guidare il trattore». A Baone di Padova c´è una di queste scuole. «Ma anch´io - dice subito Massimo Marcolini, 51 anni, che assieme alla moglie Giuditta è titolare dell´azienda Cà Rosse 299 - prima facevo un altro lavoro: agente di commercio per prodotti medico - chirurgici. La mia ditta era in crisi e nel 2.000 ho deciso di andarmene, proprio perché volevo un lavoro sicuro. È stata durissima. I primi anni nel fango, i dolori alla schiena. Adesso va meglio ma la fatica è ancora tanta, con tre ettari di ortofrutta biologica, due cavalli, due vacche, i maiali, i polli, le anatre… Adesso sono orgoglioso del mio lavoro. So cosa metto nei piatti a pranzo e cena. Ho seguito dei corsi e soprattutto ho imparato il mestiere da chi lavora la terra da tanti anni. Ora so fare i salami, la soppressa, la salama da sugo, il vino…E così, assieme ad altri dieci contadini, abbiamo messo su la "Scuola esperienziale itinerante". Ogni anno una decina di giovani che magari vogliono dare vita a una cooperativa agricola vanno di azienda in azienda a imparare il mestiere. Ogni contadino insegna soltanto ciò che sa fare bene». Sembra un asilo nido, la riunione di alcuni dei soci del Consorzio agrituristico mantovano. Mariangela Zaldini, azienda Le Calandre, ha un bimbo nel marsupio e un altro in braccio. «Laureata in statistica, facevo la consulente all´Asl di Bologna. Stipendio buono, una vita tutta di corsa, senza pensare a me stessa. Adesso coltivo zucche, allevo maiali e sto bene. È una vita pesante ma sono sempre insieme ai miei bambini. Noi che siamo tornati in campagna ce l´abbiamo un po´ con i nostri padri, che hanno lasciato i poderi attratti dal boom economico». Gli agriturismi sono la via privilegiata per il ritorno ai campi: ci sono i finanziamenti europei e c´è la possibilità di mettere direttamente in tavola, senza filiere, ciò che si produce nei campi. «In Italia - dice il presidente del Consorzio, Marco Boschetti - le aziende agricole con agriturismo sono il 2%, in Francia il 4%. Possiamo ancora crescere, se non tutti ci mettiamo a fare le stesse cose». Quasi tutti i nuovi contadini hanno lasciato un ufficio o una fabbrica. «Io facevo il metalmeccanico - dice Emanuele Bonora di Roncoferraro - e la mia azienda ha chiuso. Ho solo una biolca in proprietà e 14 in affitto. Ieri ho lavorato dalle 5 del mattino alle 7 di sera, ma con le primizie ho già uno "stipendio" superiore a quello della fabbrica. Ci vuole inventiva: io produco anche la "quarta gamma", con minestroni già pronti e soffritti vegetali e li vendo direttamente al mercato contadino». Ave Favalli, Corte Merlano di Portoferraro, trent´anni nell´alta moda a Milano, si è specializzata in piccoli frutti ed erbe selvatiche. Claudia Rasori, azienda Prato Lamberto a Curtatone, laurea in economia e commercio, propone una cucina vegetariana. «In città avevi solo la compagnia delle auto, qui ho i miei cani e i cavalli». Maria Cristina Visentin, Viridarium di Castellucchio, produce il miele alla lavanda e prepara cene con carne, erbe e fiori. «Che panico, all´inizio, con le api…». Marco Vicenzi è ancora a metà strada: lavora sia come saldatore sia come gestore de "La cà dal trifulin". Francesco Ferrari aveva un ottimo stipendio in Turkmenistan, come vivaista ma a scelto di ripartire dall´agriturismo Loghino Vittoria di Gazzoldo. Francesco Cecere non aveva un lavoro e allora ha inventato la fattoria didattica Le Bine, nella golena del fiume Oglio. «Arrivano 100 classi all´anno, tante fanno la settimana verde». Una domanda per tutti. «E le ferie?» «Prima le facevamo cercando il silenzio della campagna. Ora ci abitiamo tutto l´anno». JENNER MELETTI, Repubblica 27/4/2011; ECCO PERCHE DOBBIAMO TORNARE TUTTI CONTADINI - Trovo molto interessante il tentativo di quantificare, analizzare e dare un nome all´agricoltura "nascosta" italiana. Forse è riduttivo definirla un hobby, ma non c´è dubbio che molti insospettabili coltivino un orto: sarà la voglia di veder crescere qualcosa di commestibile nei terreni ricevuti in eredità o quella di valorizzare la casa di campagna con qualche forma di agricoltura minima. L´orto e il verde produttivo stanno riconquistando spazi rispetto a ciò che per decenni era diventato un verde puramente ornamentale, a volte esotico o bucolico in modo ridicolo, e ciò avviene perfino in aree urbane. È un fenomeno sicuramente sottostimato, e una tendenza in crescita. Sono passati molti decenni da quand´è iniziato l´esodo dalle nostre campagne e il contadino che diventava operaio non rinunciava quasi mai a un orto alle porte della città o nella vecchia casa di famiglia. Oggi, dopo aver completamente maturato il nostro rifiuto ad "abbassarsi al livello della terra", si può iniziare a dire sottovoce che il fenomeno stia per rinascere, finanche ad assumere i connotati di una "moda". Forse il nostro Dna contadino non ne vuole sapere di essere cancellato, ma resta innegabile che stia crescendo una voglia di ritorno alla terra che prende le forme più varie. Non è uno scherzo e nemmeno utopistico sostenere che in qualche modo dovremmo tornare ad essere tutti contadini. È un´opzione di grande civiltà, neanche tanto difficile da mettere in pratica. Perché si può partire da una semplice scelta alimentare – non dimentichiamoci che «mangiare è un atto agricolo» - passando per il cimento dell´orto, fino a veri e propri investimenti economici. Come gli interessanti "Gat", che acquistano quote di terreni e li affidano a giovani contadini, o le varie declinazioni di ciò che negli Usa si chiama Community Supported Agriculture, un modo per finanziare le aziende agricole in cambio di prodotti. Sono tutti modi creativi e innovativi di sostenere l´agricoltura pulita e multifunzionale, oltre a migliorare la propria dieta in maniera conveniente per le tasche. Così si ricostruisce un rapporto e un´empatia con il mondo rurale che non è balzano immaginare possa poi sfociare in cambiamenti di vita. L´opzione di un ritorno concreto alla campagna, a sporcarsi la mani, è certo quella più impegnativa, ma come tutte le cose più difficili è in grado di regalare grandi soddisfazioni, prospettive di vita appaganti e anche sane, perché quello del contadino, se fatto bene, è un lavoro che nobilita per davvero. È normale che in una società che si è dimenticata dell´agricoltura, in cui la popolazione attiva impegnata in questo settore ha raggiunto percentuali irrisorie, prima o poi qualcuno decidesse di dire basta e di rioccupare gli spazi lasciati vuoti. Qualcosa riemerge sotto nuove forme e salva piccole porzioni di terra dalla cementificazione o dall´abbandono, conserva il paesaggio e produce in maniera attenta all´ambiente e alle esigenze umane. Resta l´interrogativo se questa però sia vera ruralità, cioè se tutto ciò sia in grado di ricostruire realmente un nuovo tessuto tra il territorio e chi lo abita, consentendo alle campagne di tornare ad essere motrici di cultura e reale benessere. La tentazione di importare modelli e stili di vita urbani può essere deleteria: capita che gli agriturismi siano una scusa per ristrutturare la casa di campagna e assecondare non precisate voglie di sentimenti bucolici, che tante villette trasformino le aree rurali in dormitori soltanto un po´ meno tristi di molte periferie urbane. Tanti volenterosi ritorni alla terra, poi, rischiano di essere piccole oasi in un deserto umano e culturale. Perché per tornare alla terra non è sufficiente volerlo con ogni migliore intenzione: bisogna essere preparati, si dovrebbe essere aiutati da incentivi e agevolazioni che non ci sono, gratificazioni che non arrivano mai. La burocrazia quasi sempre mette i bastoni tra le ruote e non è giusto che un giovane si debba per forza isolare dal mondo se sceglie di tornare in campagna: senza banda larga, senza servizi e senza scuole. Ogni forma di riavvicinamento alla terra è benvenuta e, anzi, rinnovo il mio invito a diventare tutti contadini in qualche modo ma, come dice Ermanno Olmi, prima di tutto dovremmo tornare ad essere «ortolani di civiltà», anche se viviamo in centro a Milano. CARLO PETRINI, Repubblica 27/4/2011