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 2011  aprile 27 Mercoledì calendario

Pochi incassi, tante spese: ecco i Comuni spreconi - Il Centro studi Sintesi, che li ha scovati, li ha battezza­ti «comuni anomali»

Pochi incassi, tante spese: ecco i Comuni spreconi - Il Centro studi Sintesi, che li ha scovati, li ha battezza­ti «comuni anomali». Ma è sta­to troppo buono. Sono gli enti locali che spendono da ricchi ma incassano da poveri.In Ita­lia non è un’anomalia, perché nel settore pubblico spesso le allegre gestioni sono la nor­malità. Bisognerebbe dun­que chiamarli comuni vergo­gnosi, disastrosi, pericolosi. È per colpa anche di questi sin­daci, qualsiasi casacca di par­tito indossino, che il debito pubblico si è gonfiato a dismi­sura. Anno dopo anno, le am­ministrazioni spendaccione si consolidano ed è sempre più difficile smantellarle. An­che perché ci si rassegna al­l’inefficienza e allo spreco. L’analisi elaborata da Sinte­si, emanazione della più famo­sa Confartigianato di Mestre, è impietosa. Grafici e tabelle mettono a confronto la capaci­tà fiscale dei vari comuni, cioè l’imponibile Irpef medio per ogni cittadino, e la spesa cor­rente riportata nei bilanci co­munali. Non è che i municipi debbano decidere quanto spendere in base alle tasse ver­sate dai propri elettori, non esiste un legame diretto stabi­lito da leggi o regolamenti. Ma una quota delle imposte fi­nisce comunque ai comuni: le addizionali, le tasse sui rifiu­ti, l’Ici, cui si aggiungono i tra­sferimenti dallo Stato. Ma il test funziona anche come as­saggio per l’imminente arrivo del federalismo fiscale, quan­do una quota maggiore di get­tito non prenderà più la via di Roma. Così, il confronto tra tasse prodotte e spese dei comuni rende l’idea se un sindaco o un consiglio comunale vuole vivere secondo le possibilità del territorio o al di sopra. Se cioè gli amministratori sono cicale o formiche. E la realtà è che in certe zone d’Italia, so­prattutto al Sud, la sproporzio­ne è paurosa. In alcuni comu­ni la capacità fiscale è netta­mente inferiore alla media na­zionale, cioè si produce meno e quindi si versano meno tas­se, mentre la spesa è molto su­periore alla media. Le regioni più virtuose (redditi alti, spe­sa bassa) sono Lombardia, Ve­neto, Piemonte, Emilia Roma­gna. Le più sprecone? Sarde­gna, Sicilia, Molise. Qui si con­centra quel 6 per cento dei co­muni italiani in cui il reddito medio pro capite è inferiore del 30 per cento rispetto alla media e contemporaneamen­te la spesa corrente supera la media del 30 per cento. La capitale dello squilibrio è Napoli.Non c’era bisogno di scomodare la contabilità na­zionale, bastano i cumuli di immondizia per le strade a certificare la cattiva gestione delle amministrazioni locali. Comunque,la terza città d’I­ta­lia presenta un indice di spesa al 129 per cento contro una ca­pacità fiscale del 64. L’elenco del disonore comprende an­che Catania, Palermo, Cosen­za, Oristano, Cagliari. Agli an­tipodi si collocano invece tre città «rosse»: Piacenza, Reg­gio Emilia e Ferrara. Qui l’indi­ce di spesa viaggia tra il 75 e l’80 per cento (cioè si spende un quarto in meno) mentre la capacità fiscale supera la me­dia italiana. Al quarto posto si piazza Roma, una sorpresa: evidentemente i tagli del sin­daco Alemanno funzionano sull’equilibrio dei conti. Se­guono le città del Nord con la migliore qualità della vita: Ber­gamo, Cremona, Sondrio, Va­rese in Lombardia, Cuneo, Biella, Novara, Vercelli in Pie­monte e quasi tutti i capoluo­ghi veneti. La parte più rassicurante dello studio è che tre quarti dei comuni italiani si colloca­no i­n una situazione di sostan­ziale tranquillità, cioè spendo­no in proporzione a quanto il territorio può produrre. I casi più allarmanti si registrano in Sardegna, dove 43 comuni su 100 presentano un disequili­brio strutturale, in Sicilia (29,2 per cento), Molise (25 per cento). Umbria e Trentino Alto Adige hanno due soli co­muni con problemi; Friuli, To­scana, Emilia e Veneto uno ciascuno,la Valle d’Aosta nes­suno. Il paradiso delle monta­gne è anche l’eden dei conti pubblici.