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 2011  aprile 23 Sabato calendario

Noi, ex socialisti, tra nostalgia e diaspora infinita - Questa guerra sui socialisti e con­tro i socialisti e chi è socialista get­ti la maschera, e chi è liberale non può certo essere socialista, co­mincia per i miei gusti a farsi stuc­chevole

Noi, ex socialisti, tra nostalgia e diaspora infinita - Questa guerra sui socialisti e con­tro i socialisti e chi è socialista get­ti la maschera, e chi è liberale non può certo essere socialista, co­mincia per i miei gusti a farsi stuc­chevole. Mi presento: ero sociali­sta, oggi sono liberale e penso che questa mia sia la storia di una generazione e mezza. La gente mi ferma per strada, stessa faccia e stessa razza, e dice: «La seguo, perché ho fatto lo stesso percor­so, siamo una generazione dispersa». Segue stretta di mano e promessa, falsa, di non mai più perdersi. Addio. Il vero problema, è semmai: dove accidenti stanno i liberali? Che fine hanno fatto,dov’è finita la tanto annunciata rivoluzione liberale che fu l’anima, il filo di ferro nella schiena, del primo berlusconismo idealista a sorpresa? E i socialisti: sono davvero una conventicola, una loggia, una religione? Io non sono più socialista da quando i miei capelli hanno virato dal rosso al bianco, ma mi chiedo se essere socialista, o esserlo stato, non sia come essere ebreo: la percezione di una appartenenza comune ed antica, il senso vissuto di una persecuzione che non cessa mai, perché la pagherai sempre. Hai ieri disdegnato i comunisti, non ti sei mai voluto disciogliere nella destra: è ora che paghi. Disse una volta Francesco Cossiga, parlando di me e del mio muovermi in politica in un’intervista a Sabelli Fioretti, che, essendo stato io un socialista, oggi sono come quei palestinesi che dai Territori fuggirono in Giordania: non più sulla terra natia, ma ospiti in un Paese in cui vengono fatti a pezzi dai loro fratelli, come accadde nel Settembre Nero ’70. C’è poi una battuta storica:il primo a dirla fu François Guizot, un conservatore che servì sotto Luigi Filippo: «Chi non è socialista a vent’anni non ha cuore. Chi è ancora socialista a quaranta non ha cervello». Fu attribuita a Benjamin Disraeli, a Georges Clemanceau, persino a Winston Churchill e a de Gaulle, il quale andava invece per categorie psichiatriche piuttosto che ideologiche: a chi gli suggeriva di «fusiller tous les imbecilles» rispondeva sconsolato: «Vaste programme ». Oggi la battuta di Guizot si potrebbe tradurre più onestamente così: essere di sinistra da giovani indica una mentalità altru-ista, essere conservatori da adulti significa aver capito che la ricchezza, prima di essere distribuita in modo equo, deve essere prodotta. Ma, eccoci qua: tutti coloro che furono socialisti e che oggi orbitano nell’area berlusconiana come liberali, e coloro che restano socia-listi ai margini di quell’area come Gianni De Michelis, sono sotto scopa perché i «liberali puri»come Antonio Martino e Giancarlo Galan mostrano oggi, e non solo da oggi, malessere e orticaria nei loro confronti. In questo consiste quel «voltagabbanismo » di chi fa parte di una sinistra onestamente nemica dell’eredità comunista, e che tuttavia non si amalgama da nessun’altra parte. Io sono diventato liberale in modo naturale e progressivo, come uno sviluppo logico e quasi biologico, diventando per un paio d’anni vicesegretario del peduncolo ancora vivo del Pli. E poi di nuovo sulla giostra dei molti approdi, un po’ dilà e un po’ di qua.Ma poi mi chiedo, specialmente dopo aver letto l’intervista di Stefania Craxi e quelle di Galan e quella di De Michelis, ma presto anche Fabrizio Cicchitto e gli altri: esiste davvero una identità socialista comune? Brunetta e Frattini, Sacconi e Tremonti, Stefania Craxi e gli altri sono omogenei come la maionese? Quanto c’è di vero nel marchio di fabbrica «socialista»? E lì si dovrebbe tornare alla diaspora fra craxiani e sinistra socialista,un’altra guerra civile interna che ci portammo sul gobbo per vent’anni. Faccio di nuovo ricorso alla mia memoria personale: eccomi liceale nelle vie di Roma a manifestare contro l’invasione sovietica in Ungheria del 1956, con i comunisti che applaudono e i nostri compagni «carristi» Lelio Basso e Tullio Vecchietti ad applaudire anche loro la repressione. E poi il ’68 di Praga e noi socialisti impegnati anche a mano armata contro i colonnelli di Grecia al fianco di Statis Panagulis. E poi ancora contro il franchismo morente e ancora assassino al fianco degli ultimi anarchici, e poi ancora contro il colpo di Stato in Cile e così via, in un continuo travaglio contraddittorio e a strappi per la libertà: proprio quella libertà enfatica, da lapide, che poi forma il fango della retorica. E questa guerra continua trasformò molti di noi in liberali, alla fine del secolo breve, il secolo delle menzogne più ancora che dei genocidi. Il genocidio di verità è stato il nostro nemico, nel lager del nostro massacro e dei veri liberali. E furono proprio i liberali e gli imprenditori, con Altissimo e Agnelli nel 1993, a non poterne più dei comunisti da cui erano stati distrutti nello stesso spirito della crociata staliniana contro i «social fascisti».E così guardarono all’imprenditore Berlusconi, naif e geniale, bizzarro e degno prototipo italiano uscito dal Museo des poids et mésures di Sèvres (un Berlusconi in iridio platino, come il metro, o il chilo definitivo) e guardarono a lui come alla stella cometa. E si dissero, ci dicemmo: se occorre da socialisti farsi liberali, facciamolo. E molti di noi lo fecero, anche se tanti –ovviamente i fratelli Craxi su due sponde diverse – non lo fecero per ovvie ragioni. A Stefania, by the way , vorrei ricordare che non mi sembra mosse un plissé quando io insorsi contro le stravaganze comportamentali del presidente del Consiglio. Anche le critiche amichevoli hanno i loro tempi politici. Oggi credo, annuso, percepisco, che si sta giocando una partita che somiglia al nuovo grande successo della HBO, «The game of thrones », la guerra dei troni, che poi è sempre la solita vecchia guerra di successione, una di quelle che poi diventano dei trent’anni e delle due rose. Le guerre per i troni, per le successioni,per famiglie e per l’« appartenenza» (orrenda parola) sono tutte uguali: si accusa prima di tutto il nemico di difetti genetici ancestrali. La perfida Albione, il perfido Giudeo, il perfido socialista. Sul perfido liberale non mi sentirei di dire, ma non per spirito cavalleresco, quanto per il fatto che nessuno capisce bene se e che cosa i liberali pensino. Ci sono? Pensano sotto copertura? Non so. Quel che si vede oggi è che l’accusa ancestrale contro i socialisti non riguarda certo le interpretazioni su Marx di Antonio Labriola e neanche le diatribe fra De Martino e Nenni,meno che mai l’eredità di Pertini, ma sta tutta nella casa craxiana. E anche lì io, come memore e partecipe, sono piuttosto un ibrido: a me di Bettino piacevano moltissime cose che dispiacevano alla sinistra canonica comunista –il suo spirito umano, primum vivere , il suo spendere e spandere non per sé ma per i movimenti di liberazione compreso ahimè (il suo dio lo perdoni) l’Olp arafattiana –; ma non mi piaceva affatto il suo latente antiamericanismo e quello che a me è sempre parso l’orrido spirito di Sigonella che manda in visibilio gli italiani, spirito in forza del quale lasciammo libero un lurido tagliagole come Abu Abbas. Ma che importa, todos caballeros, eravamo in definitiva tutti craxiani. Eravamo anche tutti garibaldini e onoravamo la Patria da sinistra. Ricordo del resto, quanto a Patria e quanto a sinistra, che i giovani partigiani socialisti che avevo conosciuto da ragazzo erano diversi dai loro compagni comunisti: erano gente che aveva combattuto bene, duramente e con spirito di disciplina ferreo, ma che poi amava la vita e il ritorno alla vita, perché una spolverata di edonismo ha sempre fatto volare il partito che Pietro Nenni per troppi anni aveva appesantito con la simbologia sovietica. Eravamo craxiani ma alcuni di noi avevano una personale ammirazione per Giacomo Mancini, che aveva fatto vincere Craxi al congresso dell’hotel Midas del 1976 facendo fuori Francesco De Martino. E poi per tutt’altri motivi ho apprezzato e apprezzo la mente smagliante di De Michelis il quale, come me, si chiede in che accidente consista questa famosa ricetta liberale nell’arte del governo, ricetta che i maledetti socialisti avrebbero trafugato e alterato con i loro alambicchi nel castello segreto di via XX Settembre. Io ricordo che Tremonti era, in gioventù, uno dei più brillanti «Reviglio boys» e la scuola è quella. Ma qui bisogna stare attenti a come cammini perché ti squadrano: da che parte stai? Chi vedi la sera, in che combriccola lavori? (Io, che non ho mai visto nessuno la sera e non ho mai tramato nell’ombra, devo evitare che mi ricapiti quel che mi accadde nel 2007, quando mi trovai solo contro il Kgb per la commissione Mitrokhin e di me fecero tutti allegramente carne di porco, ma quella è un’altra storia). La Prima Repubblica aveva dentro di sé questo nucleo socialista che poi ha fatto tutto la stessa strada: è andato con Berlusconi, è rimasto deluso, qualcuno se ne è andato, qualcuno è tornato e ha stretto i denti, qualcuno vorrebbe che si tornasse alle origini, ma intanto si cerca di resistere alla lieve brezza di pogrom, che liberali e socialisti annusano al volo perché sono gente abituata alle rappresaglie preventive. Pensando bene ai tempi mitizzati della Prima Repubblica, nell’ultima fase politica i socialisti erano in fondo dei concreti modernisti, mai degli scazzafrulloni futuristi: erano liberisti ma smaliziati. Conoscevano bene le ipocrisie, per averle ben praticate. E dunque eccoci qui: separati in casa,sicché anch’io,che come tutti i socialisti e tutti i liberali mi dovrei sentire diviso e spacchettato, mi sento come tanti anni fa, perplesso anche se non smarrito. Siamo tutti di nuovo in vacanza nella terra della diaspora, questo nostro Mar Rosso con le onde che non cessano di dividersi, perché oggi si prefigura la diaspora berlusconiana in vista del dopo e dunque, come nel gioco della sedia e della musica che si interrompe, ognuno guarda la sedia e ignora la musica, come la triste storia del dito e della luna. Nella diaspora, i socialisti sono dei professionisti: come si diceva degli afroamericani per il jazz,ce l’hanno nel sangue.E allora, swing: play it again , Sam. Quanto agli spiriti liberali cosiddetti puri, o neo-puri, bisognerebbe esaminare i fondi del caffè o il volo degli uccelli e non so pronunciarmi.