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 2011  aprile 27 Mercoledì calendario

Angelica Balabanoff, la pasionaria tradita da Lenin e Mussolini - Non era bellissima, Angelica Balaba­noff

Angelica Balabanoff, la pasionaria tradita da Lenin e Mussolini - Non era bellissima, Angelica Balaba­noff. Piccola- un metro e cinquanta- , nata in Ucraina da una facoltosa fami­glia ebrea attorno al 1870 e divenuta presto un idolo del socialismo rivoluzionario, aveva tuttavia fascino. Mussolini, com’è noto, ne fu colpito e, per quanto nessuno dei due lo abbia mai confermato esplicitamente, instau­rò con lei una relazione importante. Il primo in­contro, a detta della Balabanoff, avvenne il 18 marzo 1903 quand’ella, chiamata dai compa­gni di Losanna a commemorare la Comune di Parigi, fu distratta, mentre parlava, quasi cala­mitata dagli occhi irrequieti e magnetici di un giovane dall’aspetto sofferente.A quel giovane, il Mussolini allora esule in Svizzera, la rivoluzio­naria si presentò e si offrì di aiutarlo. Vero o falso che sia l’episodio, è certo che il sodalizio fra la Balabanoff e Mussolini ci fu. Non a caso Musso­lini non avrebbe esitato a riconoscere che a lei, dotata di«sapienza politica»e di una«generosi­tà che non conosceva limiti», doveva molto. Dell’intelligenza della Balabanoff la bella e so­fi­sticata Margherita Sarfatti, altra donna impor­tantissima nella vita del futuro Duce, disse che era «strana», tutta «a baleni, lacune e folgori». La Sarfatti non amava, comprensibilmente, la Balabanoff. La descrisse «piccola e deforme» e soprattutto incolta, «se coltura è capacità di ra­ziocinio, di critica e cernita dell’altrui pensiero attraverso il proprio». Un giudizio erra­to. Lo si comprende bene leggendo la bella biografia Mai sono stata tranquil­la. La vita di Angelica Balabanoff, la donna che ruppe con Mussolini e Lenin (Einaudi, pagg. 318, euro 20) che Ame­deo La Mattina ha dedicato a questa donna eccezionale. Intanto emerge, dalle pagine del li­bro, come la Balabanoff fosse tutt’altro che incolta, tanto è vero che frequentò università e biblioteche di mezza Euro­pa e parlò cinque lingue. Il rapporto con Mussolini fu profondo. Lo dimo­stra proprio il fatto che entrambi non se ne vantarono e che la Balabanoff lo am­mise, implicitamente, soltanto una vol­ta quando, nella Parigi degli anni Tren­ta frequentata dagli esuli antifascisti, Randolfo Pacciardi le chiese di dirle co­me era Benito a letto, e lei gli rispose: «Un egoista, come in tutte le sue cose!». A quell’epoca i rapporti si erano già chiusi. Mussolini era ormai diventato il duce del fascismo. I tempi erano cam­biati e Angelica, dopo quella con Mus­solini, aveva già maturato un’altra rottura, al­l’inizio degli anni Venti, quella con i bolscevi­chi. Lenin, quando lei decise di lasciare Mosca, la liquidò con una battuta: «Sei un’indomita moralista». Ed era finita così, Angelica Balaba­noff, ancora una volta, a girovagare per l’Euro­pa impegnandosi in una duplice battaglia, con­tro il fascismo e contro il comunismo, ma ormai disillusa. Quel disincanto, per lei, socialista li­bertaria, fu traumatico: il fascismo da una par­te, e lo stalinismo,dall’altra,rappresentavano il contrario del suo umanitarismo. All’indomani della conclusione del secondo conflitto mondiale, la Balabanoff, che si era riti­rata negli Usa, tornò in Italia e riprese la vita poli­tica. Nel 1947, durante il congresso socialista, prende la parola e, fra le interruzioni e i fischi, parla senza peli sulla lingua del partito comuni­sta sostenendo che non è né democratico né proletario. E lei, il giorno dopo il suo intervento, si recherà a Palazzo Barberini ad assistere alla scissione socialista. Ma anche il partito social­democratico la deluderà ben presto, sembran­dole troppo governativo. Gli ultimi anni, fino al­la morte avvenuta a Roma nel 1965, li trascorre­rà in una sorta di semi-isolamento con pochi amici. Prima di morire, le sue parole saranno per la madre: «Mamuska, Mamuska...». Per quella madre che aveva lasciato per abbraccia­re il destino di girovaga rivoluzionaria e che, puntandole il dito contro, le aveva urlato: «Non sei tu che te ne vai. Sono io che ti caccio e ti male­dico... quando morirai mi chiederai scusa». Lo ricorda caricandolo di un valore simbolico, que­sto episodio, Amedeo La Mattina proprio in apertura del suo libro. Un libro, documentato e appassionato, capace di fondere la ricostruzio­ne della vita di una donna di grande personalità con le vicende di un secolo travagliato.