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 2011  aprile 27 Mercoledì calendario

Washington suona l’allarme “Americani, non andate in Messico” - Ormai è diventato l’Afghanistan nel cortile di casa

Washington suona l’allarme “Americani, non andate in Messico” - Ormai è diventato l’Afghanistan nel cortile di casa. Gli americani non devono andare a Kabul per rischiare la vita, basta il Messico, e a volte persino la striscia delle contee Usa sul confine del Rio Grande, terra di scorribande violente dei cartelli della droga dagli Stati caldi di Sonora o Chihuahua. Nello scorso fine settimana il dipartimento di Stato di Washington ha diramato un allarme che «sconsiglia» ai turisti e agli uomini d’affari statunitensi di viaggiare in altri cinque Stati messicani, allungando la lista dei sei che erano già off limits da qualche tempo (Tamaulipas, Michoacan, Chihuahua, Coahuila, Durango e Sinaloa). L’ultimissima disposizione riguarda ora Jalisco, Nayarit, San Luis Potosi, Sonora e Zacatecas. E per i dipendenti del governo è tassativamente proibito recarsi nelle due maggiori città dello Stato costiero di Jalisco. La mappa del terrore copre ormai quasi i due terzi del territorio messicano, poco meno di 1,3 milioni di chilometri quadrati su un totale di 1,97 milioni. Agli undici Stati «vietati» dallo staff di Hillary Clinton vanno aggiunti la Baja California del Nord, sul Pacifico, il Neuvo Leon nel Nord-Est e lo Stato di Guerrero, a Sud, il più rinomato per il turismo grazie al paradiso delle spiagge di Acapulco. È il quotidiano messicano «El Universal» che, riportando la notizia delle restrizioni americane ufficiali, ha ulteriormente allungato l’elenco delle zone pericolose, ricordando che le autorità locali invitano costantemente i visitatori a usare «estrema cautela» negli spostamenti. La vita notturna di Acapulco, che dista 300 chilometri dalla capitale, Città del Messico, è particolarmente a rischio. Gli abitanti delle aree sulle quali è calata più vistosamente la cappa della criminalità organizzata, inducendo limitazioni alla circolazione degli stranieri a loro volta destinate a peggiorare la situazione dell’economia e della sicurezza messicane, sono ormai oltre 40 milioni, sui 112 dell’intera popolazione messicana. È stata la nuova offensiva dei cartelli della droga contro i bersagli americani a provocare il giro di vite. Da vari rapporti delle polizie si sa che i cartelli hanno dato istruzioni ai membri di sparare e uccidere gli agenti americani di confine usando Kalashnikov. L’allarme è stato pubblicizzato il 31 marzo, durante una audizione alla sottocommissione della Camera sulla Sicurezza interna, chiaro segnale di un salto di qualità nella guerra non dichiarata dalle bande agli Stati Uniti, che adesso hanno risposto con le restrizioni a viaggiare. «Gli spari contro i due agenti speciali americani Jaime Zapata, ucciso, e Victor Avila, ferito, mentre viaggiavano in auto nello Stato messicano di San Louis Potosi, è un cambio delle regole del gioco che modifica lo scenario del coinvolgimento degli Stati Uniti nella guerra della droga ai cartelli messicani - ha detto il presidente della sottocommissione Michael McCaul, deputato repubblicano -. Per la prima volta in 25 anni, i cartelli hanno messo nel mirino i poliziotti americani». Ma L’aggressività non è limitata agli agenti Usa che lavorano legittimamente con le autorità locali, come era il caso di Zapata e Avila, impiegati dell’ente per l’immigrazione distaccati a Città del Messico. Ormai rapimenti e assassinii, opera delle bande, tracimano in Texas e in Arizona, elevando l’allarme antimessicano negli Usa. Anche se il numero assoluto delle vittime americane è ancora piccolo rispetto alla strage di messicani (le vittime locali di incidenti collegati alle attività di spaccio sono state 15.273 nel solo 2010, e sono 37 mila dal 2007), le autorità di Washington hanno deciso di intervenire per frenare un trend evidente: almeno 106 persone con passaporto americano sono state «uccise o giustiziate» l’anno passato in episodi connessi alle battaglie tra le bande, in crescita dai 79 del 2009 e dai 35 del 2007. Ma queste cifre ufficiali del Dipartimento di Stato sono sicuramente più basse di quelle reali, sostengono gli analisti di Stratfor, società di intelligence globale: «C’è un sacco di gente con la doppia nazionalità, che magari sono nati negli Usa ma vivono in Messico - dice Scott Stewart, vice presidente -. Molti lavorano di qua e di là del confine, e alcuni sono membri dei cartelli. Difficile sapere quando gente così muore, o sparisce dalla circolazione». Di recente, la polizia ha trovato 37 corpi in stato di decomposizione avanzata in una fossa comune nei pressi di Durango, nel Nord del Messico, dove sono avvenuti scontri feroci tra i due cartelli degli Zetas e dei Sinaloa. Il numero di cadaveri scoperti nelle fosse comuni è salito a 177.