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 2011  aprile 27 Mercoledì calendario

Ecco perché Obama ha bisogno di noi - Gli americani spingono con insistenza per un maggio­re coinvolgimento dell’Italia nel conflitto in Libia, non solo per passare il cerino politico agli europei

Ecco perché Obama ha bisogno di noi - Gli americani spingono con insistenza per un maggio­re coinvolgimento dell’Italia nel conflitto in Libia, non solo per passare il cerino politico agli europei. L’obiettivo finale è piegare il colonnello Ghed­dafi e far sbarcare una forza di interposizione in Libia, con ampia partecipazione italia­na. Lo hanno prefigurato, ieri, fra la righe, il presidente fran­cese Nicolas Sarkozy e il pre­mier Silvio Berlusconi nel co­municato congiunto in cui si parla della «pianificazione in corso dell’operazione Eufor Libia da parte dello Stato mag­giore di Roma». Un modello stile ex Jugoslavia, dove il con­tingente occidentale è arriva­to dopo l’offensiva aerea e si chiamava, guarda caso, Ifor in Bosnia e Kfor in Kosovo. Per raggiungere l’obiettivo Washington punta sulla no­stra rete di contatti, amici, in­formatori, ufficiali libici che hanno avuto scambi con l’Ita­lia. Una rete capace di dare la dritta giusta per individuare un bersaglio o far cambiare qualcosa all’interno del regi­me del colonnello Gheddafi. Si calcola che il 30% dei funzio­n­ari dell’apparato statale in Li­bia parli italiano. Ieri sul quotidiano La Stam­pa una fonte alleata a Bruxel­les spiegava: «L’Italia (...) ha le potenzialità che mancano ad altri per identificare cosa col­pire ». La differenza vera è la Hu­mint (human intelligence), ovvero la rete creata sul cam­po nel corso degli anni. Lo confermano al Giornale fonti riservate e lo spiega Mario Ar­pino, ex capo di Stato maggio­re della Difesa. «Il maggior coinvolgimento italiano po­trebbe avere un effetto psico­logico sullo stesso Gheddafi ­osserva l’ex generale- . Può be­nissimo essere che uno dei no­stri assetti appetibili per gli americani sia una presunta re­te di intelligence sul terreno in relazione alla familiarità con i libici e alla conoscenza del territorio». L’Italia ha un rinomato cen­tro di ascolto rivolto verso la Libia. I nostri rapporti storici, nel bene o nel male, e la pre­senza di colossi aziendali ita­liani hanno favorito nel tem­po il consolidamento della ’ re­te’. Non solo: negli ultimi an­ni c’è stato uno scambio di visi­te di ufficiali libici e italiani. La rete ha cominciato a venir tesa all’inizio de­gli anni Settanta, quando Gheddafi ha sbattuto fuori 25mi­la co­nnazionali e nu­merosi libici che han­no mantenuto lega­mi con famiglie e tri­bù nel loro Paese. Non solo: ancora oggi esiste in Tripolitania un conside­re­vole numero di libici con cit­tadinanza italiana o affinità con Roma, serbatoio perfetto della human intelligence. Oltre al lavorio della ’rete’ il governo si è impegnato a bom­bardare, come gli alleati, ber­sagli diversi dai radar nel miri­no dei caccia dal 17 marzo. Fi­no alla scorsa settimana ab­biamo compiuto 180 missio­ni. Sessantasei hanno coinvol­to gli Eurofighter e gli F 16 in operazioni di scorta e sorve­glianza. Il resto è stato suddivi­so fra i Tornado Ecr ( 67 missio­ni) e gli Av 8 della Marina capa­ci di attacchi al suolo. Ufficial­mente non abbiamo sgancia­to un solo missile, ma sembra che all’inizio dell’offensiva ae­rea sia stato centrato qualche radar libico con gli Harm. Adesso ci siamo impegnati a colpire anche altri obiettivi, come carri armati, caserme, arsenali. Forse il vero motivo è che la guerra in Libia si sta impanta­nando, come hanno ammes­so gli stessi americani. I piani per un intervento terrestre so­no in lavorazione, magari con uno sbarco a Misurata camuf­fato da intervento umanita­rio. Ieri il comunicato con­giunto italo­francese sostene­va: «Per far fronte all’aggrava­mento della crisi umanitaria causata dal regime libico» Ro­ma e Parigi «sono pronte a mo­bilitare mezzi umani e mate­riali nel quadro dell’operazio­ne (...) Eufor Libia»’. Fonti Na­t­o rivelano al Giornale l’inten­zione di sbarcare entro l’anno con una forza di interposizio­ne, senza americani, accetta­ta dalle parti, anche se a denti stretti. Per non trasformare l’intervento terrestre in un se­condo Irak si spera che l’ac­ce­ntuata offensiva aerea e for­se un colpo di mano interno, o dal cielo, serva a piegare il Co­lonnello.