Vittorio Malagutti, il Fatto Quotidiano 26/4/2011, 26 aprile 2011
BPM, I SINDACATI SI AGGRAPPANO ALLE POLTRONE
La questione vera, quella più importante, adesso è la seguente: chi ci mette i soldi? Chi è disposto a investire su un istituto di credito messo all’indice da Bankitalia, con i conti in utile solo grazie a proventi straordinari e una massa di crediti a rischio che impongono nuovi sostanziosi accantonamenti? Eppure da qui a qualche mese la Popolare di Milano (Bpm) dovrà trovare sul mercato qualcosa come 1,2 miliardi di euro, così come richiesto, anzi imposto, dagli ispettori inviati dal governatore Mario Draghi.
Una somma simile rappresenta di per sè una montagna di soldi. Ma rispettare le direttive della Vigilanza diventa un’impresa più impegnativa di un tappone dolomitico se si pensa che la popolare presieduta da Massimo Ponzellini, meglio conosciuto come il “banchiere della Lega” (Bossi dixit) di questi tempi vale in Borsa qualcosa meno di un miliardo. Immaginando che il prezzo di offerta delle azioni in sede di aumento sia pari o di poco inferiore a quello corrente sul mercato, intorno a 2,3 euro, significa che dovrà essere collocato un numero di titoli addirittura superiore a quello attualmente in circolazione.
I soci della Bpm sono un esercito. Nella combattutissima assemblea del 2009, quella che nominò Ponzellini al posto di Roberto Mazzotta i voti espressi furono quasi 10 mila. Adesso però ci si chiede quanti degli azionisti siano disposti ad aprire ancora il portafoglio.
NELL’ULTIMO ANNO il titolo ha perso in Borsa oltre il 50 per cento e il dividendo di 10 centesimi per azione che sarà distribuito nelle prossime settimane non sembra davvero una gran consolazione. Peggio ancora, migliaia di soci nel 2009 hanno sottoscritto i 400 milioni di obbligazioni con conversione obbligatoria (nel 2013) in azioni Bpm a un prezzo compreso tra 6 e 7 euro, quasi il triplo della quotazione corrente. Un’altra circostanza,
quest’ultima, che non funziona esattamente come un incentivo a rispondere alla nuova chiamata alle armi della banca.
Logico allora che nelle ultime settimane siano stati soprattutto i sindacati dei dipendenti a opporsi ad ogni ipotesi di aumento. A loro fa capo infatti circa il 10 per cento dell’azionariato, ma grazie alle regole di governo interno e alla massiccia e disciplinata presenza in assemblea riescono a esprimere la maggioranza del consiglio di amministrazione. Il rischio concreto, per i sindacati, è che la diserzione in massa dei soci nel prossimo aumento monstre, porti a una diminuzione del loro peso politico nella gestione. Non solo: Bankitalia ha imposto di aumentare il numero di deleghe possibili in assemblea per i soci non dipendenti . Si potrebbe arrivare a cinque contro le tre previste, ma non ancora applicate, dalla banca. Questo fatto finirebbe per ridurre ulteriormente il peso dei sindacati. I quali, dopo decenni di potere assoluto, adesso si sentono nel mirino.
TRA I SEVERI rilievi degli ispettori alcuni riguardano il taglio di costi operativi, compresi quelli per i compensi delle pletoriche strutture dirigenziali. Banca d’Italia vedrebbe con favore anche la fusione tra la capogruppo e le tre banche controllate: Banca di Legnano, Cassa di Alessandria e Popolare Mantova. Se ne parla da tempo ma finora i sindacati sono riusciti a bloccare tutto, nel timore che l’operazione porterebbe a tagli di personale e anche di poltrone, visto che i consigli di amministrazione dei tre istituti controllati finirebbero per scomparire. Peraltro solo la Banca di Legnano presenta un bilancio in forte utile (105 milioni). La piccola Popolare Mantova, solo 11 filiali, viaggia in pareggio, mentre Alessandria è in perdita di 11 milioni.
FACILE PREVEDERE, a questo punto, che modi e tempi dell’aumento di capitale saranno ancora al centro di un dibattito a dir poco acceso al vertice della banca, che giusto un mese fa (29 marzo) si spaccò con i contrari all’operazione che mandarono in minoranza i favorevoli capeggiati dal presidente. Il diktat di Bankitalia ha messo tutti d’accordo e lo scontro si sposterà su temi come il piano industriale e il prezzo delle nuove azioni.
Sabato prossimo è in programma l’assemblea dei soci per l’approvazione del bilancio e l’aumento di capitale, anche se non è all’ordine del giorno, sarà sicuramente al centro di molti interventi. E non solo per l’entità della somma richiesta. Il timore quello vero, tra i soci della Popolare, è che l’operazione imposta da Bankitalia diventi lo strumento per favorire l’ingresso di nuovi azionisti di peso, per esempio banche. Il passo successivo sarebbe l’abolizione della forma cooperativa e la fusione con un altro istituto. E allora addio indipendenza. E addio strapotere dei sindacati interni.