Giorgio Dell’Arti, La Stampa 23/4/2011, PAGINA 86, 23 aprile 2011
VITA DI CAVOUR - PUNTATA 93 - MORIRE A GOITO
Visto che non era entrato alla Camera, che cosa ci sarà da raccontare della vita di Cavour in questo periodo?
Il 1˚ giugno venne a palazzo il capitano Gustavo Galli, comandante di compagnia del reggimento Granatieri Guardie. Annunciò che Augusto era caduto a Goito, il giorno 30 di maggio. Il duca di Savoia, cioè il futuro Vittorio Emanuele II, aveva chiesto dei volontari per respingere un corpo di austriaci che attaccava di lato le linee piemontesi. Augusto, e con lui parecchi altri granatieri, s’era fatto avanti. Poco prima della carica era stato centrato da tre palle: una alla gamba, l’altra al braccio, la terza in pancia. L’avevano portato di corsa a Volta, dove la gamba gli era andata in cancrena. Il capitano Galli spiegò che questo aveva attenuato la sofferenza. La notte era morto.
Questo era il primo figlio di Gustavo, no? Mi rinfreschi l’albero genealogico.
Sì, sarebbe stato il IX marchese di Cavour. Il conte, come sappiamo, non era sposato e non aveva figli. Gustavo, vedovo di Adele Lascaris di Ventimigla, aveva tre figli. Augusto, Giuseppina e Ainardo. Ricorderà che all’inizio di questa storia abbiamo raccontato di una litigata tra i due fratelli perché Camillo s’era permesso di dare uno schiaffetto ad Augusto. Cavour sentiva Augusto come un figlio, Ainardo essendo evidentemente «un’altra cosa» (lo spiegò Cavour stesso, in quei giorni, a Hortense de Sellon). Augusto passava spesso qualche giorno a Leri con lui, e quando era dai gesuiti a Estravayer lo zio andava a trovarlo con una specie di palpitazione carica di affetto. Non c’è bisogno di soffermarsi sulla disperazione di casa. La nonna Filippina ne morì. Il conte scrisse a Giacinto Corio: « La vittoria di Goito ci costa il più puro del nostro sangue. Il mio nipote Augusto cadde colpito da più palle, e spirò poche ore dopo la battaglia. Non si dirà che l’aristocrazia piemontese non paghi il suo tributo alla patria. Essa si fa uccidere sui campi, mentre gli avvocati la diffamano nei trivii e nei caffè ».
Ancora con gli avvocati.
Lorenzo Valerio aveva brigato per farla scampare al fratello Pinotto. « Io amo l’Italia a cui ho fatto tanti sacrifici, ma pure egli è mio fratello, la sua anima è buona e gentile, e non posso reggere al pensiero che la palla vile di un croato me lo possa portar via ». Lettera a Maurizio Farina, a cui il capo democratico assicura: « non troverai verun impedimento presso i ministri ». L’anno dopo, quando si temeva che gli austriaci avrebbero invaso Torino, Valerio si sarebbe trovato guardacaso a Firenze e Brofferio sarebbe scappato dalla città. Costanza aveva scritto non a torto che Brofferio, a Torino, era décrédité . Ma sugli avvocati c’è da dire qualcosa di più.
Sentiamo.
Erano cominciate le discussioni alla Camera, e il conte vedeva che si tendeva a discutere alla maniera francese, cioè « l’opposizione contrastando ad ogni frase, diremo quasi ad ogni parola, ed il Ministero facendo di ogni aggettivo che si cercasse di modificare, e di una virgola che si volesse togliere, una questione di Gabinetto ». Avevano sprecato una decina di sedute per mettere a punto la risposta al discorso della Corona. I setaioli erano in crisi, ma « il ministro non ha campo a pensare ai produttori de’ bozzoli, forse perché costretto a consumare moltissime ore nell’ascoltare interminabili discussioni sul valore grammaticale delle voci dell’indirizzo …». Gli avvocati erano antipatici a Cavour perché parlavano, parlavano e non s’arrivava mai al dunque.
Potrebbe essere che i nostri politici di adesso concludono poco o niente perché nella maggior parte dei casi sono avvocati?
È possibile. Oggi però il potere è più diffuso, le Camere contano meno. Gli avvocati di adesso hanno poi poco da pronunciar discorsi alla Camera o al Senato. Non li ascolta più nessuno, e infatti, invece dei discorsi, rilasciano dichiarazioni, sperando che qualche quotidiano o qualche tv le rilanci. A quel tempo, i luoghi della lotta politica erano solo due: il Parlamento e i giornali. Cavour una volta definì «Il Risorgimento» « foglio consacrato alla polemica politica ed alla ricerca delle notizie quotidiane ». In quelle settimane il conte scriveva soprattutto di due cose: comunismo e crisi economica. È un nucleo di articoli decisivo per capire con chi abbiamo a che fare.
Comunismo? Dove stava il comunismo?
In Francia. Ricorderà che in Francia c’era stata, in febbraio, un nuova rivoluzione. Luigi Filippo era scappato a Londra, avevano proclamato la repubblica. Un decreto impegnava il governo a «garantire il lavoro a tutti i cittadini». Ecco quindi gli Ateliers nationaux, destinati a individuare lavori di pubblica utilità in cui impegnare i disoccupati. Due franchi al giorno ai poveracci che accettavano «lavori socialmente utili». Era in genere, per gli uomini, riparazione delle strade e per le donne e i fanciulli filatura. Ho sott’occhio due righe di Luigi Einaudi: «Ma che cosa crearono le buche fatte scavare e subito fatte colmare durante la Rivoluzione francese del 1848 allo scopo di dar lavoro ai disoccupati parigini? All’infuori di un po’ di tranquillità politica, il lavoro delle buche scavate a vuoto non poteva crear nulla».