Donata Bonometto, Secolo XIX 26/4/2011, 26 aprile 2011
Rottami cercansi per giardino È l“antieuroflora” per eccellenza. Eppure è uno degli spazi più visitati e si è meritato pure il primo premio per la migliore “realizzazione urbana”
Rottami cercansi per giardino È l“antieuroflora” per eccellenza. Eppure è uno degli spazi più visitati e si è meritato pure il primo premio per la migliore “realizzazione urbana”. Si chiama “Rottam garden”, porta la firma di Luca Nespoli e Leonardo Magatti, del Consorzio Florivivasti del Distretto alto lombardo dove i due progettisti, prima di partire per Genova, hanno fatto incetta di copertoni, latte vuote di pittura e oli, mastelli di plastica, reti da letto e carriole, ma anche vecchi barbecue, stendini per bucato e persino una roulotte. Trovata in campagna («Il contadino la usa ancora per ricoverare gli attrezzi e dietro ci ha fatto un piccolo orto. Dobbiamo restituirgliela»). Sembra un postaccio, ma non lo è. Potresti immaginare di essere entrato in un luogo provocatorio, in una discarica ombreggiata dalle piante, avviluppate sulle vecchie seggiole intrecciate di plastica, invece la filosofia dei due “florivivaisti paesaggisti” è un’altra. «In una epoca in cui ti chiedono di creare stanze-giardino dove il verde deve essere pulito, facile da mantenere e da curare, tutto regolato sullo spazio-tempo che ha a disposizione il cliente, abbiamo voluto invece proporre il verde casalingo e domestico di di una volta. Più funzionale, più naturale». Utilizzando piante e fiori tutte autoctone proprio per ricomporre quegli spazi esterni dove un tempo la famiglia prolungava la sua vita quotidiana. Così il nonno insieme al nipotino seminava le viole nella botte non più utilizzata, «altro che bulbi dei fiori olandesi», e la vecchia carriola serviva per le “piante delle farfalle”. Il glicine, quello antico l’officinalis di cui i bambini suggevano i petali dolci, si avvolge attorno a una rete di materasso che serve per sbarrare lo spazio, anche contro qualche incursione di animali selvatici. «Facile creare del verde con prati rasati, ciotole di fiori, bel rampicante...questo si è rivelato un progetto più complicato - dicono i due progettisti - dove abbiamo utilizzato le nostre piante, il nocciolo, il miscantes che è una graminacea ornamentale, l’azalea medica del lago di Como, la cineraria, che di solito la buttano via.... Il fico da semi e la robinia e poi la spirea che la infili in una bottiglia d’acqua e mette radici. Puntando molto sul bianco che è il non colore che sdrammatizza l’ambiente povero». L’unica pianta non autoctona è una sophora aurea (quattro in Italia) il cui tronco, d’inverno, diventa giallo limone. «Siamo entrati nella macchina del tempo - spiega Leonardo Magatti - per tornare a 30 anni fa, quando avevamo tutto e non buttavamo via niente». È un posto di suggestione. I visitatori prima si ritraggono, perché lì non c’è esplosione di bellezza, poi entrano e in qualche modo si riconoscono in quello strano arredamento. E cominciano a farsi fotografare a cavallo della carriola.