Massimo Mucchetti, Corriere della Sera 24/4/2011, 24 aprile 2011
FIAT-CHRYSLER E LE TRE INCOGNITE
Come da copione, Sergio Marchionne punta al 51%della Chrysler al più presto, e comunque prima di collocarne le azioni in Borsa. Conferma la fusione delle attività italiane nella società americana. E, piccola novità rivelata solo in America, impegna Fiat a pagare imprecisate royalties sulle tecnologie Chrysler usate fuori dal Nord America. Restano, tuttavia, tre incognite, e non delle minori. Uno. Ancora non si sa che cosa verrà conferito in Chrysler: Fiat Spa con le sue partecipazioni, da Ferrari a Rcs, oppure Fiat Auto, magari con Marelli e Powertrain? Nel primo caso, l’Exor degli Agnelli verrebbe diluita in base alle quotazioni del periodo. Nel secondo, l’Exor avrebbe sempre lo stesso 30%di Fiat Spa cui farebbe capo un’ampia maggioranza assoluta della nuova Chrysler con l’auto italiana in pancia. Una maggioranza che potrebbe poi ridursi se la casa di Auburn Hills tornasse a Wall Street con un aumento di capitale riservato ai mercati. In questo secondo caso, sarà interessante rivedere gli avviamenti di Fiat Auto in relazione a quelli Chrysler, forse troppo ingenti con quella storia, nonché i multipli borsistici dell’auto, bassi in Europa e alti negli Usa dei salvataggi di Stato. Due. Il nuovo gruppo rimarrebbe fragile. Consolidando Chrysler, i debiti finanziari salirebbero a 25,9 miliardi di euro, pochi rispetto ai 66,5 miliardi di ricavi, ma tanti rispetto al patrimonio netto post fusione che sconterebbe l’apporto di Chrysler, negativo per 3,2 miliardi di euro. Benché il Cesr (Comitato europeo dei regolatori) inviti a privilegiare i dati di bilancio, in questo caso il debito, la Fiat enfatizza la posizione finanziaria netta delle attività industriali, una rappresentazione che si calcola compensando i debiti con la cassa, i titoli negoziabili e i crediti finanziari. Date le cifre finora note, il conseguente saldo sarebbe negativo per 4,6 miliardi di euro: sempre tanti rispetto alle case tedesche largamente attive. I critici più feroci ricordano come la Ferruzzi nel 1991 avesse ratios patrimoniali simili a quelli di Fiat. Ma va detto che Ferruzzi generava ancor meno cassa della non molta di Fiat-Chrysler. Tre. Quali saranno, dunque, le condizioni dei prestiti bancari necessari a rimborsare in anticipo i governi di Usa e Canada per poter salire al 51%? Quei prestiti pubblici d’emergenza costano circa il 10%a Chrysler, mentre Fiat emette obbligazioni al 6,4%. Ma qual è il merito di credito di una Chrysler che nel 2010 ha comunque perso 652 milioni di dollari e quest’anno punta a guadagnarne 2-500 su un fatturato di 55 miliardi? Marchionne scommette su due tavoli: a) i mutui verdi del Tesoro Usa per 3 miliardi di dollari allo 0,18%per rimborsare i debiti attuali; b) un forte aumento di capitale in sede di collocamento. Al momento, il governo Usa non risponde sui mutui verdi, già attesi per fine 2010. E Wall Street, prima di assaggiare il calice di Marchionne, vorrà forse verificare vendite e margini reali: ancora calanti in Europa, ottimi in Brasile e limitati negli Usa, dove Chrysler ha ripreso fiato sul terribile 2009, ma meno della concorrenza, in un mercato lontano dai livelli ante crisi.