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 2011  aprile 27 Mercoledì calendario

Travaglio cita Montanelli solo dove gli fa comodo - L’onnipresenza di Marco Tra­vaglio, inferiore soltanto a quella del buon Dio, è uno dei fenomeni che caratterizzano il faticoso inci­pit del terzo millennio di casa no­stra

Travaglio cita Montanelli solo dove gli fa comodo - L’onnipresenza di Marco Tra­vaglio, inferiore soltanto a quella del buon Dio, è uno dei fenomeni che caratterizzano il faticoso inci­pit del terzo millennio di casa no­stra. Adesso è atteso a Bologna il de­butto - venerdì 29 aprile - d’uno spettacolo che avrà per titolo «Ane­stesia totale », e che, secondo le anti­cipazioni diffuse, si proverà «ad im­maginare ed esorcizzare il futuro dell’Italia post Barzellettiere».Ave­te già capito che al secolo il Barzel­lettiere si chiama Silvio Berlusco­ni: ed è la remunerativa ossessione del giornalista più monotematico che l’universo dell’informazione abbia conosciuto dopo Mario Ap­pelius, e le sue stramaledizioni con­tro gli inglesi. Travaglio, al cui talento- indiscu­tibile - dobbiamo la trasformazio­ne degli atti giudiziari in successi editoriali, ha pieno diritto di tratta­re il suo tema preferito anche in pal­coscenico (del resto l’ha già fatto con una precedente tournée ). Ne ha pieno diritto perché l’Italia,ben­ché descritta da il Fatto Quotidia­no come gemente sotto il tallone di ferro arcoriano, è un Paese libero. Fortunatamente. Un Paese dove ­lo scrive uno che non è prodigo d’elogi per il centrodestra - il capo del governo si distingue soprattut­to come bersaglio polemico. Un po’, riconosciamolo, mettendoci anche del suo. Non ho tra i miei ormai limitatis­simi programmi quello d’essere spettatore della imminente novità. Mi basta il Travaglio estenuato ed ispirato di Annozero , un profeta quasi biblico che concede alle sue platee in estasi gli attacchi al Mali­gno, intrecciati a scampoli di prosa dei verbali di polizia. In scena Tra­vaglio si muoverà nella disadorna austerità che si addice agli eletti. Cito, dalla presentazione: «Palco spoglio, un’edicola, un violinista, una panchina e due microfoni, Marco Travaglio parla e gli altri ascoltano». Ovviamente rapiti. Il nostro darà dimostrazione - attin­go sempre alla prosa del comunica­to bolognese- dello stile di sempre: «Grande coerenza, ironia taglien­te, e un’infallibile memoria del no­stro Paese». Tutto questo mi diverte abba­stanza, e non mi preoccupa. Affari di Travaglio e del suo «affezionatis­simo pubblico ».La cui fedeltà disci­plinata ricorda l’ «inclita guarnigio­ne » cui si rivolgevano un tempo i capicomici. Ma un particolare m’inquieta. Come fa spesso,l’aedo delle procure arruolerà nell’even­to teatrale anche un grande che non c’è più, Indro Montanelli. Del quale Isabella Ferrari leggerà alcu­ne «riflessioni». Travaglio evoca so­vente, e ampiamente, colui che de­finisce il suo maestro. E che tale è stato, per breve tempo, in quella sfortunata esperienza giornalisti­ca che fu La Voce . È stato anche, molto più a lungo il mio maestro e amico, abbiamo scritto insieme -da liberali e da anticomunisti - 13 volumi della storia d’Italia.Ma l’uti­lizzarlo, con insistenza petulante, per avvalorare e alimentare furori d’oggi, mi sembra poco elegante. Travaglio riduce una vita ricca e complessa, anche ideologicamen­te, come quella di Montanelli alla dimensione meschina d’un litigio con Berlusconi. Tutto il resto - os­sia la ricchezza culturale morale, professionale d’un uomo che non volle avere padroni - è sopraffatto da quel momento. Di tante amici­zie importanti che sfociarono in rotture - la casistica è infinita - ogni biografo serio va a cercare con la dovuta comprensione le fasi sere­ne e le fasi tempestose. Travaglio non ambisce a essere un biografo. Per Montanelli usa l’appropriazio­ne, quasi che il Maestro, postuma­mente, fosse ormai lui. E per Berlu­sconi usa l’invettiva. Già che c’è Isa­bella Ferrari dovrebbe limitarsi a leggere le riflessioni di Travaglio, non quelle di Indro. I tifosi del No­stro sarebbero contenti, e a Monta­ne­lli sarebbe risparmiato il coinvol­gimentoin una rissa.