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 2011  aprile 26 Martedì calendario

«MA ROVESCIARE ASSAD E’ UN SALTO NEL BUIO» —

«Gli Stati Uniti, l’Unione Europea e le Nazioni Unite devono condannare la crudele repressione in Siria. Ma non credo che debbano appoggiare l’insurrezione. Noi non sappiamo chi siano i ribelli, e quale fazione prevalga. La situazione in Siria è molto diversa dalle situazioni in cui Mubarak cadde in Egitto e in cui intervenimmo in Libia. Usa, Ue e Onu devono premere quanto più possibile su Assad e sull’opposizione per una soluzione politica della crisi. Devono mediare, promuovere negoziati con tutti i mezzi, a loro disposizione, dalle sanzioni all’assistenza economica. Dalla stabilità della Siria dipende la stabilità di buona parte del Medio Oriente, a incominciare da Israele e Palestina» . Michael Walzer, il grande filosofo politico americano autore di «Guerre giuste e ingiuste» , non ha dubbi. A suo giudizio, al momento in Siria non esiste «alternativa visibile» al regime di Assad. Se venisse rovesciato, salterebbero i precari equilibri mediorientali, «una prospettiva che allarma l’Iran, il cui regime è sciita, come quello siriano, e cerca pertanto di preservarlo» . Non voglio apparire cinico, prosegue Walzer, «ma il nostro obbiettivo in una regione in preda a severe convulsioni non deve essere tanto la nascita delle democrazie ovunque, bensì la nascita di regimi migliori degli attuali, quelle che chiamavamo democrazie guidate, cioè in evoluzione, passibili di riforme democratiche, un percorso a tappe» . In che senso la crisi siriana le sembra diversa da quella egiziana? «Non mi sembra sia frutto di una sollevazione popolare, di massa, almeno non sinora. Mi sembra invece un moto frammentato. Ripeto: non si può condonare la repressione di Assad, ma non si può neanche contribuire a spodestarlo, sarebbe un salto nel buio. Bisogna essere cauti. Abbiamo tante speranze sull’Egitto, ma temo che là stia iniziando una controrivoluzione» . E qual è la differenza con la Libia? «In Libia l’opposizione ha ottenuto il controllo di una parte del Paese e ciò ci ha consentito di intervenire. Personalmente, ritengo l’intervento sbagliato. Di fatto ci siamo impegnati a rovesciare Gheddafi e ci troviamo coinvolti in una guerra di cui nessuno può predire la durata né l’esito, e che destabilizza il Nord Africa. Purtroppo la soglia per i nostri interventi in difesa dei diritti umani deve essere più alta» . Perché considera un’eventuale caduta di Assad un salto nel buio? «Il successore potrebbe essere peggio di lui. Ce lo dice l’incertezza sugli sviluppi in Egitto, Libia, Tunisia, ecc. Ce lo dice l’ansietà di Israele, che sa che senza l’Egitto un accordo sulla Palestina è molto più difficile, e sa che senza la Siria lo è un accordo sulle alture del Golan. Ce lo dice il nervosismo dell’Arabia Saudita, che ha paura che la rivolta si estenda al Golfo Persico, che è già in agitazione» . Come valuta la condotta dell’amministrazione Obama con la Siria? «Si sta muovendo con la necessaria prudenza. Obama si era aperto alla Siria dopo le misure di Bush del 2004, revocandone alcune, e mandando un ambasciatore a Damasco per la prima volta in sei anni. Adesso annuncia una stretta che non impedisce il dialogo. Ma deve mobilitare la Lega Araba, spingerla ad assumere il ruolo chiave che le compete per la pacificazione del Paese» . Non c’è qualcosa di comune tra le sollevazioni in Medio Oriente? La povertà, le violazioni dei diritti umani? «C’è. E la responsabilità è anche nostra, avremmo dovuto fare di più a favore delle popolazioni, avremmo dovuto chiudere meno gli occhi agli abusi dei vari regimi. Ma le sollevazioni rischiano di essere strumentalizzate da opposti gruppi di estremisti islamici, dagli odi tribali, dai militari, persino da Al Qaeda. E la nostra capacità di influire sul Medio Oriente potrebbe diminuire» . Non è troppo pessimista? «Sono più pessimista di un anno fa. Prendiamo l’Iraq. Gli eventi siriani avranno ripercussioni alle sue frontiere, se si aggraveranno. Tra poco, il premier iracheno Maliki potrebbe rimanere senza il nostro sostegno militare nel momento più difficile. Sarebbe costretto a prendere provvedimenti drastici, e avremmo un altro periodo di caos, persino la recrudescenza del terrorismo» . C’è una lezione per l’Occidente? «C’è da tempo. L’Occidente doveva prestare attenzione ai fermenti culturali e religiosi in Medio Oriente. Non è una regione da sfruttare per le sue risorse petrolifere, ma una regione dove prevenire le guerre di religione, favorire la crescita economica, coltivare una coscienza politica, migliorare la condizione giovanile e femminile. L’America in particolare deve capire che la democrazia non si esporta, che nasce sul posto e che può assumere forme diverse dalle sue. Lezione, incidentalmente, che dobbiamo tenere a mente anche in Afghanistan, se desideriamo davvero disimpegnarcene onorevolmente» .
Ennio Caretto