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 2011  aprile 28 Giovedì calendario

LEGA, L’INCUBO DEL LATTE FRANCESE


Si stanno moltiplicando gli incubi destinati ad agitare le notti della Lega. Uno dei più fastidiosi è senza dubbio quello che può scaturire dall’affaire Lactalis-Parmalat. Lo spettro, che si sta aggirando ai piani alti del Carroccio, è quello di 40 mila produttori italiani di latte pronti a scendere sul piede di guerra se non avranno opportune garanzie su tutta l’operazione.

E questo è un problema, visto che la stragrande maggioranza di questi 40 mila allevamenti sta al Nord, bacino elettorale della Lega di Umberto Bossi. Ma cosa vogliono esattamente queste aziende, in grado di muovere un giro d’affari di circa 20 miliardi di euro l’anno?

Semplice, pretendono di continuare a vendere latte anche nel caso in cui Parmalat ceda all’opa lanciata dal colosso transalpino. Insomma, non contestano il fatto che Lactalis possa legittimamente mettersi a capo della società di Colleccchio, a seguito dell’operazione di mercato che va delineandosi. Il loro timore principale, invece, è che una Parmalat francese possa estromettere le aziende italiane che producono latte, preferendo magari acquistarlo direttamente da allevatori francesi, almeno in vista di alcune produzioni industriali.

Per questi motivi, già il giorno dell’annuncio dell’opa francese su Parmalat, organizzazioni di settore come Confagricoltura e Coldiretti sono subito intervenute per pretendere impegni precisi. Confagricoltura, in primis, ha richiamato la necessità «di condividere, con chi gestirà le attività di Parmalat, obiettivi e strategie industriali a garanzia della valorizzazione della produzione nazionale». In questa direzione i punti imprescindibili sono il consolidamento dei rapporti di fornitura del latte, magari contrattualizzandoli, e il mantenimento e la funzionalità degli stabilimenti industriali attualmente in essere. «Un grande gruppo, se è capace di competere a livello mondiale, ha anche il dovere di mantenere il rapporto con il suo territorio», ha sintetizzato Confagricoltura, senza risparmiare il riferimento proprio al maxigruppo che nascerebbe se andasse in porto l’opa transalpina su Lactalis.

Coldiretti, addirittura, il giorno stesso dell’annuncio dell’offerta pubblica di acquisto, ha tirato fuori uno studio per dimostrare come già oggi il mercato del latte sia sbilanciato a favore di Parigi. Il rapporto dà conto di come negli ultimi tempi si sia verificato un aumento monstre, +42%, delle importazioni in Italia di latte e derivati dalla Francia, per un totale di 731 milioni di euro nel solo 2010. E questo a fronte di esportazioni degli stessi prodotti made in Italy ferma a 337 milioni. In più Coldiretti, proprio partendo da questo sbilanciamento, ha posto anche il problema della «tracciabilità» del prodotto. Sul punto, ha spiegato l’organizzazione, basti considerare che tre litri di latte a lunga conservazione sui quattro venduti in Italia con marchi del made in Italy sono in realtà già stranieri, dal momento che non recano indicazioni per il consumatore. Di qui la richiesta di rendere obbligatoria l’indicazione in etichetta dell’origine territoriale del latte. Infine è arrivata ieri, a polemica abbondantemente esplosa, la sintesi del presidente di Coldiretti, Sergio Marini. «Noi diciamo soltanto una cosa», ha precisato senza troppi giri di parole: «L’italianità per noi significa latte italiano, valorizzazione dell’agricoltura italiana e made in Italy che contiene prodotti italiani. Se questo lo fa Lactalis meglio di come oggi lo fa Parmalat, ben venga Lactalis». Ma se i transalpini non dovessero valorizzare il latte italiano, ha concluso Marini, «noi siamo una forza sociale e sappiamo quello che dobbiamo fare».

In tutto questo calderone, naturalmente, ci sono gli incubi della Lega, che vede il rischio concreto di perdere appeal su questo bacino elettorale di 40 mila aziende, tradizionalmente vicine al Carroccio. Per questo, e per tanti altri motivi, vedi la questione dei clandestini, Bossi ritiene inaccettabile essersi inginocchiati davanti a francesi. Dei quali, a suo dire, l’Italia sta diventando una colonia.