LUIGI GRASSIA, La Stampa 27/4/2011, 27 aprile 2011
Togli qualcosa allo scimpanzé e cosa ottieni? L’essere umano - Itipi giusti sono loro, gli scimpanzè, non noi; perché nell’àmbito della grande famiglia antropomorfa noi esseri umani abbiamo un patrimonio genetico «mutilato» rispetto all’antenato scimmiesco comune, mentre gli scimpanzè, che sono i nostri parenti più stretti, hanno conservato un genoma di serie A
Togli qualcosa allo scimpanzé e cosa ottieni? L’essere umano - Itipi giusti sono loro, gli scimpanzè, non noi; perché nell’àmbito della grande famiglia antropomorfa noi esseri umani abbiamo un patrimonio genetico «mutilato» rispetto all’antenato scimmiesco comune, mentre gli scimpanzè, che sono i nostri parenti più stretti, hanno conservato un genoma di serie A. Le scoperte più recenti al riguardo vengono da una squadra di biologi della Penn State University (Usa), guidata dal professor Philip Reno, e mettono le radici in un fatto ben noto e digerito dalla scienza, cioè che lo scimpanzè e l’uomo hanno in comune il 96% del Dna. E fin qui tutto ok. Anzi, sappiamo pure che 7 milioni di anni fa le due specie ne avevano in comune addirittura il 100%, cioè erano una specie sola (che viveva in Africa, e soltanto lì). Poi lo scimpanzè e l’uomo hanno cominciato a differenziarsi. Non è successo dall’oggi al domani. È stata una faccenda molto lunga, un milione di anni durante i quali i proto-scimpanzè e i proto-uomini hanno continuato (saltuariamente) a incontrarsi e ad accoppiarsi, e persino a generare ibridi, ma con frequenza via via minore, finché le due specie sono risultate così diverse che il rapporto sessuale è diventato impossibile. Studio sistematico Se questo era già conosciuto a grandi linee, quel che mancava finora era uno studio sistematico di che cosa, in concreto, fosse cambiato nel Dna dell’una e dell’altra specie: quel 4% di Dna che fa gli uomini diversi dagli scimpanzè in che cosa consiste, di preciso? Qui è saltata fuori la grossa sorpresa della ricerca della Penn University. Si è scoperto che gli esseri umani si sono via via differenziati dagli scimpanzè non tanto sviluppando nuove caratteristiche (benché pure questo sia avvenuto) quanto piuttosto buttando via, una dopo l’altra, almeno 510 porzioni del patrimonio genetico dell’antenato-scimmia comune. Quasi tutte le soppressioni che ci rendono diversi dagli scimpanzè riguardano il cosiddetto Dna di controllo o di regolazione, cioè quelle sequenze che organizzano il genoma e «decidono» se, in che modo e quanto un gene debba essere attivo. Ebbene, da un certo momento in avanti sempre più pezzi di Dna di controllo proto-umano sono spariti e questo ha disattivato, spento, silenziato, porzioni sempre più grandi del genoma originario, e da ciò sono derivati cambiamenti drastici nell’essere umano che stava assumendo una sua fisionomia. I geni possono anche rimanere nei nostri corpi, identici a quando noi eravamo scimmie, ma funzionano in maniera diversa se vengono a mancare pezzi del Dna di regolazione; è come se un apparato elettrico fosse controllato da più interruttori ma poi qualcuno di questi sparisse: l’apparecchio continuerebbe a esistere e a lavorare, ma alcune delle sue funzioni sarebbero soppresse. In teoria la selezione naturale avrebbe potuto spazzare via questi cambiamenti, che invece si sono rivelati compatibili con l’ambiente e, anzi, vincenti. Siamo sopravvissuti, e anche bene. Ma che cosa è stato mutato, «silenziando» pezzi di genoma nell’essere umano? Sono molti i fattori che hanno sempre più marcato la differenza fra «loro» e «noi». Per esempio, esiste una sequenza di Dna che negli scimpanzè uccide le eventuali cellule tumorali presenti nel cervello, e limita anche la dimensione del cervello stesso, in modo che non sia compromessa la struttura fisica complessiva dell’animale; la corrispondente parte di genoma negli esseri umani è tuttora presente, ma parzialmente disabilitata, e questo ci ha permesso, in milioni di anni, di accrescere gradualmente il volume del nostro cervello (ma ci ha reso anche più vulnerabili ai tumori cerebrali). Non era detto a priori che il cambiamento fosse un vantaggio, ma ci è andata bene. La modifica più curiosa in assoluto ha tolto agli esseri umani certe formazioni di cheratina (la sostanza di cui sono fatte le unghie) che invece sono presenti sull’organo sessuale maschile degli scimpanzè e delle altre scimmie antropomorfe. Queste formazioni hanno vari scopi, fra cui quello di accelerare l’eccitazione maschile; la loro scomparsa nell’uomo ha reso meno veloce l’eccitamento sessuale maschile, ha diminuito di conseguenza il numero degli accoppiamenti, e ha favorito il passaggio dai rapporti sessuali di branco a quelli di coppia, un passo fondamentale nella nostra evoluzione bio-sociale. Questa nuova visione va compresa in un quadro più ampio. Fino a qualche anno fa speravamo di poter collegare ogni specifico gene con una singola caratteristica animale o umana; ma ora sappiamo che a moltiplicare i possibili collegamenti intervengono la presenza di una gerarchia nel Dna, la plasticità indotta da quello di controllo e probabilmente molti altri fattori. Il professor Reno conclude: «Non credo che sveleremo presto tutti i legami fra i geni e quello che ci rende diversi dagli scimpanzè. Stiamo solo schizzando un abbozzo». La natura umana è complessa e il suo mistero potrebbe non essere mai esposto tutto alla luce del sole. Di certo adesso sappiamo di più sulla nostra parentela con gli scimpanzè.