ANDREA TORNIELLI, La Stampa 27/4/2011, 27 aprile 2011
“Patto con la Casa Bianca contro l’impero sovietico” - Karol Wojtyla diventa beato, la ricerca su ciò che è accaduto dietro le quinte del suo pontificato, continua
“Patto con la Casa Bianca contro l’impero sovietico” - Karol Wojtyla diventa beato, la ricerca su ciò che è accaduto dietro le quinte del suo pontificato, continua. Di questo si occupa «Wojtyla segreto» (Chiarelettere, pp. 315, 16 euro), il libro scritto dal vaticanista de «La Stampa» Giacomo Galazzi insieme al giornalista Ferruccio Pinotti, che si propone come una «controinchiesta» sul pontificato di Giovanni Paolo. Nel volume si conferma che l’arcivescovo di Cracovia, tenuto sotto stretta sorveglianza dalla polizia segreta comunista fin da quando era un giovane prete, aveva avuto modo di farsi conoscere e apprezzare, non soltanto nella Chiesa, ben prima del 1978. Gli autori si soffermano in particolare sul secondo viaggio del futuro Papa negli Stati Uniti, nel luglio 1976, quando Wojtyla ebbe modo di incontrare una delle personalità più importanti per gli affari esteri atlantici dell’epoca, il professore di origini polacche Zbigniew Brzezinski, consigliere per la Sicurezza dell’allora presidente Jimmy Carter, che aveva intuito prima di altri l’importanza strategica della Polonia come tallone d’Achille del colosso comunista. Brzezinski non conferma l’esistenza di un «piano segreto» che lo avrebbe legato a Wojtyla nel progetto di rovesciare i totalitarismi d’Oltrecortina – i sovietici arrivarono a dire che Giovanni Paolo II era stato eletto con l’aiuto degli americani allo scopo di abbattereil comunismo – ma non si sottrae alle domande di Galeazzi e Pinotti sul suo rapporto con l’arcivescovo di Cracovia. Racconta di averlo conosciuto a una conferenza che il futuro Papa tenne ad Harvard nel 1976. «Lui riconobbe subito il mio cognome, anche perché ero stato oggetto di frequenti attacchi dai mass media comunisti polacchi e sovietici. Mi invitò a prendere un tè: fui grato dell’invito e avemmo un colloquio privato di oltre un’ora. Rimasi impressionato non solo della sua evidente fede religiosa, ma anche della sua astuzia politica». Su cosa si siano detti in quell’incontro, Brzezinski preferisce non rispondere. E prosegue: «Qualche tempo dopo, quando ero già consigliere per la Sicurezza nazionale alla Casa Bianca, Wojtyla fu eletto Papa. Ricordo che interruppi una sessione del National Security Council e chiamai il presidente Carter, che si trovava a Camp David. Mi chiese cosa sapevo di quella nomina e gli raccontai ciò che sapevo di Wojtyla: un teologo, un ex prete lavoratore, un uomo di profonda fede, un carattere personale molto forte, una figura ammirata dai giovani, vista con fastidio dalle autorità comuniste. Un uomo, un Papa con un’ampia visione politica». L’ex consigliere della Sicurezza nazionale aggiunge: «Negli anni seguenti ho potuto conoscere Wojtyla su un piano molto privato e ho sempre avuto dei sentimenti molto calorosi e amichevoli verso di lui e – se così posso dire – lui li ricambiava con parole, gesti, lettere». Si racconta anche di una battuta che Giovanni Paolo II gli avrebbe rivolto in un incontro in Vaticano negli anni Ottanta: «Visto che ormai sanno tutti che sei stato tu a farmi nominare Papa, dovresti venire a trovarmi più spesso!». Quanto al ruolo di Wojtyla nella caduta del comunismo, Brzezinski offre questa interpretazione: «Io credo che papa Wojtyla prima di tutto abbia alimentato la fiducia all’interno della nazione polacca, convincendo i cittadini che la loro disapprovazione del comunismo era universalmente condivisa e che il mondo intero e la Chiesa cattolica sostenevano la Polonia. Questo ebbe un effetto di trasformazione incredibile, fu un catalizzatore formidabile di energie. La fede fu certamente un fattore decisivo, una sorgente essenziale di scopo e significato e direzione nella vita personale del Papa, così come nella sua azione nel mondo». Con buona pace delle ipotesi complottiste, la storia dei conclavi più recenti dimostra che i cardinali sono gelosissimi della loro autonomia e immaginare, come si legge nelle veline del Kgb, che Washington potesse pilotare i voti dei porporati – i quali, peraltro, prima di indirizzarsi sull’arcivescovo polacco tentarono invano di scegliere ancora un italiano – può andar bene per un romanzo alla Dan Brown, non per la storia.