MARIO BAUDINO, La Stampa 27/4/2011, 27 aprile 2011
Sandokan e Marianna come li vedeva Salgari - Emilio Salgari sparava aggettivi a palle incatenate, come i suoi corsari e i suoi pirati nei più feroci combattimenti; ma nello stesso tempo riusciva a non sprecare nulla, anche se contravveniva allegramente a una regola aurea delle scuole di scrittura e non solo
Sandokan e Marianna come li vedeva Salgari - Emilio Salgari sparava aggettivi a palle incatenate, come i suoi corsari e i suoi pirati nei più feroci combattimenti; ma nello stesso tempo riusciva a non sprecare nulla, anche se contravveniva allegramente a una regola aurea delle scuole di scrittura e non solo. Proprio nell’inferno della battaglia (linguistica) i suoi eroi sono stati inventati con tale precisione, e stavolta sì con pochi tratti di penna, da rimanere immutabili nel tempo, identici a se stessi anche oggi che sono passati cent’anni dalla morte del loro creatore. Sandokan è sempre lui, principe malese dalla fronte alta, «ombreggiata da due stupende sopracciglia dall’ardita arcata», con «una bocca piccola che mostra dei denti acuminati come quelli delle fiere e scintillanti come perle»; con «due occhi nerissimi, d’un fulgore che affascina, che brucia, che fa chinare qualsiasi altro sguardo». Marianna, la perla di Labuan, è per sempre una «indomita amazzone»; Yanez non solo non potrà mai perdere quel suo strano accento straniero (ma in che lingua parlavano tra di loro, le tigri della Malesia?), con la sola libertà di passare a quello francese, dall’originale portoghese, nel celeberrimo sceneggiato televisivo dove Kabir Bedi trovò la sua fortuna. Fu una piccola libertà artistica, anche se allora non c’era il rischio che sembrasse una caricatura di Mourinho - o viceversa - e dunque non se ne capisce il motivo. Oggi corrono tempi proibizionisti, forse la sua ennesima sigaretta verrebbe censurata, ma per il resto è intoccabile, in un cielo di stelle fisse come Tremal Naik o il Corsaro Nero, per non parlare di Testa di Pietra, lui sì forse a torto un po’ dimenticato. Emilio Salgari li scolpì una volta per tutte, e con tale precisione che gli illustratori, i primi, non solo fissarono le fattezze dei personaggi nelle loro romantiche tavole, ma li consegnarono alla posterità e al cinema come icone che si potevano solo replicare fedelmente, e non variare. Lo dimostrano le immagini del libro in edicola oggi con la Stampa, e che contiene quattro dei romanzi più famosi, ( I misteri della Jungla Nera , I pirati della Malesia , Le Tigri di Mompracem e il Corsaro Nero in edizione originale). Da quando Giuseppe Garuti, in arte Pipein Gamba (1868-1954), amico e stretto collaboratore di Salgari, fissò quei volti con un tratto svelto e quasi approssimativo, senza indulgere in calligrafie, non ci fu più spazio per altre interpretazioni. Il suo Sandokan dai lunghi capelli, alto e possente (e «dai lineamenti energici, maschi e fieri, e d’una bellezza strana» è esattamente quello cui ha dato il suo volto l’attore indiano, star di Bollywood diventata celebre negli Anni 70 proprio per il film televisivo diretto da Sergio Sollima. Le pellicole dedicate a questo solo personaggio, fra i tanti di Salgari, sono forse una ventina - lo stesso Kabir Bedi ritornò nei panni della Tigre della Malesia , negli Anni Novanta - e diversissime tra loro per mezzi, intenti, capacità registiche. La prima è del 1941, un film di Enrico Guazzoni che si intitolava I pirati della Malesia ; le più recenti tracimano in videogiochi, manga, cartoni animati. Cambiano i linguaggi grafici, ma non il corpo dell’eroe: con la sola curiosa eccezione del film di Guazzoni, che lo ha un po’ ingrassato e ne ha fatto un malese antropologicamente forse più credibile. Per il resto rimane ben attaccato alla matita di Gamba e alla penna di Salgari, che lo schizzò mentre nella sua tana colma di tesori d’ogni genere aspettava Yanez, in un giorno fatale e imprecisato da cui nacque una saga mondiale, con milioni di libri venduti, scritti con stoica disperazione, a gran velocità, per guadagnare di che vivere. Rivedere le illustrazioni originali è un po’ come rientrare in quella caverna fatata che ha fatto sognare generazioni di adolescenti (e non solo) da quando la prima storia venne pubblicate in 150 puntate sull’ Arena di Verona, che allora si chiamava La Nuova Arena , fra l’ottobre del 1883 e il marzo del 1884. Una caverna dove siamo stati tutti, qualche ora o qualche giorno, e nella quale, per chi ne fosse ancora digiuno, è altamente consigliabile fare una capatina.