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 2011  aprile 23 Sabato calendario

SALVIAMO L’ACQUA DALLE LITI IDEOLOGICHE

Ci manca soltanto che con qualche geniale trovata adesso si cerchi di evitare pure il referendum sulla privatizzazione dell’acqua. Anche se non ci sarebbe da sorprendersi, visto com’è andata a finire con il nucleare, abrogato per legge giusto un mese prima del voto. Ma è bene dire con chiarezza che in questo caso una furbizia del genere sarebbe ancora più inaccettabile. Altra faccenda è il merito della questione. C’è chi sospetta (e forse non ha nemmeno tutti i torti) che la legge con la quale si vuole imporre ai Comuni la cessione della maggioranza delle loro società idriche sembra fatta apposta per favorire alcuni grandi privati i quali hanno già messo un piedino in quel business e in questo modo se ne potrebbero definitivamente appropriare. Ciò non toglie, tuttavia, che il problema della qualità e del costo dei servizi pubblici locali, gestiti dai Comuni (e perciò dalla politica) in regime di monopolio sia terribilmente serio. Andrebbe perciò affrontato senza pregiudizi ideologici di qualunque natura, esattamente come il dibattito sul nostro futuro energetico. Cosa purtroppo impossibile, allo stato attuale. Fermo restando che l’acqua è un bene pubblico e questo non è in discussione, in Italia la gestione delle reti e del servizio è pressoché interamente nelle mani di azionisti anch’essi pubblici. Ciò nonostante le tariffe imposte da costoro sono spesso non proporzionate alla scadente qualità della materia e della distribuzione. E non parliamo soltanto del profondo Sud. Per dirne una, nel nostro Paese le perdite toccano livelli inaccettabili: più del 30 per cento, oltre quattro volte quelle degli acquedotti tedeschi. Il che significa che ogni anno perdiamo circa 2 miliardi e mezzo di euro, una somma che potrebbe compensare la perdita di gettito subita dai Comuni a causa della decisione, per alcuni sciagurata, di abolire del tutto l’Ici sulla prima casa. Il governatore della Puglia Nichi Vendola, secondo il quale la privatizzazione «è una bestemmia in chiesa» , conosce bene la materia. Sa quello che ha trovato all’Acquedotto pugliese, il più grande d’Europa e interamente pubblico, quando è arrivato alla Regione: perdite che sfioravano il 50%, morosità alle stelle, produttività sotto i tacchi. E conosce lo sforzo immane che stanno ancora facendo gli uomini da lui collocati al timone di quell’azienda per riportare la situazione a livelli umani. Basta leggere il bilancio: per tamponare le perdite, in tre anni si è dovuto intervenire in 143 Comuni e sostituire qualcosa come 300 mila contatori. Ma non va molto meglio, per esempio, neppure a Latina, dove la gestione è in mano a una società nella quale qualche anno fa un socio privato, la francese Veolia, ha acquisito il 49%del capitale. Fra il 2007 e il 2008 sono state accumulate perdite per più di 6 milioni di euro e per riportare il conto economico in equilibrio c’è voluto un piano di lacrime e sangue. Sorvoliamo poi sul contenzioso e sulla morosità. Per non parlare di quando sono gli azionisti pubblici a scimmiottare (maldestramente i privati). Basta andarsi a riguardare le inchieste televisive come quella realizzata qualche tempo fa da Riccardo Iacona per Raitre, che illustrava la spaventosa situazione di Agrigento. Città nella quale il servizio idrico è gestita da un’azienda privatistica i cui soci di maggioranza sono però gli enti locali. Non mancano, è vero, esempi virtuosi di servizi idrici amministrati dal pubblico. Come è incontestabile che dove la gestione privata si dimostra efficiente (dare un’occhiata in Francia) non si scende certamente in piazza contro l’esproprio del bene collettivo. L’argomento è delicatissimo, perché non si possono scegliere i tubi che ti portano l’acqua a casa, come si sceglie la compagnia telefonica. Il fatto è che nel nostro sterile dibattito tutto ideologico l’unico assente è il cittadino. Nessuno parla, per esempio, di come garantire buona qualità (dappertutto) e tariffe eque (dappertutto): una garanzia che non è legata alla natura pubblica o privata di chi gestisce il servizio. Piuttosto, all’esistenza di un soggetto indipendente e con ampi poteri per vigilare e se del caso sanzionare severamente i comportamenti scorretti. C’è una struttura apposita al ministero dell’Ambiente: usiamo quella, magari potenziandola. Oppure affidiamo il compito all’authority per l’energia e il gas. Ma di questo, nella legge, non c’è nemmeno un accenno. Eppure proprio da qui bisognerebbe iniziare.
Sergio Rizzo