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 2011  aprile 24 Domenica calendario

Nascita della Camera del Lavoro di Ferrara e la svolta del 1907 I1 9 giugno 1901 viene costituita a Ferrara la Camera del Lavoro, preceduta il 19 maggio dalla Federazione Provinciale delle Leghe di Miglioramento (1): due grossi successi del movimento operaio Ferrarese dopo una travagliata fase di maturazione, direttamente connessa con gli avvenimenti politici e i mutamenti economici e sociali conseguenti alla trasformazione capitalistica delle campagne

Nascita della Camera del Lavoro di Ferrara e la svolta del 1907 I1 9 giugno 1901 viene costituita a Ferrara la Camera del Lavoro, preceduta il 19 maggio dalla Federazione Provinciale delle Leghe di Miglioramento (1): due grossi successi del movimento operaio Ferrarese dopo una travagliata fase di maturazione, direttamente connessa con gli avvenimenti politici e i mutamenti economici e sociali conseguenti alla trasformazione capitalistica delle campagne. La fase che precede la nascita del Movimento Sindacale organizzato è caratterizzata dal sorgere e dallo svilupparsi delle Società di Mutuo Soccorso, "prima forma di organizzazione operaia moderna" come afferma il Manacorda (2), sorte quali organismi di carattere assistenziale e solidaristico, di cui facevano parte operai, artigiani ed elementi della borghesia. La prima Società di Mutuo Soccorso Ferrarese si costituisce ufficialmente il primo gennaio 1861 chiamata "Società degli operai di Ferrara" avente per " .... scopo la fratellanza con il mutuo soccorso promuovere l’istruzione, la moralità, il benessere, affinché possano cooperare efficacemente al bene politico" (3). Questo movimento raggiunge in pochissimi anni un notevole sviluppo organizzativo ed economico. La sua funzione assistenziale viene incoraggiata anche da una parte del padronato che vede nel Mutuo Soccorso uno strumento paternalistico, un non pericoloso correttivo delle tendenze rinnovatrici sorte dopo l’unificazione territoriale. E proprio questo carattere paternalistico impedì al Mutuo Soccorso Ferrarese quell’evoluzione che in altre parti lo portò ad affrancarsi dalla tutela borghese e a proseguire la lotta di classe. " I1 paternalismo borghese - afferma Roveri - poté resistere qui assai più a lungo che altrove, utilizzando abilmente ove il suo volto moderato, ove, e segnatamente nel capoluogo più ricco di piccola borghesia burocratica impiegatizia, artigianale e commerciale, il suo volto democratico radicale, sostanzialmente coincidente con il primo nella misura in cui anch’esso si opponeva ad un autonomo orientamento politico dei lavoratori ed ad ogni idea di "resistenza"(4). Lo stesso si può affermare per la Cooperazione che fu promossa dalla stessa classe dirigente locale: "otto cooperative di produzione e lavoro esistevano già nel 1888 e il loro numero risultò salito a poco più di una ventina nel 1894" (5), Cooperazione che in qualche modo doveva arginare la crescente disoccupazione provocata dalla fine della maggior parte dei lavori di bonifica e quindi avere come scopo la prevenzione di turbamenti sociali. La provincia di Ferrara era costituita, infatti, in gran parte da terre di recente bonificazione. Le grandi opere di bonifica che risalivano alla seconda metà del secolo, avevano visto l’investimento di somme ingenti di capitale finanziario, straniero e italiano, ma sempre extra ferrarese (6). Le società di bonifica erano diventate proprietarie di enormi estensioni di terra, in cui si era instaurato un rapporto tipico del ferrarese: il rapporto di compartecipazione, basato su una divisione in percentuale del prodotto, su un lavoro che non occupa tutto l’arco dell’anno, e sull’impiego di tutto il nucleo familiare, con varie mansioni. Nel ferrarese si trovano tre figure di lavoratore agricolo: il compartecipante, il bracciante o lavoratore giornaliero, il salariato fisso o obbligato, rappresentato prevalentemente dalla figura del boaro e della sua famiglia, addetto alla cura del bestiame da lavoro, e con la garanzia del posto di lavoro per tutto l’anno. La conclusione dei lavori di bonifica, l’avvento dell’agricoltura meccanizzata cambiarono radicalmente i rapporti di lavoro e le condizioni di vita nelle campagne. I1 fattore politicamente più importante fu senza dubbio la tendenza dei grandi proprietari a sbarazzarsi, sull’esempio delle società capitalistiche, dei loro lavoratori dipendenti. Gente che aveva tradizionalmente servito una famiglia per decenni, o addirittura per secoli, che era stata - come riporta il Niccolini - una "ramificazione inferiore della famiglia del padrone" (7), si trovò licenziata e costretta a vendere il proprio lavoro in piazza. Questi ex "obbligati" non erano soli nella sventura. La bonifica aveva innanzitutto distrutto i mezzi di sussistenza di quanti, - pescatori e cacciatori - s’erano da sempre guadagnati la vita nelle paludi della regione costiera. Costoro andarono anch’essi ad ingrossare le file dei braccianti senza terra insieme alle moltitudini di lavoratori immigrati, arrivati dalle province limitrofe (Rovigo e Ravenna ), spinti dalla promessa di trovare lavoro nell’opera di trasformazione delle nuove terre. Quando, alla fine del secolo, alla diminuzione dei lavori corrispose un aumento dei braccianti, la disoccupazione divenne dilagarne. Si trattava del tipico andamento dei lavori di bonifica: la massa dei lavoratori richiesti dalle operazioni di prosciugamento diminuisce quando si passa alla coltivazione di nuove superfici (8). Ferraresi ed immigrati si congiunsero così nel dar vita a quell’enorme esercito di braccianti senza terra che sarebbe diventato in quegli anni l’elemento dominante della provincia. Provincia che non offriva la possibilità a questo surplus di manodopera bracciantile di venir assorbito dall’industria, in quanto nel ferrarese, prima della fine del secolo erano pochissime le attività industriali che potessero considerarsi tali. Le possibilità di cavarsela per gli operai agricoli erano quindi molto scarse, perciò non ci si può meravigliare se la rabbia e la disperazione sfociarono nei primi movimenti di protesta contro i proprietari terrieri: in genere manifestazioni spontanee contro le inumane condizioni di vita degli spaventosi agglomerati delle zone di bonifica, dove imperversavano pellagra e malaria. Dimostrazioni, scioperi, arresti si susseguirono dalla fine del 1892 al 1897. Lo sciopero del ’97, iniziato dai braccianti di Portomaggiore ed Argenta per ottenere miglioramenti salariali, fu presto imitato da altri comuni. L’agitazione raggiunse una tale intensità (particolarmente in risposta ai tentativi di utilizzare manodopera crumira) che per sedare i tumulti fu chiamata la truppa, e furono arrestati circa trecento lavoratori agricoli. Con tutta la sua confusione, la sua mancanza di disciplina e la sua spontaneità, lo sciopero del 1897 costituì una pietra miliare nello sviluppo del movimento operaio a Ferrara. Per la prima volta era stata attuata un’azione di sciopero di dimensioni quasi provinciali. I braccianti, non soltanto delle terre di bonifica, ma anche di altre zone, avevano marciato insieme, dimostrando che d’allora in avanti ci sì poteva aspettare nelle agitazioni un elemento di unità. L’avvenimento servì inoltre da monito per la borghesia ferrarese, non abituata a pensare in termini dell’intera provincia anziché puramente comunali. E soprattutto servi da monito per la città di Ferrara. Sino a questo momento gli sconvolgimenti provocati dall’enorme trasformazione in corso nelle campagne avevano in larga parte risparmiato il capoluogo. Ferrara era rimasta ciò che era da lunghissimo tempo: il centro amministrativo e commerciale di una provincia agricola, che forniva i servizi richiesti dall’entroterra rurale. L’assenza di attività industriali di qualche rilievo l’aveva salvata dalle agitazioni che possono derivare dall’esistenza di un proletariato industriale. I lavoratori delle poche fabbriche e dell’officina del gas costituivano qualcosa di molto simile ad una aristocrazia operaia. Il loro atteggiamento, così come quello dei commercianti e di quanti lavoravano nei piccoli laboratori artigiani, si manteneva moderato, e non vi si rivelava la rabbia che montava nell’animo dei braccianti. (9). I ceti medi professionali ed intellettuali erano uniti agli agrari e avevano fatto propri quegli atteggiamenti ed opinioni che caratterizzavano appunto il ceto fondiario ferrarese. Certo, sarebbe poco ragionevole attendersi da un proprietario terriero orientamenti particolarmente progressisti; ma sembra che gli agrari di Ferrara si segnalassero in modo speciale per le loro tendenze reazionarie. Abituati da lungo tempo a trattare i loro contadini come servi, e in qualche caso praticamente come schiavi, si adoperarono scarsamente a modificare la loro prospettiva in funzione di una situazione che mutava. Mentre da un lato, quando le ragioni del profitto lo esigevano, i vincoli con i lavoratori dipendenti furono spezzati, dall’altro la stragrande maggioranza degli agrari rimase in larga misura cieca dinnanzi alle conseguenze sociali del fenomeno. Come ha scritto Roveri "nella maggior parte degli agrari, infatti, si combinavano la spietata esosità dell’imprenditore moderno - appresa alla scuola del capitalismo finanziario delle grandi società - e l’ancestrale istinto reazionario del proprietario terriero!" (10). Almeno negli anni iniziali dello sviluppo capitalistico, questi uomini non si resero conto che portando avanti il processo di modernizzazione stavano distruggendo l’antico ordine sociale che avevano sempre dato per scontato. Lo sciopero del 1897 fu quindi per la borghesia cittadina come per quella provinciale, un avvenimento da prendere sul serio; si trattava in effetti di un primo segno della nascita di un proletariato agricolo come forza politica. La repressione su scala nazionale e un periodo di calma relativa incoraggiarono, forse, ancora qualche speranza nei borghesi che lo sciopero potesse rimanere un’isolata esplosione di malcontento; ma quando i lavoratori delle campagne passarono dall’azione spontanea alla preparazione e all’organizzazione di nuove controversie con i proprietari, non fu più possibile mantenere simili speranze. A partire dal 1901, il movimento operaio si organizza e la sua storia si intreccia con quella del Partito Socialista. Il 1901 fu senz’altro l’anno più significativo di questo inizio di secolo: si costituisce, come sopraddetto, la Camera del Lavoro e dall’altra parte il primo nucleo dell’Associazione Agraria padronale. E’ da questo momento in pratica che si sancisce il passaggio del movimento bracciantile dallo spontaneismo all’organizzazione a livello provinciale. In precedenza le varie Leghe avevano operato localmente e senza una direzione generale organizzata. L’elenco delle Leghe che parteciparono al primo Congresso costitutivo della Federazione, ci presenta il quadro della situazione al maggio 1901, e mostra chiaramente come l’organizzazione si rafforzò nel giro di due o tre mesi. Le Leghe presenti erano 56, con 10.834 uomini iscritti e 5.178 donne iscritte (11). Nel mese di giugno se ne costituirono altre che raccolsero ancora centinaia di iscritti. Nello stesso mese di giugno nasce la Camera del Lavoro: ai lavori dell’assemblea parteciparono 150 rappresentanti di Leghe e società operaie; intervennero un membro del Comitato Federale delle Camere del Lavoro, il milanese Croce, il deputato radicale Ruffoni, i socialisti Castelfranchi e Maranini. Il maestro Zanzi fu eletto segretario (12). Zanzi era stato un organizzatore delle Leghe contadine Copparesi, le sole che aderirono subito alla Camera del Lavoro, mentre in forze entrarono Leghe cittadine. "Nell’elenco delle prime adesioni pubblicato dal primo numero del bollettino mensile della Camera del Lavoro di Ferrara - vi figuravano (1) gli spazzini comunali; (2) la Lega dei barbieri; (3) le Leghe muratori di Ferrara e provincia; (4) gli sparuti gruppi operai delle industrie di Pontelagoscuro; (5) i gasisti; (6) le Leghe contadine nel: Copparese, ispirate dallo Zanzi; (7) le Leghe dei biroccíanti Copparesi; (8) la Lega pastai, mugnai e fornai; (9) la Lega ammarratori di canapa; (10) la Lega dei pescatori di Goro; (11) la Lega dei cuochi e camerieri di Ferrara; (12) le Leghe sarti di Ferrara e Bondeno; (13) le Leghe calzolai di Ferrara e Bondeno; (14) le Leghe verniciatori di Ferrara e Bondeno; (15) le Leghe falegnami di Ferrara e Bondeno; (16) le Leghe fornaciai di Ferrara e Bondeno; (17) la Lega facchini ". (13) Un notevole spazio occupano i ceti medi cittadini, La piccola borghesia radicale e repubblicana del capoluogo era entrata in forze nella Camera del Lavoro con la speranza di trasformarla in < cuscinetto > nella lotta di classe e servirsene per imbrigliare lo slancio delle forze sindacali più avanzate (14). Tanto che fu rifiutata l’adesione delle Leghe contadine, salvo quelle Copparesi, dal Comitato Esecutivo provvisorio della Federazione delle Leghe, il segretario Zanzi si adoperò in ogni modo per ottenere l’ingresso della Federazione dei Contadini nella Camera del Lavoro di Ferrara, " pena " - scriveva egli stesso - " la morte della nostra Camera " (15). E poco dopo, sotto la spinta di una crisi interna e la necessità di trovare una più grande coesistenza proletaria, la Federazione delle Leghe Contadine decise di aderire alla C.d.l. e venne proposta la costituzione di un segretariato unico. Una unità di intenti si era avuta nel grande sciopero del 1901, durante i lavori di mietitura. Di fronte all’intransigenza padronale, che rifiutava un aumento del cottimo in natura, lo sciopero fu inevitabile: imponente fu lo scontro, basti pensare che vi parteciparono 30.000 avventizi e obbligati (16.) Lo sciopero ebbe una sua tragica eco anche al Parlamento per l’eccidio di Ponte Albersano (27 giugno 1901) dove l’intervento dei soldati provocò la morte del capolega Calisto Desuò e di Cesira Nicchio. Altri braccianti furono feriti più o meno gravemente, mentre tentavano di parlare con i crumiri reclutati dalla società di bonifica. Lo sciopero si concluse con un accordo con cui venivano concessi gli aumenti retributivi richiesti. Anche se alcune delle conquiste verranno frustrate nel 1902 dalla dura reazione padronale, con il 1901 si apre un nuovo periodo per il movimento operaio, quello della organizzazione della coscienza di classe. ____ (1) "La Rivista" 10 giugno 1901, 20 maggio 1901. "Avanti" 11 giugno 1901 indietro (2) G. Manacorda, I1 movimento operaio Italiano attraverso i suoi congressi (1853?1892) Roma 1953 indietro (3) R. Sitti, I. Marighelli, Un secolo di storia del movimento cooperativo ferrarese 1860 ? 1960, Roma 1960 indietro (4) A. Roveri, Dal sindacalismo rivoluzionario al fascismo, Firenze 1972. indietro (5) Ibidem. indietro (6) "Nel 1872 veniva costituita a Londra la società di bonifica del basso ferrarese con la partecipazione di un solo sottoscrittore italiano, il banchiere fiorentino Giuseppe Ro. "il 5 maggio 1872 nasceva la Società Anonima per la Bonifica dei Terreni Ferraresi (SBTF) la maggior proprietaria delle terre bonificate." A. Roveri - op. cit. p5. indietro (7) T. Isenburg, Investimenti di capitale e organizzazione di classe nelle Bonifiche Ferraresi (1872- 1901), Firenze 1971. indietro (8) Cfr T. Isenburg, op cit. indietro (9) Cfr Roveri op cit. indietro (10) Roveri, op cit. indietro (11) "La rivista", 29 luglio 1901 A. Roveri, op cit., pag. 118. indietro (12) A. Roveri, op cit., pag. 119. Bollettino mensile Camera del Lavoro primo numero, 18 agosto 1901. indietro (13) A. Roveri, op. cit., pag. 119. Cfr "La Rivista" 8 febbraio, 10 e 31 luglio. indietro (14) Roveri op. cit., pag. 110-111 indietro (15) ibidem indietro (16) Il momento più tragico dello sciopero fu quello che vide coinvolti la Società Lodigiana e 1’S.B.T.F. (Società per la Bonifica dei Terreni Ferraresi) da una parte, e i lavoratori delle bonifiche dall’altra. Nonostante i ripetuti inviti del Ministro dell’Interno Giovanni Giolitti, a evitare occasioni di sanguinosi incidenti, la Lodigiana e 1’S.B.T.F. non esitarono a reclutare centinaia di crumiri, soprattutto Piemontesi, per coprire i vuoti lasciati dagli scioperanti. Novecento di questi crumiri pernottarono, nella notte tra il 24 e il 25 giugno, a Tresigallo, dove però gli uomini e le donne del luogo riuscirono a convincerli a desistere dalla loro odiosa funzione. Altri invece arrivarono a destinazione e cominciarono subito a lavorare sui fondi, dove trovarono anche crumiri veneti e romagnoli. Uno dei fondi assegnati ai piemontesi fu la tenuta Albersano di Berra. Qui la mattina del 27 giugno, un gruppo di lavoratori e di lavoratrici guidato dal capolega di Villanova, Calisto Desuò, si recò per parlamentare e cercare di trattare sia con i crumiri che con i rappresentanti della Società. Giunti al Ponte Albersano, sul Canal Bianco, presso Berra trovarono un contingente di soldati a cavallo che, di fronte al rifiuto del tenente De Benedetti di parlare con gli operai che pure si presentavano con atteggiamenti pacifici, fece fuoco sugli scioperanti. Due di essi furono colpiti a morte: il Desuò ed una donna di 34 anni, Cesira Nicchio; molti altri braccianti furono feriti più o meno gravemente. indietro (17) P. Corner, I1 fascismo a Ferrara, Bari 1974. indietro (18) ibidem indietro (19) A. Roveri , op cit. indietro (20) "Rivista di Ferrara" , maggio 1935 indietro (21) L. Preti , Le lotte agrarie nella Valle Padana, Torino 1955 indietro (22) A. Roveri , op cit. indietro (23) La Scintilla 23,30 marzo 1907 - 23,30 aprile 1907 indietro (24) A. Roveri, op. cit. indietro (25) P. Corner , op. cit. indietro (26) P. Corner, op cit. indietro (27) A. Quarzi, D. Tromboni, La Resistenza a Ferrara, Lineamenti storici e documenti, Bologna 1980. indietro (28) La compartecipazione e i collettivi Agricoli nella Valle Padana, in, Trent’anni di storia Italiana attraverso le lotte nelle campane, a cura della Federbraccianti, Roma 1978. indietro (29) A. Roveri, op cit. indietro (30) R. Sitti, La Capillare, Ferrara 1983. indietro (31) Documento edito dalla Camera del Lavoro, La disoccupazione nel settore industriale, 1953 Archivio PDS indietro (32) Ibidem indietro (33) Ibidem indietro (34) Ibidem indietro **** L’ECCIDIO DI PONTE ALBERSANO Cent’anni fa, il 27 giugno 1901, sul Ponte Albersano di Berra si compiva uno dei fatti di sangue contro lavoratori in sciopero e Berra, che allora faceva parte del vastissimo comune di Copparo, ebbe il triste onore della cronaca prima e della storia poi. Noi ricorderemo qui brevemente i fatti affinché non vada smarrita la memoria di quegli avvenimenti e il sacrificio di coloro che quel giorno rimasero per terra nella polvere. La situazione dei braccianti, tra la fine del secolo e il nuovo, è caratterizzata da una estrema miseria: le famiglie sono al limite della sopravvivenza, la mortalità infantile è elevatissima, la pellagra miete instancabile le vittime della povertà; gli accordi sindacali del 1897, che pur prevedevano un aumento percentuale di pochi punti a favore dei lavoratori della terra, non erano mai stati applicati. Sull’onda di un malcontento generale si costituisce anche a Berra una lega di resistenza nelle campagne (forte di ben cinquecento iscritti) la quale, vedendosi negare tassativamente dagli agrari la richiesta di portare dal 9 al 12% la quota per i braccianti, dichiara lo sciopero proprio nei giorni in cui avrebbe dovuto iniziare la mietitura del grano: è il 20 giugno 1901. La massa degli scioperanti è composta da lavoratori che provengono da tutti i paesi limitrofi compresi alcuni centri del vicino Veneto e dimostra fin dall’inizio grande compattezza e determinazione. Gli agrari capiscono che la posta in gioco questa volta è molto alta poiché lo sciopero va assumendo sempre più le caratteristiche di una lotta altamente politicizzata: sono pronti a tutto e in pochi giorni organizzano squadre di crumiri piemontesi disposti a falciare il grano ormai maturo, ottengono inoltre l’intervento della forza pubblica in difesa di questi ultimi e del latifondo nonostante lo stesso ministro Giolitti avesse ordinato al Prefetto di Ferrara di sconsigliare simile provvedimento: sarà il tenente De Benedetti a comandare l’eccidio di Berra. La mattina del 27 giugno i braccianti si avviano verso la tenuta Albersano animati dall’intenzione di spiegare ai crumiri nei campi le motivazioni dello sciopero e di invitarli ad unirsi alla loro lotta, ma il Ponte Albersano è sbarrato dai soldati. Al tentativo di alcuni braccianti di parlamentare con questi ultimi il tenete De Benedetti fa rispondere con il fuoco: i soldati sono disorientati; molti sparano in aria, alcuni addirittura si rifiutano; impugnata la sciabola e con la rabbia della belva l’ufficiale ordina categoricamente di sparare sulla folla degli scioperanti. Calisto Ercole Desuo di Villanova Marchesana e Cesira Nicchio di Berrà rimangono per terra uccisi; altri venti lavoratori rimarranno feriti. Questo il tragico bilancio di quel 27 giugno 1901 che segnò la data d’inizio di una lunga serie di lotte operaie e bracciantili in territorio ferrarese. (Tratto da "Tutto Ferrara" del Luglio Agosto 1991) [http://www.serravalleweb.com/storia/eccidioalb.htm] **** Sul filo del tempo Le lotte di classe nella campagna italiana Ieri [top] [content] [next] Mezzo giornale ingiallito di mezzo secolo: Il Mattino del 30 giugno 1901. Tante notizie cui il tempo dà quel tale strano sapore; come si divide l’estrema sinistra: 29 socialisti, 29 repubblicani, due sezioni o tre di radicali: 18 con Marcora, 13 con Sacchi, 9 dispersi. -- La corazzata Andrea Doria incagliata nella sabbia a Gallipoli nelle manovre. -- Entusiasmi italo-francesi in una gita universitaria a Montpellier. -- Il Ministro Giusso revoca dalla carica di funzionario alle Ferrovie il deputato Tedesco che ha criticato il bilancio L.L.P.P. Ma una notizia viva e precisa che val la pena di riportare: «Ci telegrafano da Roma, 30. -- L’Avanti! ricostruisce, in una corrispondenza da Rovigo, la scena dolorosissima svoltasi al ponte di Albersan, presso Berra, fra gli scioperanti delle bonifiche e le truppe comandate dal Tenente Di Benedetto. Eccone un riassunto: Le bonifiche si stendono alla destra del Po. Vi lavorano ordinariamente contadini romagnoli e del Polesine; sono 22.000 ettari a perdita d’occhio; ampia distesa di pane ironizzante sulle miserie degli affamati. Appartengono alla Banca di Torino. Solidali, i lavoratori del Polesine si erano uniti con i ferraresi: le due province di Rovigo e Ferrara sono separate dal Po, ma unite ora da una fede e da un patto comune. A tre chilometri da Berra è il ponte Albersan, sul Canal Bianco, che segna il confine di bonifica. Ivi succede l’eccidio. La località è un quadrivio: la strada da Berra a Serravalle; la strada dal Po al Canal Bianco che incrocia. Il ponte di Albersan è occupato alla entrata di sinistra da un plotone di fanteria (2^ compagnia, 40°) al comando del tenente Lionello di Benedetto, napoletano. Un altro plotone è sull’argine destro del canale. La colonna degli scioperanti, proveniente dalla strada di Berra, volge a destra per imboccare il ponte. A venti passi si ferma. Il tenente fa suonare i tre squilli. I contadini agitano i fazzoletti bianchi in segno di pace, e Calisto Desvò, il cappello in mano, tranquillo si avanza verso il tenente. «Domando la parola!» Ma il tenente Di Benedetto esplode tre colpi di revolver a bruciapelo sulla testa di Desvò, che cade morto. Prima, dietro il plotone, era il proprietario Baruffa, che gridava: -- Ecco gli assassini! Fuoco! Ma non c’è bisogno dell’ordine del padrone; ed il Di Benedetto ordina il fuoco, mentre un altro tenente, che era sull’opposta riva del fiume e un vice-brigadiere dei carabinieri lo scongiurano di far ritirare le armi. Sei volte l’ufficiale comanda il fuoco. I contadini fuggono, ma sono colpiti alle spalle. Cade morta, tra gli altri, Cesira Nicchio; quattro agonizzanti: cinquanta si disperdono feriti. Ecco i nomi dei morti: Calisto Desvò, aveva 38 anni, due figli, era presidente della Lega di Villanova Marchesana. Ebbe sette ferite, al petto ed alla fronte. Cesira Nicchio, madre di due figli; aveva 24 anni. Alcune palle le hanno scoperchiato il cranio. Ferruccio Fusetti, di anni 32, di Berra. Livieri Sante, di anni 30, di Villanova. Nanetti Augusto, di anni 21, di Berra. Gardellini Albino, di anni 31, di Berra. I feriti sono circa 50. Sono feriti alle parti posteriori: segno evidente che stavano ritirandosi. Ferruccio Fusetti, trapassato al polmone dalla schiena al petto, barcollò e gridò: Coraggio compagni! Viva il socialismo! Il tenente Di Benedetto dice di essere stato nella piena coscienza di sé medesimo quando ha fatto fuoco. Egli, nel tragico mattino, aveva l’aspetto di una persona stanca, affranta da veglia emozionante. Dicesi che due giorni prima dell’eccidio esclamava: «Per questa gente ci vuol del piombo!» Il corrispondente afferma che il cadavere di Desvò caduto al di qua del ponte fu trascinato dai soldati fino a mezzo ponte, d’ordine del tenente. Egli avrebbe voluto così dimostrare che il Desvò aveva violentato il cordone. Il comando di tutto il servizio era affidato al capitano De Blasi. Dopo l’eccidio vi furono altre provocazioni. Mentre la strada era piena di gente eccitata il proprietario Baruffa gridava a Nicchio e Marini che passavano in bicicletta: Pochi sono i morti; ci vorrebbero delle palle ancora per i capi!» • • • «Ci si telegrafa da Venezia, 29, sera: -- L’«Adriatico» ha da Berra questi particolari dell’eccidio colà avvenuto: Pare che il tenente Di Benedetto, con la sciabola abbassasse le canne dei fucili ai soldati che sparavano in aria. Presentemente il tenente si trova disarmato in una stanza a Berzano, sotto sorveglianza. Domani verrà cambiata la truppa. Un vice brigadiere disse al tenente: «Non ordini il fuoco.» Il tenente infuriato rispose: «Si ritiri altrimenti faccio fuoco su di lei.» Anche il sottotenente sconsigliò il fuoco e i suoi soldati spararono in aria. Il morto Desvò era capo della Lega di Villanova: amato dal paese egli consigliava la calma. Mentre telegrafo si tumulano i cadaveri». Il ’98 di Pelloux e Bava-Beccaris è passato e così il ’900 di Gaetano Bresci. Il ’22 di Mussolini deve ancora venire. Le lezioni del principio del secolo hanno dato la vittoria alla sinistra. La democrazia trionfa e siamo al ministero Zanardelli-Giolitti. Eco violenta alla Camera. Bissolati e Ferri insorgono, Giolitti arido e incolore spiega senza dar presa. Ponza di San Martino, Ministro alla Guerra reagisce, insulta l’estrema, poi si ritira, gli ufficiali lasciano la tribuna. Duello tra Ponza e Bissolati o Ferri? Bissolati ha gridato: «Questa lezione terribile esce dai fatti per le classi proletarie, che certe conquiste non si possono ottenere che col mezzo del sangue! (Altissimi rumori)». Quel Bissolati stesso espulso poi nel ’12 per monarchismo e possibilismo, patriota e volontario nel ’15, social-pacifista e collaborazionista di classe fino alla morte! Sciatta la forma, è però notevole il contenuto delle dichiarazioni di Giolitti. Nel Ferrarese, per ragioni di bonifica, prevale ancora il latifondo, i salari dei lavoratori agricoli sono insufficienti. Tuttavia i proprietari locali hanno concesso aumenti, rifiutati dalla sola grande Società delle Bonifiche ferraresi, con capitali bancari torinesi, la quale ha cercato di far venire operai in concorrenza dal Piemonte. Il Governo riconosce il legale diritto alla Società di così procedere, pure avendo fatto dei passi verso la stessa pregandola di rinunziare al suo piano dato anche che gli operai piemontesi le costano più di quello che costerebbero i locali concedendo gli aumenti. Tuttavia, poiché i dimostranti tentavano l’assalto alla tenuta della Società, il Governo ha dovuto tutelare la libertà di lavoro e l’ordine, avvalendosi a buon diritto delle armi. Oggi [prev.] [content] [end] Nei cinquant’anni trascorsi partiti borghesi e partiti che si dicono proletari hanno preteso di dedicare lungo studio ai problemi sociali della terra, ma non deve pensarsi che la impostazione del problema abbia avanzato dalla cristallina chiarezza con cui esso si pone da decenni e decenni, in termini di lotta di classe tra imprenditori capitalisti e lavoratori salariati. Alla gestione e al possesso del latifondo ferrarese non troviamo i leggendari signori feudali, i baroni dal piglio medioevale citati in tutte le chiacchiere a proposito dell’arretratezza sociale dell’agricoltura in Italia. La grandiosa opera di bonifica è stata attuata rovesciando nella terra ingenti capitali di intrapresa, sottoscritti da azionisti persino svizzeri, ed il più intransigente, fra i datori di lavoro, è l’Istituto torinese il quale organizza sistematicamente il crumiraggio. Passeranno anni e anni, le forze dello Stato democratico capitalista seguiteranno ininterrottamente a disperdere col piombo l’insorgere dei lavoratori agricoli del Nord e del Sud, e si seguiterà a ripetere che questo non accadrebbe ove il regime italiano, oltre ad essere di perfetta democrazia politica, raggiungesse sul terreno economico un compiuto sviluppo capitalistico. Proprio a Torino una deviata scuola dei partiti proletari dipingerà tutto un quadro dell’antitesi tra un’Italia arretrata agraria e una Italia moderna degli imprenditori e degli industriali borghesi, e al sorgere del fascismo passerà a piangere sulla fine della democrazia giolittiana mitragliante contadini ed operai, descrivendo quello come espressione politica delle forze sociali dell’agraria in contrapposto a quelle della borghesia industriale. Tale tendenza si svolgerà fino al fronte generale di collaborazione nazionale non solo con i partiti della borghesia moderna, ma con gli stessi agrari e con le correnti clericali, nel periodo successivo alla sconfitta di guerra dei fascisti. Si svolge oggi, malgrado le apparenze dei contrasti di politica interna, sempre più palesemente nel disfattismo e nel disarmo di tutti gli slanci verso la battaglia di classe che sorgono incessanti dalle campagne italiane. Anche recentemente i contadini della valle del Po, i contadini nullatenenti e braccianti, hanno combattuto e sono andati direttamente, per istinto di classe, contro le caserme dei carabinieri, mentre per l’ennesima volta sono stati deviati dalla battaglia socialista, anti-borghese e anti-statale, alla imbelle, stupida richiesta di una distribuzione di terre in proprietà, nel quadro conformista dell’economia nazionale e della legalità costituzionale. Tutti i centri grandi e piccoli d’Italia sono pieni di lapidi che ricordano i nomi dei disgraziati trascinati al macello in tutte le battaglie egualmente criminali dell’Isonzo o del Don e caduti lanciando l’ultima imprecazione contro il regime di militarismo sanguinario ed impotente della patria borghesia. Ricorda qualcuno, dopo cinquant’anni, i nomi dei massacrati di Berra, cui dovrebbe seguire l’interminabile elenco dei caduti nei periodici eccidi che si contano a centinaia, soprattutto prima del ventennio fascista? Calisto Desvò, di cui poco importa il nome all’anagrafe, è il tipo dei mille e mille capilega aventi per solo stipendio il mezzo litro davanti al quale alla sera, nell’osteria del paese, spiegavano le tesi marxiste con rigore teoretico se non totale, certo di mille cubiti superiore a quello delle odierne accademie moscovite. L’ingenuo resocontista dell’Avanti! del tempo era probabilmente uno studentello della città vicina cui non era pagato, oltre il biglietto di terza classe, il quotidiano pacchetto di sigarette da sei soldi. Ma egli seppe raccogliere il grido del lavoratore, che battendosi forse per cinquanta centesimi di aumento salariale volle, cadendo, gridare la vittoria del socialismo. Oggi capi e gerarchetti irridono cinicamente alle conquiste supreme; mandano tuttavia egualmente i proletari al massacro, ma solo per realizzare i fini corrispondenti ai loro bassi servizi di parte. I redattori della stampa dei partiti di sinistra vantano oggi di essere disincantati smaliziati e scanzonati quanto i gagarelli borghesi agli angoli dei marciapiedi. Se la rossa vallata padana, il «dolce piano che da Vercelli a Marcabò dichina» non è ancora il cuore di una repubblica proletaria, la causa sta, tra le forze dell’imperialismo capitalista, sovrattutto in quelle organizzate in forma di partiti socialisti e comunisti, da quando si osò chiamare movimento socialista e comunista quello che difende interessi ed istituti nazionali, militari e popolari, ossia anticlassisti. Source: da Battaglia comunista n. 32 del 1949 [http://www.sinistra.net/lib/bas/battag/ceju/cejukjizui.html] *** Foto dei soldati sul ponte in http://cartolinebologna.xoom.it/virgiliowizard/politica?SESS681c279894a018eef26a35c15d7be986=0eaa0fe8db28dfc2fe0b6a8ac7a9d50c *** Con la caduta di Napoleone e la restaurazione pontificia il territorio viene costituito in comune con sede a Cologna, però ben presto una nuova organizzazione accentra in Copparo l’amministrazione locale e tale resterà fino al 1908. Con l’unità d’Italia le zone conobbero la più radicale trasformazione della loro storia. La bonifica idraulica sconvolse gli elementi della proprietà fondiaria, ma soprattutto l’economia agricola, i lavori della bonifica attirarono masse enormi di operai dal ferrarese, dal Veneto, dalla Romagna, le quali si insediarono con le loro famiglie nei paesi come Berra che formavano una specie di corona attorno alle valli del Polesine di San Giovanni Battista, le prime ad esser state bonificate. Da qui tutte le mattine prima dell’alba raggiungevano a piedi la zona da bonificare e tornavano dopo una lunga giornata di lavoro durissimo, erano gli scariolanti della tradizione popolare. Le condizioni di sovraffollamento determinarono ben presto scarsità di lavoro che divenne più drammatica verso la fine del secolo quando, finiti i lavori idraulici, restarono solo le attività agricole stagionali. Scarsità di lavoro, denutrizione, malattie endemiche come la malaria, condizioni igieniche ed abitative precarie furono facile lievito per la crescita del malcontento e per l’adesione alle idee socialiste che si andavano diffondendo nella prospettiva di una più equa giustizia sociale. Nel ferrarese e soprattutto nella zona di Berra la diffusione del socialismo si espresse nelle forme più radicali dell’anarco-sindacalismo. Le agitazione e il malessere diffuso, accompagnato dalle forme più dure della repressione governativa, sfociarono nel 1901 nell’eccidio di ponte Albersano dove durante uno sciopero due braccianti furono uccisi e vari rimasero feriti dall’intervento dell’esercito che proteggeva i crumiri ingaggiati dalla società di bonifica. Fu il segno più alto dello scontro al quale seguirà l’epoca caratterizzata dalla politica sociale giolittiana che attenuerà, senza però risolvere completamente, gli elementi della lotta sociale. La suddivisione del comune di Copparo decretata dalle forze governative per riuscire a sottrarre parte del vasto territorio delle amministrazioni locali socialiste, funzionerà solo in parte, almeno per il comune di Berra, infatti dopo una prima amministrazione "governativa" i socialisti saranno chiamati ad amministrare il comune di Berra fino al 1921 quando la reazione fascista, finanziata anche da alcuni agrari berresi, eliminerà ogni forma di rappresentatività democratica. [http://www.maxiblog.it/entry.php?w=mauroriotto&e_id=11912]