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 2011  aprile 28 Giovedì calendario

LA PARMALAT FRANCESE CI RIEMPIE DI DEBITI


È possibile una soluzione alla Yoplait per Parmalat? Ossia l’ingresso di un “fondo strutturale” italiano che – come il Fis transalpino creato nel 2008 dal governo Sarkozy – entri come socio di minoranza a Collecchio? Lo scopo sarebbe tutelare gli “interessi nazionali” rispetto ad un socio di maggioranza straniero (nel caso di Yoplait l’acquirente fu l’americana General Mills). La Borsa non sembra dare molto peso all’ipotesi, visto che il titolo Parmalat resta al palo oscillando a 2,55 euro per azione (0,39% in chiusura).
Segno che, sia che entri la Cdp come “garante” del mantenimento della filiera in Italia sia che non entri, per gli investitori non ci sono spazi per ulteriori rilanci rispetto all’offerta francese, che dunque ha vinto la partita. In pratica la cordata cui stava lavorando Banca Intesa è andata in pezzi. Lactalis ha rotto gli indugi mettendo i soldi sul tavolo: 3,3 miliardi di euro, nel caso di un’adesione totale all’opa, totalmente finanziati da un pool di istituti francesi e inglesi (Societe Generale, Natixis, Credit Agricole e Hsbc), destinati a far salire i debiti del gruppo transalpino a 5,7 miliardi (considerando che già per acquisire il 29% di Parmalat nei mesi scorsi Lactalis aveva fatto ricorso a 1,3 miliardi di nuovi finanziamenti bancari).
Ma chi paga? La domanda non è priva di interesse. Lactalis, infatti, non sembra proprio un gruppo in grandissima salute. La filiale italiana (fra cui spiccano i marchi Galbani, Cademartori, Invernizzi e Locatelli) è poco remunerativa ed è sommersa dai debiti. Tanti. Solo quelli finanziari valevano a fine 2009 (ultimo bilancio disponibile) ben 880 milioni di euro. Un fardello gravoso, dato che pesano per oltre sei volte la capacità della controllata italiana del gruppo transalpino di produrre reddito. Non a caso l’utile netto è stato di 19 milioni su 1,3 miliardi di giro d’affari. Della casa madre francese invece non si sa nulla. Non pubblica bilanci da anni. Gli unici dati pubblici riguardano il fatturato di 8,5 miliardi, i suoi 125 stabilimenti e i 36 mila dipendenti. Poi basta. Nebbia fitta. Niente bilanci, niente dati su redditività, debiti, liquidità disponibile.
Un gruppo in queste condizioni ha messo sul tavolo 5,5 miliardi per comprare Parma lat. Un’operazione che ricorda molto da vicino l’opa lanciata da Colaninno su Telecom. A finanziare l’acquisizione sarà la stessa preda con la liquidità disponibile e con l’accesso al debito. Nei bilanci del gruppo di Collecchio c’è una liquidità di 1,4 miliardi raccolta da Enrico Bondi facendo causa alle banche. Un tesoro su cui già l’inverno scorso avevano messo gli occhi i fondi “attivisti” aprendo la partita che si è conclusa con il gol dei francesi. Queste disponibilità, con tutta probabilità verranno prosciugate rapidamente. Lactalis, infatti, sembra intenzionata a vendere al gruppo fondato da Tanzi le sue attività italiane. E non solo quelle. Probabilmente raggrupperà a Parma tutti gli interessi nel settore del latte. Per fare quest’operazione Parmalat verrà indebitata e considerando il livello dei margini è facile prevedere che la società smetterà di fare utili. Di conseguenza non pagherà più tasse. Vuol dire che, alla fine, il conto verrà pagato da tutto il Paese. Una prima volta favorendo la ristrutturazione dell’azienda dopo il buco aperto da Tanzi. Adesso dovendo anche rinunciare ai “dividendi” sotto forma delle imposte pagate da un’impresa ormai risanata. Tutto questo a favore dei francesi. Che dire? Forse alla fine sarebbe preferibile che Cdp lanciasse una contr-opa. Almeno per conservare i cespiti in Italia.

Nino Sunseri