Michele Anselmi, Il Secolo XIX 22/4/2011, 22 aprile 2011
Obama pensa ai conti. I cinesi non sono più i cattivi - Possibile che alla Metro Goldwyn Mayer non ci avessero pensato sin dall’inizio? Evidentemente no
Obama pensa ai conti. I cinesi non sono più i cattivi - Possibile che alla Metro Goldwyn Mayer non ci avessero pensato sin dall’inizio? Evidentemente no. La notizia è che il nuovo “Alba rossa” ha dovuto cambiare in tutta fretta, a riprese concluse e con un certo aggravio di spesa, la nazionalità dei cattivi che invadono l’America. Nel remake diretto da Dan Bradley erano cinesi, ma con l’aria che tira s’è deciso di spendere un altro milione di dollari per rifare tre scene, cambiare l’incipit e modificare al computer le insegne militari. Adesso, anche se il riferimento alla Cina non è del tutto scomparso, gli invasori “rossi” sono nordcoreani: per certi versi più odiosi, nel loro roccioso modello di comunismo dittatoriale alla Kim Jong-il, e di sicuro per nulla influenti sul piano economico rispetto al corposo debito pubblico Usa. Del resto, il presidente Obama ha bisogno della “fiducia” di Pechino, essendo la Cina il maggior creditore degli Stati Uniti. Non basta. Secondo il giornalista economico Oscar Giannino, «il sorpasso del Pil cinese su quello americano, intorno a quota 20 trilioni di dollari, avverrà nel 2019». C’è poco da scherzare, insomma. Poi, certo, un film è un film. E tuttavia alla Mgm, già paralizzata da guai finanziari che hanno bloccato il nuovo 007 con Daniel Craig e rinviato l’uscita di tre film pronti, tra i quali proprio “Alba rossa”, in inglese “Red Dawn”, devono essersi fatti due conti. Meglio non urtare i cinesi, col rischio di dover poi rinunciare a quel largo mercato, specie dopo che il quotidiano Global Times ha titolato: “Usa reshoots Cold War to demonize China”, gli Usa rispolverano la Guerra fredda per demonizzare la Cina.Via col ritocco, allora, spiegato ora dai produttori, all’inizio riluttati di fronte all’idea di «accettare cambiamenti», come «un modo per rendere il film più accattivante, ampiamente commerciabile e comprensibile al pubblico di tutto il mondo». In verità, già in passato Hollywood ha avuto i suoi problemi “diplomatici” con le autorità cinesi, ad esempio dopo film come “The Red Corner” e “Spy Game”. Nessuno, in questo momento, è in cerca di nuove frizioni con Pechino e di sicuro un boicottaggio commerciale in quelle contrade sarebbe devastante per “Alba rossa”. Vale la pena di citare, in proposito, un altro titolo polemico del Global Times nel quale si attacca il film di Bradley parlando di semi insidiosi e ostili: “American movie plants hostile seeds against China”. Di sicuro non hanno avuto vita facile i due sceneggiatori Jeremy Passmore e Carl Ellsworth, ai quali si è aggiunto, per una revisione tesa a smussare alcuni asprezze considerate inutilmente offensive, specie dopo l’11 settembre, il più esperto e “liberal” Tony Gilroy, amico di George Clooney. Nondimeno, l’arrivo di “Alba rossa” nelle sale americane resta avvolto da un curioso mistero. L’autorevole sito Imdb parla genericamente del 2011, senza fornire una data precisa. Il film, costato attorno a 45 milioni di dollari e girato a Mont Clemens, Michigan, per approfittare dei comodi sgravi fiscali, è pronto da mesi, ma per ora non ci sono trailer e in rete appare solo una fotografia ufficiale. Ritrae i nove “lupacchiotti” che si improvvisano partigiani per dare filo da torcere, in chiave di guerriglia urbana e nei boschi, alle truppe comuniste d’occupazione con la stella rossa. Nel cast spiccano attori di media grandezza, come Chris Hemsworth (lo vedremo presto in “Thor”), Josh Peck e Josh Hutcherson, nei ruoli che furono, ventisei anni fa, di Patrick Swayze, Charlie Sheen e C. Thomas Howell. L’idea della Mgm è di restituire lo spirito del film originario aggiornandolo al clima dell’America odierna: si fa leva su un certo patriottismo squisitamente a stelle e strisce, si punta molto sulle scene d’azione, tra esplosioni e agguati, si nutre lo scenario fantapolitico di riferimenti alla situazione economica. Per dire, i ridicoli manifesti di propaganda affissi dai militari nord coreani, nella speranza di attirarsi la simpatia degli americani, parlano di «reputazione da ricostruire», di «guerra alla corruzione», di «economia da ripensare». Chissà che cosa dirà John Milius. Girare “Alba rossa”, nel 1984, gli valse il marchio infamante di “super reazionario”. Eppure, benché stroncato dalla critica e messo all’indice dalla Hollywood progressista, quel film costituisce un capitolo interessante, per quanto discutibile, nella cinematografia del regista di “Un mercoledì da leoni”, “Conan il barbaro”, “Il vento e il leone”. «Volevo ribaltare il mito dei partigiani comunisti, utilizzandolo contro di loro. Purtroppo da lì in poi sono rimasto vittima di una sorta di maccartismo alla rovescia» racconta oggi Milius. Lui, cineasta col culto dei marines, a quell’epoca amava definirsi «fascista zen» per sfottere una certa sensibilità politically correct. Anticipando di pochi mesi la rielezione a presidente del repubblicano Ronald Reagan, Milius tributò con “Alba rossa” il suo omaggio più sentito - pure ingenuo - ai valori fondanti dell’anima americana, in un mix di propaganda ideologica e mistica resistenziale, pessimismo crepuscolare ed elegia della natura selvaggia. Lo fece semplicemente immaginando sullo schermo l’incubo più devastante per ogni americano, sin dai tempi di Pearl Harbor: il territorio degli Stati Uniti invaso dalle truppe alleate sovietiche e cubane, messo a ferro e fuoco, trasformato in un enorme campo di concentramento. Libertà azzerate, i nuclei familiari divisi, l’esercito sotto scacco. Solo un gruppetto di studenti liceali, in quel di Calumet, Colorado, sceglie di vendere cara la pelle, imbracciando le armi e cercando scampo tra i boschi, deciso a resistere agli invasori. Otto partigiani, tra i quali due ragazze, pronti a trasformarsi in novelli guerriglieri: un po’ Apaches, un po’ pionieri, un po’ vietcong. «Il comunismo è straordinariamente idealistico e romantico, ma fallisce sempre, perché alla fine c’è sempre qualcuno che vuole farsi re» teorizza Milius, uno che, proponendosi come un anarchico di destra, volentieri spariglia i piani e spiazza le attese. Tanto è vero che il suo più recente film per il grande schermo, “L’ultimo attacco”, risale addirittura al 1990, dopo ha lavorato solo per la tv. Ma il ricordo del pur strampalato “Alba rossa” deve essere ancora molto vivo nel cuore dell’America patriottica e “proud to be”, se il generale Ricardo Sanchez ribattezzò “Red Dawn” l’operazione che portò alla cattura di Saddam Hussein il 14 dicembre 2003. I due possibili nascondigli del raís iracheno furono addirittura ribattezzati Wolverines. In slang significa abitanti del Michigan ma soprattutto mammiferi della famiglia dei tassi e delle donnole. Esattamente come, nei due “Alba rossa” si fanno chiamare quei giovani guerriglieri armati di Kalashnikov che tengono accesa la fiammella della libertà.