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 2011  aprile 27 Mercoledì calendario

TUNISIA, IL TEMPO DELLA RESURREZIONE

Nessuno nel mondo arabo si aspettava che il sequestro in Tunisia di un carretto di verdura e il suicidio del suo 26enne padrone potesse innescare una ’ri­voluzione dei gelsomini’ il cui ef­fetto domino è poi arrivato fino al Golfo. A distanza di quattro mesi da quel disperato gesto, la prima tessera, la Tunisia appunto, sta ancora vivendo la sua fase di transizio­ne. I cantieri del la­voro sono numerosi e si stenta ancora a dare priorità all’uno piuttosto che all’al­tro. Di sicuro tira già un’aria nuova nei mass media, il setto­re in cui la repressio­ne è stata più evi­dente negli ultimi anni. I tunisini a­spettano adesso la prossima classifica stilata da Reporters sans frontières (Rsf) sul rispetto della li­bertà di stampa, ma sono intanto sicuri che la 164esima po­sizione a livello mondiale è ormai un brutto vecchio ricordo. Una setti­mana fa, un noto giornalista di al-Ja­zeera ha addirittura citato in tribunale Abdelaziz Jeridi, di­rettore di due gior­nali che si erano di­stinti, sotto il regime di Ben Alì, in ripetu­ti attacchi diffama­tori contro chiunque osasse criti­care il dittatore. «Attraverso questo processo – ha detto Mohamed Kri­chen in una conferenza stampa te­nutasi nella sede dell’Istanza na­zionale per la riforma dell’informa­zione e della comunicazione – non cerco di fare l’eroe. Vorrei solo un processo esemplare, affinché que­ste pratiche cessino in futuro. Vor­rei anche – ha aggiunto Krichen – che la giustizia facesse infine luce su coloro che proteggevano i diffa­matori, davano loro istruzioni op­pure scrivevano per conto loro gli articoli».

Ma la giustizia intende presentare il conto anche ai massimi vertici del vecchio regime. Per Ben Ali e per sua moglie Leila Trabelsi il governo transitorio di Tunisi ha avanzato u­na richiesta di estradizione all’Ara­bia Saudita dove vive da rifugiato per rispondere di un sistema cor­rotto che l’ambasciatore america­no a Tunisi non ha esitato a defini­re ’mafioso’. Sono ben 18 le in­chieste giudiziarie a carico dell’ex presidente tunisino, mentre 44 so­no quelle a carico della sua famiglia e del suo entourage, che dovranno fare luce sugli anni bui del regime instauratosi nel 1987. I capi di im­putazione che la magistratura con­testa a Ben Ali sono molto gravi: si va dal traffico di stupefacenti all’o­micidio, dal complotto contro lo Stato fino al reato di alto tradimen­to per aver abbandonato il suo po­polo durante le sommosse.

Un altro passo in avanti riguarda la vita politica. L’Alta commissione per la realizzazione degli obiettivi della rivoluzione ha preso una decisione senza precedenti nel mondo isla­mico: le liste elettorali verranno ste­se seguendo il prin­cipio di parità tra uomini e donne. Le donne entreranno quindi numerose nell’Assemblea Co­stituente che sarà e­letta il 24 luglio, ma non raggiungeran­no la metà, perché – come ha voluto pre­cisare un membro della commissione – la maggioranza dei capolista nelle cir­coscrizioni conti­nuerà ad essere co­stituita da uomini. Un’altra novità ri­guarda l’agognato pluralismo politico, dopo che la corte d’appello di Tunisi ha confermato, il 28 marzo, lo sciogli­mento del vecchio partito Rcd al pote­re. Una commissio­ne indipendente sta ora lavorando a una legge elettorale pro­porzionale per ga­rantire la rappre­sentanza più ampia delle forze politiche, ma c’è anche il ri­schio di una frantu­mazione politica che renda ingover­nabile il Paese. Sono, infatti, 53 i par­titi registrati ad oggi, con la possi­bilità di arrivare a 70 o 100 al mo­mento del voto. Il principale allarme riguarda l’eco­nomia, che ha accusato negli ulti­mi mesi una forte contrazione do­vuta alle limitazioni imposte all’in­dustria turistica dalla crisi politica e il calo degli investimenti europei. A fronte di tali problemi, un rap­porto della Banca di sviluppo afri­cano propone tre differenti previ­sioni: una intermedia, una fondata sull’ipotesi di una prolungata in­stabilità socio-politica, e un’altra sul miglioramento delle condizioni so­cio- economiche. Unica soluzione plausibile in un tale scenario, se­condo l’istituto bancario, sarà la ca­pacità del governo tunisino di or­ganizzare elezioni trasparenti ca­paci di riportare nel Paese un clima più rassicurante. «Il potenziale di crescita economica della Tunisia – registra il rapporto – potrebbe au­mentare in modo significativo se si riuscirà a superare il problema del­la corruzione e si affermerà un cli­ma socio-politico in grado di favo­rire la libertà individuale e le atti­vità economiche private». Una ma­no la può dare anche l’Europa, non solo per scongiurare l’arrivo sulle sue coste di migliaia di disperati. Migliaia di imprese del Vecchio Continente (tra cui 700 italiane) de­localizzano in Tunisia la loro pro­duzione, grazie al basso costo della manodopera. Ecco perché in Tuni­sia si guarda a tutto nella prospet­tiva del 24 luglio. Cosa avverrà pri­ma, cosa avverrà dopo? Il futuro, forse per la prima volta da tanto tempo, è nelle mani dei tunisini.